Falcone a 22 anni da Capaci

È il 25 giugno 1992, sono trascorsi 33 giorni dalla strage di Capaci e ne mancano 24 a quella di via D'Amelio: Paolo Borsellino tiene il suo ultimo discorso pubblico, nella Biblioteca Comunale di Palermo, in memoria di Falcone. Il discorso dura mezz'ora, la tensione nella sala è tanta, l'aspettativa per le parole del giudice - quasi il suo testamento pubblico - è altissima: dopo essersi scusato per il ritardo e aver chiarito di non essere intenzionato a parlare di ciò di cui deve tener conto in primis alla magistratura, Borsellino inizia il suo discorso, un discorso che denuncerà l'abbandono che portò alla morte tanto Falcone quanto Borsellino stesso.

Il giudice si presenta non solo come magistrato, ma anche come testimone, e come tale inizia a raccontare dell'amico e collega Falcone, conscio che con la sua morte sia finita una parte della sua vita e della vita di tutti gli italiani. Lo spunto da cui ha inizio la riflessione del giudice è una recente affermazione di Antonio Caponetto, che aveva detto: "Falcone cominciò a morire nel gennaio 1988".

Era difatti nel gennaio 1988 che Falcone vide negarsi quell'ufficio istruzione al tribunale di Palermo appena lasciato vacante dallo stesso Caponetto oramai 72enne. "Il giorno del mio compleanno - ricorda Borsellino - il Consiglio Superiore della Magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli". Un applauso dirompente interruppe Borsellino.

E tuttavia Falcone ha continuato a lavorare instancabilmente, "dimostrando l'altissimo senso delle istituzioni e la sua volontà di continuare comunque a fare il lavoro che aveva inventato".

Un monaco contro Napoleone

“Noi non troviamo appoggio ed asilo se non nel governo pontificio, e la nostra riconoscenza è grande come il beneficio che riceviamo. Prego Vostra Eminenza di deporne l’omaggio ai piedi del santo Pontefice Pio VII. Parlo in nome di tutta la mia famiglia, e specialmente di colui che muore lentamente su uno scoglio deserto. Sua Santità e Vostra Eminenza sono i soli in Europa che si adoperano per addolcire i suoi mali e che vorrebbero abbreviarne la durata. Ve ne ringrazio tutti e due col mio cuore di madre”. Colei che scrive è Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone Bonaparte, la quale in una lettera all’allora Segretario di Stato Card. Consalvi (da cui è tratta la presente citazione), ringrazia il pontefice che aveva compiuto il gesto di commovente bontà di accogliere la famiglia del Bonaparte nei loro stati, ed offrir loro alloggio, protezione e consolazione. Napoleone, stesso, morirà riconciliato con la Chiesa, assistito da un sacerdote corso inviatogli personalmente dal Papa.