Dopo 719 anni l'ultimo giorno di un papa dimissionario

Nell'ultimo giorno di pontificato di Benedetto XVI, che questa sera lascerà la cattedra di S.Pietro alla volta di Castelgandolfo, proponiamo una sintesi dei quasi otto anni di pontificato dell'illustre successore di Pietro.

Non possiamo non partire dalla situazione della pedofilia nella Chiesa. Si sente spesso parlare di copertura da parte del papa per i preti coinvolti, ma in realtà più volte Ratzinger ha affermato che "c'è sporcizia nella Chiesa" e che "la barca della Chiesa è in tempesta".  Dal 2008 al 2010 ebbe numerosi incontri con le vittime degli abusi, dove ricordò più volte la necessità di non strumentalizzare, ma di condannare, questo tipo di gesti.

Nel 2010 scrisse anche una lettera pastorale ai fedeli irlandesi, dove si verificò il più alto numero di casi. Tra luglio 2010 e maggio 2011 chiese di modificare alcune linee giuda sui provvedimenti da prendere in caso di reati di questo tipo all'interno del clero. Qui tutti gli altri provvedimenti, che alla fine dimostrano il pieno impegno in questo campo da parte del Papa.

La situazione finanziara poi, anche questa al centro del pontificato di Ratzinger. Il 30 dicembre 2010 I ha promulgato la legge 127 che ha sottoposto tutti al "rispetto degli obblighi di prevenzione in materia di riciclaggio" e ha costituito l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF), incaricata di effettuare controlli sul rispetto degli obblighi previsti.

I lefebvriani
Il 21 gennaio 2009 Benedetto XVI ha firmato un decreto con cui revocava la scomunica a Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta, i quattro sacerdoti che nel 1988 furono ordinati vescovi da mons. Marcel Lefebvre.

Il ritorno degli anglicani
Il 4 novembre 2009 Benedetto XVI ha firmato Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus con la quale permetteva di accogliere nella Chiesa cattolica gli anglicani che volessero tornare con Roma.

Ma se questa è stata la gestione delle situazioni difficili, anche le situazioni riguardanti in maniera più specifica la fede sono state affrontate ottimamente: nel 2009 con l'anno Sacerdotale, in questi mesi con l'anno della fede, i fedeli hanno avuto e hanno occasioni per tornare a riscoprire la bellezza del cristianesimo vissuto seguendo i testimoni del vangelo e i grandi santi.  Come dimenticare le varie giornate della gioventù, da Colonia a Madrid, dove l'affetto dei giovani è stato sempre splendido.

Oggi si dimette uno dei papi più importanti della storia della Chiesa, un papa che in ogni situazione si è dimostrato pronto e guidato dallo Spirito Santo. Un papa che, nascosto da tutti, continuerà a guidare la Chiesa, con la preghiera e con tanta umiltà.

Benedetto XVI all'ultima udienza: la Chiesa è viva!

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato!
Distinte Autorità!
Cari fratelli e sorelle!
Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima Udienza generale del mio pontificato.
Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo. In questo momento il mio animo si allarga per di abbracciare tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo.

Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10).
In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e vive nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia.

Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai. E il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore.

Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano…». Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo!
Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre.
Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio.

A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi poter toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino.

In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi.

Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui.
Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio.

Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che voglio vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito.

Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia.
Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!

Il nuovo Parlamento


Un Parlamento nuovo, con nuove proporzioni e nuovi rapporti di forza, ma soprattutto una nuova politica, o almeno la denuncia di una necessità di cambiare, non necessariamente il sistema bipolare su cui si fonda la politica nostrana sin dalle sue origini, ma quantomeno le fondamenta degli odierni sistemi partitici. E lo spunto di tale considerazione non è il già tanto declamato ingresso in Parlamento del Movimento 5 Stelle - con ben 54 senatori e 108 deputati, bensì un’ulteriore considerazione: Monti ha superato a stento la soglia di sbarramento al Senato, ottenendo tuttavia solo un terzo dei seggi dei “grillini”, dimostrando lo scarso gradimento degli italiani nei confronti di un governo ricordato solo per la politica economica ed il pesante aggravio fiscale. Contestualmente alla Camera la coalizione centrista non è riuscita a salvare Fini da un’uscita dal Parlamento che l’Italia attendeva dal lontano 1983 e che solo la Porcellum era riuscita finora ad evitare. Casini, coalizzato alla Camera ma non al Senato, ha ottenuto solo 8 seggi a Montecitorio.

Il Centrosinistra è invece il più grande sconfitto, essendo calato dal +6% degli exit poll del primo pomeriggio ad un misero mezzo punto percentuale dei dati definitivi del Viminale: un fallimento totale, che consegna l’Italia ad una fase di indecisione e ingovernabilità di una gravità inimmaginabile. Di errori strategici il PD ne ha fatti moltissimi, a partire dalla candidatura di Bersani a candidato premier piuttosto che Renzi: forse il sindaco di Firenze non avrebbe riscosso il gradimento della maggioranza dei 3 milioni di elettori delle primarie PD, ma sicuramente avrebbe fatto meglio del segretario piacentino, che non è riuscito a controbattere in alcun modo alla rincorsa del Cavaliere. “La corsia di emergenza sta a sinistra, a destra c’è solo quella di emergenza” affermava convinto Renzi nel supportare il candidato a Palazzo Chigi del suo partito, ma la situazione del Paese descritta dalle urne è ben diversa: PD e PDL sono appaiate subito sotto al 30%, ma se quest’ultimo è in forte rialzo grazie alle performance del Cavaliere, il PD è in caduta libera sin da quando sono state indette le elezioni. Lo scandalo Monte Paschi ha sicuramente reso più difficile la salita al governo del centrosinistra, ma Bersani non è riuscito a trasmettere agli italiani alcun senso di certezza e stabilità, evitando i temi caldi della campagna elettorale e preferendo ad una concreta offerta di proposte agli elettori solamente lo sterile attacco al centrodestra, che non ha fatto altro che essere una cassa di risonanza per il noncurante Berlusconi.

E se poi si vuol trovare qualcosa di positivo nelle elezioni più disastrose della Repubblica, non si fatica poi tanto a trovarle: oltre al già citato Fini, ha abbandonato i palazzi del potere anche Di Pietro, e si è inoltre riusciti a serrarne le porte a personaggi come Ingroia e Giannino. Ha infine ottenuto un ottimo risultato elettorale anche il neonato partito di Meloni, Crosetto e La Russa, Fratelli d’Italia, entrato alla Camera con il 1.95 % dei voti (tradotti in 9 seggi), superando ampiamente La Destra di Storace.

Lo Spoglio in diretta

La Gazzetta del PAGO segue in diretta lo spoglio delle elezioni politiche e regionali (in Lazio, Lombardia e Molise) grazie ai dati del sito del Ministero dell'Interno.

Tutti i dati sono espressi in percentuale.

CAMERA dei DEPUTATI

ore 23.26 per la Camera dei Deputati pervenute 59.187 sezioni su 61.446: Centrodestra a 29.06, Centrosinistra 29.65, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.58

ore 23.22 per la Camera dei Deputati pervenute 58.981 sezioni su 61.446: Centrodestra a 29.04, Centrosinistra 29.66, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.58

ore 23.17 per la Camera dei Deputati pervenute 58.834 sezioni su 61.446: Centrodestra a 29.03, Centrosinistra 29.67, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.58

ore 23.11 per la Camera dei Deputati pervenute 58.626 sezioni su 61.446: Centrodestra a 29.03, Centrosinistra 29.68, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.58

ore 23.06 per la Camera dei Deputati pervenute 58.422 sezioni su 61.446: Centrodestra a 29.02, Centrosinistra 29.69, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.58

ore 23.03 per la Camera dei Deputati pervenute 58.243 sezioni su 61.446: Centrodestra a 29.02, Centrosinistra 29.70, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.58
 
ore 23.02 per la Camera dei Deputati pervenute 58.085 sezioni su 61.446: Centrodestra a 29.03, Centrosinistra 29.70, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.58

ore 22.53 per la Camera dei Deputati pervenute 57.368 sezioni su 61.446: Centrodestra a 28.96, Centrosinistra 29.75, Movimento 5 Stelle 25.50, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.59

ore 22.40 per la Camera dei Deputati pervenute 55.464 sezioni su 61.446: Centrodestra a 28.99, Centrosinistra 29.73, Movimento 5 Stelle 25.49, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.59

ore 21.45 per la Camera dei Deputati pervenute 48.667 sezioni su 61.446: Centrodestra a 28.62, Centrosinistra 30.14, Movimento 5 Stelle 25.46, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.56

