L'Impero Asburgico. L'ultimo su cui tramontò il sole


Stemma del Sacro Romano Impero
A E I O U, le cinque vocali, nell’ordine, rigorosamente alfabetico, in cui il sovrano Federico III d’Asburgo ordinò di scriverle su ogni oggetto ed edificio del proprio casato, facendone il motto della dinastia imperiale. Un acronimo, i molteplici significati attribuibili al quale e il silenzio in merito dell’imperatore del Sacro Romano Impero che, pure, lo coniò, ne rendono oscura l’interpretazione, declinabile secondo le varianti latine “Austriae Est Imperare Orbi Universo” (Trad. “Spetta all’Austria governare il mondo intero”) oppure la più suggestiva e controversa “Austria Erit In Orbe Ultima” - l’Austria sarà l’ultima (a sopravvivere) al mondo - la quale, priva del verbo sottinteso, potrebbe essere letta – così come fecero i suoi nemici - come una maliziosa allusione alla decadenza dell’Impero Asburgico. Certamente, la seconda variante darebbe all’acronimo coniato nel XV secolo da Federico III, il carattere profetico di compendiare, in appena cinque vocali, le sorti dell’ultima istituzione, nata nel Medioevo, a crollare sotto le spinte della modernità.
L'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo - Este
Un Impero, quello Austriaco, nato come spada secolare della Cristianità nella notte di Natale del 800, divenuto, grazie ad abili politiche matrimoniali, possedimento, pressoché esclusivo, degli Asburgo nonché espressione di un potere il cui carattere universale venne magistralmente espresso, da Carlo V, nella celebre massima “Sul nostro impero non tramonta mai il sole”, data la sua estensione ultracontinentale. Eppure il sole, sull’impero asburgico, un giorno tramontò: il 10 settembre 1919, quasi cinque secoli dopo che Carlo pronunziò quest’aforisma, quando il Trattato di Saint-Germain, firmato con le potenze dell’Intesa, ridusse quello che era stato il Sacro Romano Impero a nulla più di una modesta entità regionale, quale lo stato austriaco odierno. Non le recrudescenze nazionalistiche ma più propriamente le trame della massoneria cosmopolita fagocitarono un Impero, inviso alle potenze occidentali e, soprattutto, ai poteri occulti che manovravano tali potenze, più che per il carattere reazionario della propria politica, per ciò che rappresentava. L’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono di Sua Altezza Reale Apostolica Francesco Giuseppe, il cui dramma esistenziale resta, di per sé, una vicenda dai caratteri esemplari, meritevole di venir rappresentata in una tragedia sofoclea, serba dei caratteri inquietanti che sarebbe giusto porre in rilievo. Troppo spesso si liquida l’attentato del 28 giugno ‘14, senza ulteriori considerazioni sulla personalità politica dell’erede al trono: ebbene, Francesco Ferdinando, era l’interprete di una politica interna aperta alla questione nazionalistica e decisa a fare dell’Impero una sorta di confederazione sul modello europeo ante litteram, in grado di risolvere la questione balcanica e sottrarre, di conseguenza, alle potenze occidentali, l’espediente per intraprendere una guerra volta alla ridefinizione dei rapporti di forza in Europa. 
Inoltre l’Impero Asburgico era l’ultimo baluardo di una concezione della politica come mandato divino e spada temporale della Chiesa Cattolica contro i suoi nemici, una presenza, dunque, inaccettabile per le brame massoniche, le quali si erano già industriate a polverizzare entità confessionali quali il Regno delle Due Sicilie e, soprattutto, gli Stati Pontifici. Ciononostante gli straordinari ritratti degli uomini che fecero grande l’Austria, primo tra tutti il principe Metternich, sontuoso ed amabilissimo ospite del Congresso di Vienna, sono in grado di dare a noi, attraverso il vetusto sapore della loro immortale visione del mondo, un modo più profondo di approcciarci alla realtà, senza incorrere nella cecità dell’equazione, tanto diffusa, per la quale la novità corrisponde alla verità o al progresso. Sulle leggiadre note del valzer, dolcemente cullati dalla malinconia del “bel Danubio blu”, l’Austria Felix con la gloria dei propri geni quali Mozart, Mendel, Beethoven, Listz, Schubert, Wittgenstein, Freud e Klimt continua ad affascinarci, trasmettendoci la poesia di un mondo e di un’epoca, di cui fu ultima, sublime, espressione.