ore 21.00 per la Camera dei Deputati pervenute 42.865 sezioni su 61.446: Centrodestra a 28.28, Centrosinistra 30.42, Movimento 5 Stelle 25.52, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.53

ore 19.35 per la Camera dei Deputati pervenute22.793 sezioni su 61.446: Centrodestra a 26.92, Centrosinistra 31.70, Movimento 5 Stelle 25.59, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.48

ore 18.45 per la Camera dei Deputati pervenute 11.248 sezioni su 61.446: Centrodestra a 25.07, Centrosinistra 33.47, Movimento 5 Stelle 28.54, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.22

ore 18.10 per la Camera dei Deputati pervenute 8.731 sezioni su 61.446: Centrodestra a 23.98, Centrosinistra 34.23, Movimento 5 Stelle 26.28, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.16

ore 17.39 per la Camera dei Deputati pervenute 2.530 sezioni su 61.446: Centrodestra a 23.64, Centrosinistra 33.62, Movimento 5 Stelle 26.85, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.50

ore 17.28 per la Camera dei Deputati pervenute 1.716 sezioni su 61.446: Centrodestra a 24.39, Centrosinistra 33.62, Movimento 5 Stelle 26.36, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.83

ore 16.54 per la Camera dei Deputati pervenute 293 sezioni su 61.446: Centrodestra a 21.43, Centrosinistra 34.78, Movimento 5 Stelle 29.39, Lista Civica con Monti per l'Italia 10.14


ore 16.38  per la Camera dei Deputati pervenute 57 sezioni su 61.446: Centrodestra a 26.51, Centrosinistra 31.53, Movimento 5 Stelle 27.40, Lista Civica con Monti per l'Italia 9.87

ore 16.29 per la Camera dei Deputati pervenute 41 sezioni su 61.446: Centrodestra a 30.28, Centrosinistra 28.32, Movimento 5 Stelle 27.27, Lista Civica con Monti per l'Italia 9.63


SENATO della REPUBBLICA

Considerando i voti di oltre un quarto delle sezioni, la coalizione di Centrodestra sembra in vantaggio al Senato: sue la Lombardia, il Veneto, il Lazio, la Campania, la Sicilia, la Puglia, l'Abruzzo e la Campania. A seguire i dati delle regioni più importanti.


ore 22.40 pervenute 56.283 sezioni su 53.814

Piemonte: Centrodestra 29.54, Centrosinistra 29.67

Lombardia: Centrodestra 37.70, Centrosinistra 29.75

Veneto: Centrodestra 32.88, Centrosinistra 25.03

Lazio: Centrodestra 28.83, Centrosinistra 32.43

Campania: Centrodestra 37.37, Centrosinistra 29.08

Sicilia: Centrodestra 33.24, Centrosinistra 27.43

Puglia: Centrodestra 34.51, Centrosinistra 28.39

Le prime elezioni repubblicane



Le elezioni per la I Legislatura della Repubblica si svolsero circa tre mesi e mezzo dopo la promulgazione della nuova Costituzione sulla base delle leggi approvate dall'Assemblea Costituente, in un clima di dura contrapposizione interna e internazionale. Il "colpo di Stato" di Praga, da parte del comunista Gottwald, del 25 febbraio 1948, consolidò nell'opinione pubblica il senso di una scelta fra "totalitarismo bolscevico" e "democrazia", fra Est e Ovest.
A De Gasperi, alla D.C. e alla coalizione di centro - che dal dicembre 1947 appoggiava il ministero - si contrapponevano, a sinistra, i socialisti e i comunisti uniti nel Fronte Democratico Popolare. Il forte scontro ideologico, gli opposti riferimenti internazionali per i maggiori partiti, crearono una vera e propria frattura fra l'area delle forze politiche presenti nelle istituzioni rappresentative ("area della rappresentanza") e quella delle forze legittimate, in senso storico-politico, a governare ("area della legittimità").
Durante la campagna elettorale, il P.C.I. insisté soprattutto sui valori del lavoro e della pace, sulle accuse verso De Gasperi, la D.C., lo stesso Vaticano, di essere complici dell'imperialismo statunitense e di contribuire a una campagna antisovietica che avrebbe portato alla guerra. L'impostazione propagandistica del Fronte sottolineava inoltre una analogia fra la lotta del 2 giugno per la Repubblica e quella per l'elezione del Parlamento. Il Fronte Democratico Popolare - che riuniva fra l'altro, oltre il P.C.I. e il P.S.I., la Democrazia del Lavoro, l'Alleanza Repubblicana Popolare, il Movimento Cristiano della Pace - tenne la prima Assemblea Nazionale il 1° febbraio 1948, alla quale ne seguirono altre in tutte le provincie. A dispetto di tanti entusiasmi e di tante facili illusioni, la battaglia elettorale del Fronte si rivelò fallimentare. Gravissimo errore di fondo fu quello di proporre uno "scontro di civiltà", nel quale le stesse Sinistre avevano tutto da perdere: invece di incalzare il governo sulle conseguenze delle scelte economiche e sulle drammatiche condizioni di vita di milioni di italiani, i dirigenti del Fronte si lasciarono trascinare in una polemica quotidiana sui grandi temi della politica estera e sul confronto tra USA e URSS, un confronto che non poteva che risultare perdente. Il fascino dell'Unione Sovietica, per quanto forte, era di gran lunga inferiore all'attrattiva degli Stati Uniti; nell'immaginario collettivo e nella memoria storica degli Italiani, gli States erano la terra della facile ricchezza, delle rimesse e delle fortune degli emigranti, delle star di Hollywood, della promessa di nuovi livelli di benessere, per quanto ancora solo sognati. Per la maggioranza della popolazione, l'idea di legarsi ancora di più alla terra promessa d'oltreoceano appariva irrinunciabile, inevitabile. In più, i tragici fatti di Praga (Febbraio 1948) ebbero un enorme impatto politico ed emotivo sull'opinione pubblica italiana; impatto che fu stupidamente sottovalutato dal Fronte. 
Il già ricordato colpo di mano dei comunisti di Klement Gottwald e l'inizio della sovietizzazione della Cecoslovacchia alimentarono dubbi e sospetti circa le reali convinzioni democratiche di Togliatti e soci.
I vertici del Fronte non tennero neppure conto delle conseguenze delle notizie, provenienti sempre dall'Est, riguardo alle persecuzioni antireligiose e alle misure quotidiane prese contro la Chiesa cattolica. Di fronte ad esse, l'opinione pubblica cattolica si irrigidì ulteriormente e lo stesso Pio XII sembrava convinto della possibilità reale di una persecuzione che avrebbe colpito anche la sua persona. In una situazione del genere non potevano certo bastare le adesioni date al Fronte da un folto gruppo di intellettuali e di personalità di grande prestigio, da Corrado Alvaro a Salvatore Quasimodo, da Renato Guttuso a Giorgio Bassani, Guido Calogero e moltissimi altri di pari valore. Per di più i dirigenti del Fronte si cullarono fino all'ultimo nella certezza della vittoria, mostrando così di non sapere assolutamente cogliere gli orientamenti più profondi dell'elettorato. Fu solo in extremis che si tentò di riequilibrare la propria campagna propagandistica, ma senza convinzione né coerenza. Di ben altra efficacia, invece, si dimostrò la mobilitazione dei sostenitori della DC, attorno alla quale finirono per concentrarsi tutte le energie della Chiesa cattolica, del governo e degli Stati Uniti, costituendo un blocco decisamente imbattibile.
La D.C. presentandosi, dunque, come baluardo contro il bolscevismo, fu sostenuta dalla larga e diffusa rete delle organizzazioni dell'associazionismo cattolico, in particolare dall'Azione Cattolica (2.261.044 iscritti nel 1948) e dai Comitati civici, costituiti da Luigi Gedda l'8 febbraio 1948, che si dimostrarono capaci, con circa 300.000 attivisti, di una eccezionale mobilitazione. A favore della D.C. influirono anche gli aiuti americani, la popolarità degli Stati Uniti in ampi strati della popolazione, la dichiarazione congiunta, del marzo 1948, di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, favorevole ad un protocollo aggiuntivo al trattato di pace per riportare il Territorio Libero di Trieste sotto sovranità italiana. Già nel radiomessaggio natalizio del 1947 lo stesso Pio XII chiamò ripetutamente i cattolici all'impegno diretto nell'imminente campagna elettorale:
"Disertore e traditore sarebbe chiunque volesse prestare la sua collaborazione materiale, i suoi servigi, le sue capacità, il suo aiuto, il suo voto a partiti e poteri che negano Dio, che sostituiscono la forza al diritto, la minaccia e il terrore alla libertà, che fanno della menzogna, dei contrasti, del sollevamento delle masse, altrettante armi della loro politica, che rendono impossibile la pace interna ed esterna."
Nelle settimane successive seguirono incalzanti appelli di ogni genere da parte dell'intero episcopato italiano. Termini e slogan quali "santa crociata" o "nuova Lepanto" furono usatissimi, così come si fece ricorso all'equazione, già utilizzata con successo nelle precedenti elezioni del 1946, tra buon italiano e buon cattolico.
La saldatura e la sovrapposizione tra aspetti politici e aspetti religiosi fu costante, e ciò fin dalle "missioni religiose popolari", organizzate e tenute in gran numero nelle regioni considerate a rischio (Emilia-Romagna e Meridione). Tra la primavera 1947 e i primi mesi del 1948 si tennero ben 257 di queste missioni in 112 diocesi diverse, con la partecipazione massiccia di membri dell'Azione Cattolica, tutti preparati appositamente anche con corsi a carattere metodologico. Inoltre, nei paesi più remoti di tutte le regioni, vennero inviati speciali carri-cinema, attrezzati per la proiezione di film tra cui spiccava Pastor Angelicus, un documentario volto ad esaltare la figura e le opere di Pio XII. Enorme successo ebbero le prediche e i comizi del gesuita padre Lombardi (curiosamente omonimo del membro del PSI !), chiamato "microfono di Dio" per il trasporto e la grande abilità oratoria.
Nella campagna elettorale del '48 - caratterizzata da una partecipazione popolare senza precedenti - città e paesi ospitarono decine di migliaia di comizi, vennero "inondati" di manifesti, la cui affissione non era stata ancora regolamentata. Per quanto riguarda la D.C. stampò e diffuse 5.400.000 manifesti di quattordici tipi diversi, 38.200.000 volantini di ventitré tipi, 4.800.000 striscioni di dodici tipi, 250.000 quadri murali di cinque diversi tipi.  
A tal scopo determinante, in chiave economica, fu proprio il sostegno diretto americano alla campagna della DC. L'ambasciatore a Roma, James Dunn, girò in lungo e in largo l'Italia; visitò scuole e ospedali; inaugurò ponti e strade costruiti con il contributo americano; si fece sempre trovare nei porti al momento dell'arrivo delle navi che trasportavano gli aiuti da Oltreoceano. Le trasmissioni radio in lingua italiana della "Voice of America" furono potenziate e utilizzate a fondo. Soprattutto, fu decisivo il sostegno finanziario dato da Washington al partito democristiano e alle altre forze anticomuniste. Esso coinvolse istituzioni cattoliche, organizzazioni sindacali e persino amministrazioni pubbliche. Tra il Marzo e l'Aprile 1948 De Gasperi e i suoi uomini ricevettero oltre 500 mila dollari e tonnellate di materiali da stampa, attraverso i canali più disparati e impensabili (aiuti dell'European Recovery Program, fondi privati raccolti negli USA, fondi raccolti dalla Santa Sede ecc.) Parte di questi contributi pervenne anche agli altri partiti di governo, compresi i socialdemocratici di Saragat. D'altra parte anche il Fronte Popolare ricorse all'aiuto sovietico per finanziarsi. Mosca inviò al PCI ingenti somme di denaro e materiali per la campagna elettorale, usando metodi complicati e stranissimi (ad esempio facendo arrivare clandestinamente tali contributi dalla Jugoslavia in mazzette da 100 dollari l'uno; oppure comprando migliaia di arance in favore dell'Unità ecc.)
La campagna elettorale - con comizi, contraddittori, dibattiti radiofonici, film - suscitò una mobilitazione di dimensione non più raggiunta negli anni successivi. I risultati delle elezioni - nelle quali l'affluenza alle urne fu del 92% - segnarono un clamoroso successo della Democrazia Cristiana che ottenne il 48,5% dei voti - 12.741.299 - per la Camera dei deputati (rispetto al 25,2% e a 8.101.000 voti ottenuti nelle elezioni per l'Assemblea Costituente, cioè 4.600.000 nuovi consensi) e la maggioranza assoluta dei seggi: un risultato che non sarebbe stato più raggiunto. Eccezionale fu anche il successo riportato personalmente da De Gasperi, sia in termini assoluti sia in raffronto ai voti preferenziali ottenuti dai leaders degli altri partiti: 285.778 voti preferenziali a Roma, 292.517 a Napoli, 49.666 a Trento. La D.C. non ebbe, invece, la maggioranza assoluta al Senato perché ai 237 senatori eletti (dei quali 131 della D.C.) si aggiunsero, a pieno titolo, in base alla III Disposizione transitoria della Costituzione, valida per la prima legislatura, 107 senatori di diritto, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, fra personalità che negli anni precedenti avessero ricoperto cariche politiche di rilievo o avessero scontato almeno cinque anni di reclusione in seguito a condanna del Tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato. Per il Fronte Popolare votò invece soltanto il 30,8% degli elettori (rispetto al 40% ottenuto dai socialisti e dai comunisti nelle elezioni del 2 giugno 1946). Dei 183 deputati del Fronte Democratico Popolare 133 furono comunisti, per l'attento e largo uso delle preferenze organizzato dal P.C.I.; 50 socialisti. Le liste di Unità socialista ottennero 33 seggi, 10 il Blocco Nazionale, 9 il Partito Repubblicano, 14 invece il Partito Nazionale Monarchico, 6 il Movimento Sociale Italiano.

Una partita semplice


A tutti sarà capitato di arrendersi. Chi per un motivo chi per un altro c'è a chi capita per mancanza di coraggio. Le difficoltà si prospettano a volte come giganti insormontabili. Non poche situazioni difficili si risolvono spesso però con estrema semplicità; con lo stupore di chi, nel tentativo di venirne a capo , si protrae in tentativi e soluzioni pressochè assurdi.

Ieri sera la semplicità l'ha fatta da padrona. A S.Siro ci si aspettava le magie e l'estenuante possesso palla di Leo Messi e company. Invece si è assistito alle spazzatee ai contrasti di un'agguerrita banda rossonera. E così due gol firmati K.P.Boateng e S.Muntari hanno permesso al Milan , e un po' a tutti i "calciofili" italiani, di inorgoglirsi per 90' minuti. E se al triplice fischio la domanda è " Com'è stato possibile? ", la risposta arriva secca... " Semplice! ". Perchè molto spesso gli squadroni stratitolati dimenticano un particolare che parrebbe banale, scontato: appena si entra in campo non si è più singoli ma squadra. Alle 20:45 di ieri il team di mister Allegri è entrato in campo con questo proposito. E lo ha messo in pratica alla perfezione, con semplicità. Niente schemi da cervelloni. Tutti per uno , uno per tutti. Così è accaduto l'imprevedibile. Il gigante è stato abbattuto. Due gol sicuramente non bellissimi da vedere ( vedi il la palla che carambolava a mo' di flipper alla prima rete ) hanno riportato sulla terra i "marziani" blu-granada , sempre più frastornati e confusi dal pressing a tutto campo frutto del sacrificio di tutti gli undici milanisti.

E se pure c'è alla fine chi obietta :" Però c'è da dire che lo spettacolo ne ha risentito... ". Al diavolo il bel gioco, questo è il calcio, conta il risultato.

La vera discriminazione



Gli ultimi metri della corsa alla conquista del voto di ogni singolo elettore - importante quanto non mai in una situazione come quella attuale dove il pareggio al Senato sembra essere più che una possibilità - ci hanno consegnato un nuovo tormentone: il video dei due candidati veneti di Fratelli d’Italia Zanon e Pedrina, tacciato da più parti di omofobia e condannato dagli stessi fondatori del movimento, Giorgia Meloni e Guido Crosetto.
Sono due le considerazioni che sorgono spontanee davanti ad un fatto simile ed alle polemiche che ne sono sorte: in primo luogo è innegabile la risonanza ottenuta dalla coppia gay che ha avuto indegnamente spazio al Festival di Sanremo, sia da chi è favorevole ad un’apertura nei confronti degli omosessuali sia da chi rimane saldo su posizioni più conservatrici. In secondo luogo sembriamo essere caduti per l’ennesima volta in un errore troppo frequente per noi italiani: abbiamo lasciato che la notizia creata da un’informazione piuttosto disinformativa prendesse prepotentemente il posto di una notizia ben diversa. La notizia è difatti un’altra: la nostra campagna elettorale - al pari di ogni altro momento della nostra politica - tollera un livello di volgarità nemmeno immaginabile per chi si dovrebbe onorare di rappresentare il nostro Paese. Volendo separare grano e zizzania - evangelicamente intesi - si fa facilmente chiarezza su che cosa sia effettivamente accaduto: la zizzania è semplicemente la chiusa che sconfina dall’ironico al volgare, mentre di grano a ben vedere ce n’è molto: in risposta ad una presa di posizione molto decisa da parte della televisione pubblica - finanziata da noi tutti contribuenti - i due candidati hanno fatto uso di una sottile ironia per affermare nella maniera più forte possibile la propria posizione a riguardo.
E allora perché è concesso a due gay di sfruttare un evento pagato dai cittadini italiani per farsi propaganda sfruttando l’indiscutibile risonanza di un Festival di Sanremo dallo share medio del 42% ed alla prima dichiarazione contraria ad una palese violazione del buon senso da parte di chi la pensa diversamente si sollevano le più dure condanne? Perché chi vuole semplicemente difendere la famiglia da cui ognuno di noi è nato viene considerato un retrogado che si oppone ad un progresso indiscutibilmente migliore? Tutte le fonti di informazione hanno definito il video “omofobo”: che cosa c’è di omofobo nel difendere il matrimonio fra un uomo ed una donna? Piuttosto potrebbe essere definito “omofobo” l’atteggiamento - assolutamente comprensibile e condiviso - di chi si sente mancato di rispetto da un’informazione tutt’altro che imparziale, che taccia come intollerante e repressivo chi ancora crede in una famiglia e che davanti a tutto ciò non riesce a ricambiare con riesce a tacere davanti ad un’intollerabile serie di provocazioni e prese in giro. E allora l’eventuale “omofobia” non sarebbe basata su una discriminazione di tipo “affettivo”, ma semplicemente dall’incapacità di volgere l’altra guancia a chi da troppo tempo ormai vuole avere prepotentemente la meglio su un’opinione diversa, basata sulla realtà e su millenni di storia che nessuna legge o provvedimento potrà mai cambiare.

Il Parlamento che sarà

 Le elezioni sono alle porte ed i sondaggi, come previsto dalla legge, sono ormai banditi da dieci giorni, per lasciare le ultime due settimane della campagna elettorale sgombera da cifre, proiezioni e percentuali: riunendo gli innumerevoli dati raccolti dalle agenzie di statistica di tutta Italia nell'ultimo mese possiamo farci un'idea su come sarà il nostro Parlamento nella prossima legislatura.
La rimonta di Berlusconi è stata una cavalcata durata meno di tre mesi, durante la quale il Cavaliere ha ripreso le redini del centrodestra, riuscendo a realizzare una coalizione capace di portarsi, a 15 giorni dal voto, a meno di 6 punti percentuali da Bersani e Vendola nelle statistiche circa le elezioni per la Camera dei Deputati. Al Senato i numeri non sono poi così chiarificanti perchè non sono disponibili le statistiche delle intenzioni di voto per tutte le regioni, ma un'idea può essere tuttavia resa a partire dai numeri dei sondaggi: prendendo in considerazione 5 regioni che assegnano ben 147 dei 315 seggi a Palazzo Madama - Sicilia, Veneto, Lombardia, Campania e Puglia - la distanza far le due coalizioni è di soli 2 seggi. Vincente in Sicilia, campania e Puglia, la coalizione per Bersani premier otterrebbe, secondo le stime attuali, 61 seggi, contro i 59 del centrodestra, vincente nella decisiva Lombardia e stravincente nel leghista Veneto. La regione che appare più contesa è sicuramente la Sicillia, in cui le proiezioni vedono vincente il centrosinistra per meno di 3 punti percentuali.
Piuttosto staccati, sia per quanto riguarda il Senato che la Camera, e quindi fuori dai giochi per salire a Palazzo Chigi, sono i candidati della Lista Civica con Monti per l'Italia, che otterrebbe nelle cinque suddette regioni appena 11 seggi, meno del Movimento 5 Stelle, dato a 16 seggi, con un 16% alla Camera (contro il 12% della Lista Monti, presente alla Camera come lista diversa da UDC e FLI, con cui è invece unita al Senato).

Le ombre sul voto del PD



Il countdown è oramai a -5 e fra pochi giorni anche i vari Monti, Bersani e Berlusconi dovranno silenziare le proprie voci, lasciandoci in un silenzio al quale non siamo più abituati. Ed in questo silenzio purtroppo saranno abbandonati anche temi ed argomenti che nessun italiano vorrebbe fossero taciuti: su tutti la poco chiara situazione della Monte dei Paschi di Siena, che da oltre un mese imperversa sulla campagna elettorale del nostro paese.

Anche se - a dire il vero - forse sarebbe stato meglio uno sdegnato silenzio fin dall’esplosione dello scandalo, piuttosto che sentirsi dire che “il PD fa il PD e la Monte dei Paschi la Monte dei Paschi”, che suona tanto come una presa in giro a tutti gli italiani dotati di buon senso, che forse sulla questione si sono posti un’altra domanda: quale altra banca avrebbe ottenuto da un governo tecnico alle prese con tagli e spending review un modico prestito di oltre 3 miliardi di euro? Sicuro non una fantomatica “Banca-Berlusconi”...

E allora, se Bersani tace, il PD si trova imputato senza difesa in un processo mediatico con pesantissime prove contro: il comune di Siena - amministrato negli ultimi 30 anni prima dal PCI, poi dai Democratici della Sinistra ed infine dal PD - elegge 13 dei 16 consiglieri del CdA della banca, così che questi non siano invitati ad operare per il bene della banca e dei suoi risparmiatori, ma del Comune stesso, che infatti sembra abbia attinto dalle casse della Monte dei Paschi per finanziare l’Università, diverse edizioni del Palio, la sua squadra di calcio e di basket, oltre a qualche iniziativa benefica e di solidarietà che tuttavia - considerata la provenienza del denaro utilizzato - tutto può essere tranne che beneficienza.

E allora, a pochi giorni dal termine della Campagna elettorale, nutriamo poche speranze che il Partito Democratico sfrutti gli spazi rimanenti per abbozzare una difesa convincente, ma quantomeno ci auguriamo che fra una settimana Bersani, se da premier - come dovrebbe essere - o da leader dell’opposizione - come rischia di essere - poco importa, ci chiarisca un po’ le idee. E magari restituisca qualche soldino.

Benedetto XVI e la sua firma sul Concilio

Don Joseph Ratzinger nel 1962
Aveva solo 35 anni al momento dell’apertura del Concilio Vaticano II, eppure il suo fu un prezioso apporto per la formulazione di alcuni dei testi che hanno modellato la Chiesa in questi ultimi 50 anni. E in seguito, nel suo cammino da teologo e pastore, Joseph Ratinger ha compiuto un cammino coerente, che ha avuto la sua massima espressione nel suo magistero da Pontefice. Lo sottolineava alcuni mesi fa l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nella sua riflessione sul settimo volume dell’«Opera omnia» di Ratzinger dal titolo «L’insegnamento del Concilio: formulazione-trasmissione-interpretazione».

«Joseph Ratzinger, da teologo, ha contribuito a dar forma e ha accompagnato il Concilio in tutte le sue fasi», notava il prefetto. E, poi, «nella fase della ricezione, egli non si stanca di ricordare che il Concilio va valutato e compreso alla luce della sua intenzione autentica. Il Concilio è parte integrante della storia della Chiesa e pertanto lo si può comprendere correttamente solo se viene considerato questo contesto di duemila anni».

La partecipazione di Ratzinger al Vaticano II si realizzò nella doppia veste di consigliere teologico dell’arcivescovo di Colonia, Josef Frings, e di perito, collaboratore delle Commissioni che elaborarono gli schemi alla base della «Lumen Gentium» e della «Dei Verbum», partecipando anche alla stesura del decreto «Ad Gentes». Incontrando il clero romano giovedì scorso Ratzinger ha ricordato l’episodio dal quale nacque la collaborazione con Frings, che nel 1961 chiese al giovane docente di Bonn una bozza per un intervento sull’ormai prossimo Concilio da tenere a Genova. Un testo che fu apprezzato dallo stesso Giovanni XXIII e che gli valse la piena fiducia di Frings. «Alla base di tutti e diciannove gli interventi conciliari dell’arcivescovo di Colonia in cui sono formulate questioni teologico-sistematiche – ha ricordato Müller –, stanno bozze predisposte da Ratzinger». Per questi motivi, afferma ancora il prefetto, «il Concilio ha la calligrafia di Benedetto XVI».

Negli anni post conciliari, poi, Ratzinger veniva spesso richiesto per conferenze e interviste sul Concilio. Egli, nota ancora Müller, «trasmise per così dire “di prima mano” al lettore i risultati del Concilio, stimolando il dibattito e la ricezione». Tra il 1966 e il 2003, poi, Ratzinger ha prodotto testi di commento ai documenti conciliari, che, secondo l’attuale prefetto della Congregazione della dottrina della fede, «appartengono ai classici della teologia». Un’opera che, secondo Müller, ha sempre posto al suo centro «l’insieme indissolubile tra Sacra Scrittura, la completa e integrale Tradizione e il Magistero» secondo quella «ermeneutica della riforma nella continuità» invocata da Ratzinger nel suo primo discorso natalizio alla Curia Romana del 2005.

da avvenire.it

Lo Scandalo della Banca Romana


La contiguità con la finanza, la quale fa gridare allo scandalo in queste settimane per le vicende del Monte dei Paschi di Siena, è una di quelle costanti nella politica italiana, dall’Unità ad oggi, che ben permettono, alla scuola di Giambattista Vico, di parlare di  “corsi e ricorsi storici”. L’evento che, scuotendo dalle fondamenta il neonato Regno d’Italia, fece venire alla luce tale commistione tra politica, banche ed affari fu il c.d. Scandalo della Banca Romana, esploso nel 1892.  Le premesse di questa grave crisi finanziaria furono da una parte la speculazione edilizia che si era selvaggiamente scatenata a Roma, dopo la Breccia di Porta Pia, e dall’altra i circuiti poco trasparenti generati dal finanziamento delle campagne elettorali della Sinistra Storica, nonché l’assenza di una reale riforma del sistema bancario.
Nel 1889 alcuni istituti bancari, principalmente a causa della crisi del settore edilizio, si trovarono sull’orlo del fallimento. La cosa accreditò le voci che circolavano da tempo circa un’eccessiva emissione di carta moneta da parte delle sei banche autorizzate all’emissione di cartamoneta: la Banca nazionale, la Banca romana, la Banca nazionale toscana, la Banca Toscana di credito, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Il ministro dell’agricoltura Miceli promosse l’inchiesta amministrativa per verificare il loro operato, la quale fu affidata al senatore Giuseppe Alvisi, già deputato della Sinistra, insieme al funzionario del tesoro Gustavo Biagini. Bisognava capire, in particolare, se il quantitativo di denaro emesso fosse congruo ai parametri stabiliti. I risultati confermarono i sospetti: la Banca romana aveva stampato 25 milioni di lire in più e aveva sanato l’ammanco di diversi milioni con una serie di biglietti falsi, duplicando cartamoneta già stampata; inoltre fu messo in evidenza il coinvolgimento diretto del suo governatore Bernardo Tanlongo. Dalle indagini emerse anche che la Banca aveva utilizzato questo denaro non solo per finanziare le speculazioni edilizie, ma anche politici e giornalisti. Per evitare lo scandalo durante i tre anni successivi Crispi, Giolitti e Di Rudinì preferirono tenere segreti i risultati in nome degli interessi più alti della patria. L’inchiesta, dunque, venne insabbiata per scongiurare le conseguenze negative che avrebbe avuto tanto sul sistema creditizio che sul mondo politico. Il 24 novembre 1892 Alvisi morì di crepacuore, senza esser riuscito nemmeno a leggere la sua relazione sulla situazione “morale” delle banche. I risultati della sua inchiesta arrivarono – dopo la sua morte – nelle mani di Napoleone Colajanni, deputato radicale, che li riferì alla Camera durante la seduta del 20 dicembre. Lo scandalo era scoppiato.
Corriere della Sera del 21 gennaio 1893
Le resistenze di Giolitti alla possibilità di avviare un’inchiesta parlamentare, portarono ad avviare una nuova ispezione sugli istituti di emissione presieduta da Gaspare Finali; Enrico Martuscelli, che si occupò della Banca romana, confermò quanto scritto nella relazione Alvisi. Quando la Camera fu informata dei risultati, Zanardelli (che la presiedeva) indicò i nomi dei sette membri della commissione parlamentare d’inchiesta (che per questo diventerà nota, nelle cronache del tempo, come “la commissione dei sette”, presieduta da Antonio Mordini) per esaminare i documenti e le testimonianze raccolte.  Per quanto relativo alla Banca romana, furono arrestati il direttore Michele Lazzaroni e il governatore Bernardo Tanlongo che disse di aver versato cifre significative anche a diversi presidenti del consiglio.
Palazzo Maffei-Marescotti, sede della Banca Romana
Dopo le numerose rivelazioni, Giolitti fu accusato principalmente di tre cose: di aver tenuti nascosti i risultati del lavoro di Alvisi (all’epoca era Ministro del Tesoro), di aver proposto il nome di Tanlongo come senatore e di aver ricevuto denaro dalle casse della Banca romana per finanziare le sue campagne elettorali. Il presidente del consiglio si difese negando di essere stato a conoscenza della relazione Alvisi e di aver ricevuto denaro dalla Banca romana, ma dopo la lettura della relazione della Commissione dei sette – “Non ricordiamo nella storia del Parlamento il caso di un presidente del consiglio colpito così in pieno petto, dinnanzi alla Camera affollata e fremente, da una sentenza solenne, che lo convince di reati gravi in ordine politico e morale” scriveva l’editorialista del Corriere della Sera il 23 novembre 1893 – rassegnò le dimissioni e decise di trascorrere un periodo all’estero.
I nomi legati a quello strano e oscuro personaggio che era Tanlongo erano molti ed eccellenti: lo scandalo della Banca romana aveva travolto la politica, almeno in parte e allo stesso tempo rappresentava la crisi finanziaria che il paese stava attraversando. Ma il processo del 1894 assolse tutti, anche Tanlongo (Sor Berna’, come lo chiamavano in Banca), per insufficienza di prove: i giudici accolsero la tesi che sosteneva la sottrazione, nel corso delle indagini, di importanti documenti. Le ripercussioni, però, furono notevoli. Dal punto di vista politico la più evidente fu la scomparsa – momentanea – di Giolitti dalla scena politica. Dal punto di vista finanziario, la più importante fu sicuramente l’istituzione nel 1893 della Banca d’Italia – che sarebbe poi diventata l’unico istituto di emissione dello Stato – a cui fu affidata la liquidazione della Banca romana. 
Tratto da G. Pezzella, Lo Scandalo della Banca Romana, in Enciclopedia Treccani

Giuseppe Dossetti: la politica che non c'è più

Giuseppe Dossetti, il "professorino". Il protagonista assoluto, nel segno del «patriottismo della Costituzione», di una fase che segnò il ritorno dei cattolici, a metà del secolo scorso, come protagonisti della scena pubblica, dopo gli anni del non expedit e le tristi vicende del Ventennio, con la chiusura dei circoli di Azione cattolica e l’esilio di don Sturzo.

Da annoverare tra «coloro che più intensamente hanno rappresentato l’ansia di rinnovamento sociale e ideale della società italiana, negli anni cruciali del dopoguerra», spiega il "padrone di casa" Gianfranco Fini all’incontro promosso dalla Camera per il centenario della nascita. Lo studioso di diritto, il politico, l’uomo infine consegnato a tempo pieno a Dio, ricordato dalla presenza in prima fila di don Athos Righi, rettore della congregazione della Piccola famiglia dell’Annunziata da lui fondata, e di due nipoti che ne hanno seguito le orme, suor Teresa Dossetti e don Giuseppe Dossetti jr.

Giorgio Napolitano ascolta in prima fila, ma nel suo messaggio parla di Dossetti come dell’uomo che «ripercorre la storia della nostra Repubblica, un complesso e non sempre lineare ma anche esaltante percorso che lo vide sempre partecipe con lucidità di pensiero e fermezza di principi». Una "non linearità" che allude alle diverse scelte di vita di Dossetti, che l’anziano padre felicemente sintetizzò (come ricorda Alberto Melloni, presidente della Fondazione Scienze Religiose «Giovanni XXII») quando il figlio gli annunciò la sua decisione di abbandonare il seggio parlamentare per la vita monastica: «Ho capito, sei stanco di tentare di fare la rivoluzione nello Stato e vuoi tentare di farla nella Chiesa». D’altronde anche la sua parentesi politica è stata vissuta sempre sul filo dell’utopia, con l’idea, spiega lo storico Paolo Pombeni, «che lo Stato debba contribuire alla felicità dell’uomo». Un’idea altissima ma con conseguenze concrete che l’accompagnò in tutto il percorso costituente.

Con un decisivo antefatto che ricorda Pierluigi Castagnetti citando un episodio raccontato dall’ultimo Dossetti, «alla fine dell’agosto 1945 in occasione del grande convegno del Cln dell’Alta Italia a Milano». Riunione «di cui il Partito comunista si sarebbe voluto servire per fare una specie di Costituente anticipata, senza consultazioni popolari». Dossetti ricordava, «come mio merito di allora, quello di essere stato quello si oppose a un semplice convegno e a una specie di Costituente senza elezioni….». Eppure «quante volte sono stato accusato di filocomunismo! Cosa che è diametralmente opposta al mio spirito», lamentava Dossetti. Si arriva così alla Costituente. E il suo, rimarca il giurista Pietro Rescigno, fu un «apporto decisivo» per l’inserimento in Costituzione dei Patti Lateranensi. Domò le diffidenze di Togliatti, ma con un obiettivo ancora una volta rivolto alla sua metà campo, cioè ai cattolici, per «superare i residui rischi di agnosticismo costituzionale», spiega Melloni. Poi quel capolavoro – cui attivamente contribuì – dell’articolo 3: l’uguaglianza alla luce della giustizia sociale, che «rimuove gli ostacoli», superando la vecchia visione dello Stato liberale.
da avvenire.it

San Valentino: tradizione dimenticata?

La festa di San Valentino, festa degli innamorati, è una delle feste più celebrate in tutto il mondo. Prende il nome dal santo Valentino di Terni, e venne istituita da papa Gelasio I, nel 496. Nel corso dei secoli ha assunto diversi significati, ad esempio nel medioevo era usata per esaltare l'amor cortese, mentre da qualche secolo a questa parte è la festa degli innamorati. Da sempre però la festa è festeggiata come scambio di doni tra persone che si vogliono bene. Soprattutto nei paesi di cultura anglosassone, e per imitazione anche altrove, il tratto più caratteristico della festa di San Valentino è lo scambio di valentine, bigliettini d'amore spesso sagomati nella forma di cuori stilizzati.
La ricorrenza di San Valentino ha sostituito in epoca cristiana i lupercalia romani, celebrati il 15 febbraio; questi riti erano però dedicati alla fertilità e non all'amore romantico. Pur rimanendo incerta l'evoluzione della ricorrenza, ci sono alcuni riferimenti storici che fanno ritenere che la giornata di San Valentino fosse dedicata agli innamorati già dai primi secoli del II millennio. Il punto che fa senz'altro discutere maggiormente parte dal pensiero popolare che S.Valentino sia una festa pagana, sia per come viene festeggiata, che per tutto il commercio che c'è dietro. IL problema, come detto, si verifica osservando il S.valentino dei giorni d'oggi. Il consumismo sfrenato e la poca cultura religiosa della gente favoriscono un allontanamento progressivo della festa dal cattolicesimo, e la spingono verso il paganesimo. Infatti l'intenzione iniziale di papa Gelasio era quella di fare in modo che venisse innanzitutto cristianizzata la festa romana, e poi che, sotto l'egida di un santo che Amò, tante persone potessero rinnovarsi le loro promesse scambiandosi doni. Non subito l'idea venne capita. Poi, come ripetuto, l'amor cortese rafforzò detta idea e nei secoli se ne andò snaturando il pensiero. Ad oggi se ne è perso anche il romanticismo adottato nel tardo '800: è rimasto solo il consumismo.
Perchè il senso cristiano è quello più puro, quello più naturale, quello più vero. Infatti per il cristianesimo l'Amore è la cosa più bella, allora che male c'è, festeggiamo bene questa festa, no?

Un nuovo Obama. O è sempre lo stesso?


Barack Obama si è presentato al suo primo discorso davanti al Congresso dopo la rielezione con la solita teatralità americana - quella delle lacrime per le vittime della strage nella scuola del Connecticut, per intenderci... - per annunciare ai suoi cittadini l’”America migliore” che andrà a realizzare - come se negli ultimi quattro anni al timone degli States ci fosse stato qualcun altro...

Il suo discorso - appassionato e partecipato come mai - contiene innumerevoli punti, e traccia una sorta di linea guida del suo secondo soggiorno alla Casa Bianca: inizia citando Kennedy (“la classe politica sia partner del progresso”), continua affrontando i temi più vari, come tagli alla spesa pubblica, classi lavoratrici e ceto medio, rapporti con l’Unione Europea, istruzione, formazione, cambiamento climatico, scuola, politica. Per concludere poi toccando i cuori degli americani con l’asso nella manica del discorso sulle armi.

Per coerenza e diritto di cronaca appare impossibile nell’ascoltare queste parole proporre una considerazione sulla considerazione dimostrata dal Presidente verso la tematica durante la campagna elettorale, momento che più di ogni altro può essere preso come cartina tornasole dell’effettiva consistenza dei personaggi, soprattutto alla luce delle successive prese di posizione. E allora conviene interrogarsi sul motivo per il quale il Premio Nobel per la Pace non abbia puntato sul tema delle armi in fase di campagna elettorale.

I motivi ci sono, e sono anche facili da intendere: un anno e mezzo fa un sondaggio Gallup che solo il 26% degli elettori si era detto contrario alla limitazione della circolazione delle armi: il nostro Nobel per la Pace ha dunque preferito preservare una buona fetta del suo elettorato a scapito delle decine di vite umane che ancora oggi sono vittima dell’incivile legislazione in argomento.

Ma, in fondo, è anche vero che il guerrafondaio nella disputa elettorale era Romney, perhcè di armi non ne ha parlato, non avendone bisogno, dal momento che i fatti parlano da sé: e allora anche se da Governatore del Massachusetts aveva vietato il possesso delle armi d’assalto, il guerrafondaio rimarrà sempre lui e Obama il Nobel per la Pace sempre coerente con le sue idee, mai disposto al compromesso per un pugno di voti. Sarà, ma a noi sembra un po’ strano.

Quel silenzioso urlo di Madrid


Sgomento. Senso di vuoto, di smarrimento. Come qualsiasi pecora che ha paura di perdere di vista il suo pastore anche solo per un momento. Sicuramente questo è stato il comune sentimento dei cattolici di tutto il mondo apprendendo la notizia che segnerà la storia del terzo millennio. Ma qualcuno - compreso il sottoscritto - potrebbe aver sentito un profondo senso di colpa, gravoso e difficile da scacciare, che rimane lì sulla coscienza ed opprime ogni pensiero.

Un senso di colpa come di chi ha un enorme debito di riconoscenza verso qualcuno e allo stesso tempo si rende conto di tutto quello di non aver fatto tutto il possibile per quella persona. In queste ore sono molti ad azzardare paragoni con Giovanni Paolo II: senza avere la presunzione di ergersi a giudici, ci sentiamo di offrire una piccola riflessione a riguardo.

Dove il fisico non arriva arriva lo spirito, ma - è evidente - lo spirito deve essere aiutato, rincuorato, sostenuto: quanti milioni di persone si sono fatte sentire vicine a Papa Wojtyla anche - e soprattutto - nei momenti difficili del suo lungo pontificato? E quante hanno sostenuto Benedetto XVI negli ultimi anni? Quanti hanno invece sparato a zero su una figura che oggi tutti rispettano ma che fino a ieri era il bersaglio di una gara all'offesa e alla calunnia? E chi, se non noi cattolici, il Suo gregge, dovevamo difenderlo, appoggiarlo e sostenerlo con tutte le nostre forze laddove le sue non arrivassero più?

Chi scrive ha avuto la fortuna di partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid due anni fa: il ricordo che rimarrà sempre nei cuori di tutti i partecipanti non è la confusione della lunga veglia tormentata dalle intemperie, né i canti di cui si riempiva la città al passaggio del Santo Padre, ma il silenzio di due milioni di persone quando il Papa ha alzato l'ostensorio per la benedizione nell'aeroporto di Cuatro Vientos. Un silenzio che fa rumore ancora oggi a quasi due anni di distanza, un silenzio che forse non ha retto agli attacchi del tempo e di una società che ha fatto del Papa nient'altro che uno straniero a Roma: se la comunione di intenti che quel silenzio ha urlato al mondo avesse resistito con le nostre forze, con le forze di tutti coloro si ritengono Popolo di Dio, probabilmente la Provvidenza avrebbe segnato diversamente il cammino della Chiesa. Ma la storia non è fatta di se. E allora, semplicemente, grazie di tutto Padre Santo.

Benedetto XVI: l'umile servitore nella vigna del Signore

Carissimi Fratelli,

vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.
Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando.

Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.

Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.

Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti.

Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice.

Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.


Vaticano, 11 febbraio 2013.

BENEDICTUS PP XVI

11 febbraio 1929. La firma dei Patti Lateranensi

11 febbraio 1929. Nel palazzo di San Giovanni in Laterano il Cardinal Segretario di Stato Pietro Gasparri, per conto della Santa Sede, e Benito Mussolini, in qualità di Primo Ministro del Regno d'Italia, sottoscrivono il Concordato con il quale i due stati ottengono reciproco riconoscimento. È la conclusione dopo quasi sessant'anni della "Questione Romana", apertasi con la Breccia di Porta Pia. Precedentemente i rapporti tra il Regno d'Italia e il Vaticano erano stati unilateralmente disciplinati dalla Legge delle Guarentigie, non riconosciuta da Pio IX e dai suoi successori. I patti vennero accolti con molto entusiasmo dal mondo cattolico e ritenuti dai fascisti uno dei maggiori successi del duce, tanto che vennero celebrati con lo sventramento del centro storico difronte Piazza San Pietro e la costruzione di Via della Conciliazione. Tuttavia la concordia tra le due istituzioni sarà molto breve ed i Patti verranno seguiti da un decennio di serrato conflitto ideologico. Per un approfondimento al riguardo si rinvia al presente link: http://lagazzettadelpago.blogspot.it/2012/08/patti-lateranensi-le-nozze-senza-amore.html

10 febbraio 1944. Quando gli Alleati bombardarono le terre del Papa


10 febbraio 1944. Tra le 9 e le 10 del mattino, i bombardieri alleati colpiscono il Collegio di Propaganda Fide e Villa Barberini, situati tra Albano Laziale e Castel Gandolfo, ma nel territorio, neutrale, del Vaticano, provocando oltre 500 vittime civili, nonostante il Presidente Roosvelt si fosse impegnato con Pio XII:
«Le chiese e le istituzioni religiose saranno, per quanto dipende da noi, risparmiate dalle devastazioni belliche nella lotta che ci sta davanti. Durante il periodo delle operazioni militari, la posizione di neutralità della Città del Vaticano, come pure i possedimenti pontifici in Italia, saranno rispettati».
In occasione del 69° Anniversario, ricordiamo il tragico bombardamento alleato con il testo integrale dell’intervista a S.E. Mons. Dante Bernini, vescovo emerito di Albano.
Viterbo 9 ottobre 2010
DOMANDA: Lei ha vissuto l’esperienza della guerra a Viterbo, città di bombardamenti con molte vittime. Quanto questo ha contribuito a renderla così sensibile nel ricordare i bombardamenti di Propaganda Fide?
MONS. BERNINI: Viterbo è stata una città che è stata distrutta per il 60%. Nel gennaio 1944 gli americani pensavano di arrivare a Roma in tempi brevissimi, forse una,due settimane. Invece successe che dovettero penare fino a giugno e in quel periodo anche la città di Viterbo fu molto martoriata. Furono distrutte tante vite prima di tutto e poi anche dei monumenti, delle case, delle vie. Per la ricostruzione c’è voluto molto tempo. Quindi è chiaro sono stato molto segnato da questo tipo di vita vissuta nel periodo gennaio - giugno 1944.
DOMANDA: Dei bombardamenti di Albano lei ha avuto dei racconti, ha avuto tante testimonianze, che cosa l’ha colpita particolarmente?
MONS. BERNINI: Credo di dover subito dire che questo bombardamento, che fece tante vittime, centinaia di vittime, parecchie centinaia di vittime, avvenne in un territorio extraterritoriale rispetto al territorio italiano. Pio Decimo Secondo, aprendo la Villa Pontificia agli abitanti dei Colli albani, rese possibile a circa dodici mila persone di rifugiarsi nella Villa Pontificia, sperando appunto che l’extraterritorialità fosse un motivo di sicurezza per loro. Il che poi non è stato, perché di fatto fu bombardata. […] È chiaro che io sono stato poi destinatario di ricordi, di memorie, di partecipazione alla sofferenza di questa gente. Poi, ecco, mi interessava subito dare un aspetto a questo mio modo di intervenire. Come mi sono espresso anche in altri momenti per evidenziare le vittime civili della guerra, avere degli elenchi dei soldati morti in guerra è relativamente facile. Avere invece degli elenchi di morti civili è estremamente difficile, perché la memoria è labile e poi con l’andare degli anni i testimoni vengono meno. Allora bisogna andare a rovistare in uffici vari, a cominciare dai verbali dei Carabinieri, dei vari settori della vita pubblica che era interessata all’attenzione di queste morti improvvise, così numerose; perché tra l’altro era anche la numerosità dei morti che rendeva il fatto molto più interessante dal punto di vista umano. Io ebbi un validissimo collaboratore, il Dottor Leo Evangelista, che si fece promotore di una ricerca molto precisa, con la quale si poterono raccogliere circa due mila nomi di vittime civili della guerra. In base a questo prendemmo anche iniziative insieme, anche con i Comuni della zona Colli, per far conoscere quella che era stata la realtà della guerra per i cittadini. Anziani, giovani, ma soprattutto adolescenti, bambini, famiglie intere distrutte, come si può facilmente ricavare dai testi che curammo. Nel 1984, Exodus. Dalla guerra verso la pace, in cui raccogliemmo anche le testimonianze dei Sindaci. I Sindaci stessi fecero un documento che presentarono al Presidente della Repubblica, poi ad altri centri politici nazionali, per renderli attenti al tipo di situazione che si crea con le guerre. Oggi sono più i civili che muoiono nelle guerre che non i combattenti.
DOMANDA: Lei ha conosciuto Emilio Bonomelli?
MONS. BERNINI: L’ho conosciuto poco, anche se ho letto i suoi libri, particolarmente Papi in campagna. Però ho sentito anche le memorie fatte dalla gente umile, semplice di questa capacità di accoglienza, di condivisione, di aiuto a tutte le persone che bussavano alla Villa Pontificia e poi anche proprio a palazzo Pontificio. La storia racconta, e le testimonianze sono numerose e chiarissime, che molti bambini sono nati perfino nel Palazzo Pontificio e non pochi bambini furono chiamati poi con il nome di Pio addirittura, oppure di Eugenio in dipendenza di un’attenzione di gratitudine e di ringraziamento al Santo Padre. Quindi ho conosciuto Bonomelli. So benissimo quanto ha fatto. Si è dedicato sempre però su ispirazione di Pio Decimo Secondo per aiutare questa gente.
DOMANDA: Ha anche tentato di sottolineare a quella gente che neanche quel territorio era un territorio sicuro. Ne ha parlato di questo con lui?
MONS. BERNINI: No, con lui personalmente no, perché io sono arrivato dopo che lui aveva lasciato la sua responsabilità. Però ho sentito dire sempre che era un uomo di grandi capacità umane direi. Ho detto, mi pare, di accoglienza e di condivisione che sono due atteggiamenti che dovrebbero essere coltivati più di quanto non lo facciamo abitualmente. Accoglienza per la gente che soffre e condivisione di questa sofferenza. Perché un conto è essere efficienti, se vogliamo anche efficaci, molto meglio, ma un conto è anche condividere e far sentire questa partecipazione umana e ai credenti eventualmente cristiana, in modo da rendere più partecipata questa presenza, questo servizio, e la gente avverte che oltre la forma ci sono anche dei contenuti di una sensibilità, […] ancora ripeto la parola partecipazione molto viva.
DOMANDA: Ha ricevuto da lui qualche ricordo,qualche testimonianza di quei bombardamenti?
MONS. BERNINI: Durante il periodo in cui tentavamo con queste pubblicazioni, che la città, la diocesi di Albano aveva intenzione di mettere a disposizione del pubblico, si parlava anche con i Sacerdoti che avevano vissuto in questo periodo tristissimo della città di Albano. […] Dai Sacerdoti raccoglievamo più che altro delle sensazioni, se vogliamo, dei convincimenti, che poi erano cresciuti dentro di loro per svolgere un mistero pastorale […]. La guerra aveva profondamente sconvolto la vita delle famiglie e la vita di queste persone che vivevano ormai qualcosa di assolutamente diverso da quello che avevano progettato prima che i bombardamenti li privassero dei loro cari.
DOMANDA: Riguardo le responsabilità del bombardamento, da quello che lei ha raccolto come ricordi, come testimonianze, c’è stata la tendenza a spiegarlo in qualche modo? Lei prima ha parlato di extraterritorialità, in fondo era un territorio neutrale quello che fu bombardato.
MONS. BERNINI: Sì la gente entrò proprio con questo tipo di convincimento, anche se come lei mi pare poco fa ha ricordato, il dottor Bonomelli metteva sull’avviso dicendo “guardate..., è vero siamo in un territorio che dovrebbe essere salvaguardato da Leggi internazionali riconosciute a tutti i livelli, però la guerra è la guerra”. Ecco io sotto questo profilo credo che esigere dai belligeranti quelle che sono le norme che sono state pensate, legiferate, appunto, e sottoscritte a livello per esempio, non so, Europeo, esigere da loro è un dovere, è un diritto da parte dei cittadini, ma che poi la guerra  venga condotta con l’osservanza di queste norme credo che, è amaro dirlo, ma non è poi troppo facile ottenerlo. ”La guerra è la guerra”, questa frase veniva detta in tante lingue […]. “La guerra è la guerra”, è qualche cosa che veramente fa cadere non soltanto le braccia, ma fa amareggiare gli animi in modo quasi disperato, perché dire che “la guerra è la guerra” significa che non esiste più nessuna norma, anche quelle ripeto che sono riconosciute a livello più ampio possibile. Quindi purtroppo lì è avvenuto questo bombardamento. Alcune cose che posso ricordare… Il Vaticano protestò. La risposta forse non fu così precisa o almeno così documentata come sarebbe stato necessario […]. Nella Villa Pontificia non c’erano tedeschi. Erano soltanto cittadini italiani. Erano cittadini che si erano raccolti, perché speravano di poter essere difesi, tra l’altro, anche da questo tipo di qualifica di extraterritorialità di questo territorio.

DOMANDA: Socialisti, repubblicani, comunisti, partigiani, lo ricorda anche Bonomelli, svolsero una funzione di controllo, di sorveglianza per garantire sicurezza nella Villa. Di questa presenza di persone di diverso orientamento, di diversa cultura in quella Villa, lei ha trovato traccia a tanti anni di distanza, ha visto una memoria che è stata facilmente condivisa perché c’erano tutti là dentro, oppure le diverse letture di quel periodo e di quel bombardamento sono sopravvissute?
MONS. BERNINI: A dire la verità, non ho sentito di questa presenza, che non era messa in discussione da nessuno dei responsabili di questa entrata nella Villa Pontificia, di persone alle quali non veniva poi chiesto nemmeno con la carta di identità, perché venivano accolti tutti. Sotto questo profilo potrei parlare di episodi che riguardano personalmente un cristiano… Adesso parlo in termini espliciti, non si domanda mai a una persona che è in pericolo di vita come si chiama e perché chiede ospitalità e perché chiede eventualmente di essere salvaguardato dalla violenza la più brutale. C’è un’immediatezza che viene dall’essere uomini, donne che vivono la loro vita in un’interezza che viene da una sensibilità coltivata per anni e poi c’è anche per chi è credente… un’ispirazione evangelica. Quindi non si pone sul tavolo questo tipo di distinzione, tanto meno poi di separazione […]. La gente entrava, certo doveva in qualche modo presentarsi, declinare quelle che potevano essere i loro dati anagrafici, perché, in fondo, si doveva salvaguardare anche un vivere insieme, un vivere comune da quelli che potevano essere episodi poco simpatici per dirlo con un aggettivo molto lieve, però nello stesso tempo non si domandava altro.
DOMANDA: Lo stesso Bonomelli sottolinea che fu un buon rapporto, un rapporto di collaborazione positivo e importante. Secondo lei quel buon rapporto, che si stabilì in quell’occasione, in quella tragedia, ha facilitato o no la condivisione del ricordo tra persone di cultura diversa a distanza di tanti anni? Lei nel 1984 ha promosso un recupero del ricordo di quella tragedia, ha trovato una memoria condivisa tra persone di cultura diversa, di orientamento diverso o ha trovato…
MONS. BERNINI: Assolutamente condivisa. Noi abbiamo lavorato sempre con chiunque avesse un’attenzione minima agli altri, con la “A” maiuscola, senza fare distinzioni di sorta. Quando abbiamo fatto delle iniziative non abbiamo mai domandato quale fosse la sensibilità appunto degli altri a proposito della politica, dei partiti politici. Non l’abbiamo mai domandato.
DOMANDA: Una prova ulteriore è Montecassino, dove il cinque febbraio del 1944 arrivarono tante persone, tra cui anche gente di malaffare.
MONS. BERNINI: Questi sono rischi, sono rischi che si corrono ogni volta che c’è un pronto soccorso che genera un’emergenza rispetto alla quale salvare una vita umana è come salvare l’umanità, senza altre qualifiche, altre distinzioni, altre sottolineature, una vita umana è una vita umana. Adesso lei mi ha introdotto in questo sentiero, che dovrebbe essere una strada praticabilissima, quando si tratta ripeto della salvezza di una vita umana si deve salvare comunque con tutti i mezzi possibili, che questo poi sia possibile, nel senso proprio di un’efficacia che conduca alla finalità che uno intende raggiungere, può dipendere anche da fattori che non si prevedono e che improvvisamente conducono poi a direzioni diverse da quelle che uno ha in testa e soprattutto ha nel cuore, nell’animo.
DOMANDA: Un’ultima domanda, data la sua esperienza sulla guerra, in base alla sua esperienza per il tentativo molto ben riuscito di recuperare il ricordo dei bombardamenti di Propaganda Fide, quale messaggio si sente di lanciare ai giovani, perché qui c’è il senso di tutta un’esistenza, un’esistenza che si è individuata in vari modi con una tragedia vera e propria.
MONS. BERNINI: Guardi lei qui mi mette in un campo nel quale ho dedicato non soltanto riflessioni, pensieri, impegno, responsabilità. Io ho sempre amato molto i giovani, ma non perché fossero come io li ho pensati o li penso, ma perché siano i testimoni di un mondo interiore fatto di grande umanità prima di tutto a largo raggio, senza preclusioni di sorta per gli altri, chiunque siano, quindi un’educazione non soltanto…, una volta si diceva planetaria, addirittura cosmica, questo è pensiero radicale e fondamentale. Poi per la mia qualifica, eventualmente per il mio impegno, per il mio mandato di Vescovo, ho cercato sempre […] di verificare, se mi è consentito, e di amplificare anche questo tipo di prospettiva con un sale saporoso di tipo evangelico. Allora io devo citare il Vangelo “amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, pregate per coloro che hanno sentimenti di inimicizia verso di voi. Perché in fondo siete figli del Padre Celeste che fa nascere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa scendere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti”. Se questo è il Vangelo ci sono delle conseguenze che alcune volte non violano la Legge, ma superano la Legge, perché violare la Legge è sempre qualcosa che può mettere a rischio una persona che ragiona con la testa, ma superare la legge può dinamizzare una ragione che sente il dovere di muoversi anche in forza del cuore, intendendolo come centro di sentimenti degli affetti e delle decisioni radicali della vita. […] Zaccaria [Negroni] ha rischiato la vita quando era Sindaco, per le decisioni che ha preso in favore dei marinesi. Lui racconta su quel documento Marino sotto le bombe che un giorno purtroppo è morto un bambino sotto le bombe. Il papà lo portò in una stanza per custodire la salma. Per motivi contingenti dovette poi questa salma essere portata nella basilica di Marino. Venne poi il secondo bombardamento e una scheggia forò la piccola cassa dove era stato accolto il bambino e raggiunse il bambino e il papà mormorò “me l’hanno ucciso due volte”. È inimmaginabile quello che capita durante la guerra. Adesso io non ho parlato mai di quelle che sono state le mie esperienze personali. Non ne parlo molto volentieri. Non è possibile ammettere la guerra, una guerra guerreggiata, così almeno io la penso. I politici forse qualche volta pensano differentemente, ma lei lo sa quanto è martoriata questa teoria della guerra giusta, che ha radici antiche? Tra l’altro San Agostino e tanti altri teologi di primissima linea hanno trattato di questi argomenti, né ha trattato anche Obama, adesso, nel suo discorso ad Oslo. Credo che Obama abbia fatto bene a dire che più che della guerra giusta, dobbiamo parlare della pace giusta. D’altra parte questo è nella linea anche dei non violenti, nei quali io amo molto le idee, i pensieri, ma anche il modo di agire nel mondo. Sono i grandi problemi di sempre. Mi auguro che siano prima o poi risolti in modo differente da come sono stati spesso risolti nel passato. Io mi domando perché l’uomo abbia tanto discusso di guerra e meno di pace, non dico…,dico così meno di pace. Avrei dovuto dire “molto meno di pace”, perché?