Il decalogo gay del giornalista

Ci fosse per caso ancora in circolazione, fra i giornalisti, qualche mente politicamente scorretta in materia di famiglia – non si sa mai -, niente paura: d’ora in poi, prima di rischiare di perdere il posto, potrà sapere cosa scrivererifacendosi ad un nuovo decalogo gay (disponibile in lingua francese qui). E’ stato presentato in Francia qualche giorno fa a cura dell’AJL, acronimo che sta per Association des journalistes Lesbiennes gays bi-es-s et trans e in poco meno di trenta pagine delinea chiaramente come uno debba esprimersi con riferimento alle rivendicazioni gay, se non vuole incorrere nell’accusa di istigazione all’odio di stampo omofobo.

Il piccolo manuale spazia infatti fra otto differenti argomenti (linguaggio discriminatorio, stereotipi, lesbismo, bisessualità, transessualità, AIDS/HIV, elementi di diritto, lobby e teorie di genere) ed accanto a qualche osservazione effettivamente sensata – si pensi a quella che critica l’espressione «avouer son homoseualité», ossia «confessare, ammettere la propria omosessualità», espressione infelice ed impropria dato che sperimentare pulsioni omosessuali non è un reato da confessare – presenta tutta una serie di “inviti” inquietanti, dal netto sapore orwelliano.

Renzi, quo usque tandem?

Il 22 febbraio scorso, giusto quattro mesi fa, il primo (speriamo anche l’ultimo…) governo Renzi giurava nelle mani del Presidente Napolitano: arrivavano le congratulazioni di Obama, Gad Lerner festeggiava il passaggio dall’Italia di Berlusconi a quella di Renzi[1], la Repubblica lodava lo stilnovista della politica per aver chiesto se a Palazzo Chigi ci fosse un tavolo dove lavorare[2] e l’Italia intera si faceva appassionare dalla fiera delle banalità indetta dal neopremier. C’era anche chi si riscopriva renziano della prima ora, dimentico delle posizioni di pochi mesi prima, ma delle dinamiche interne al PD ci interessa il giusto: quello che ci interessa fare oggi è, con uno sforzo immenso, dubitare che l’ex sindaco di Firenze si stia divertendo a fare il televenditore di sogni, e verificare speranzosi quali obiettivi sono stati raggiunti e quali promesse mantenute dal nuovo premier.

Farò una riforma al mese![3] garantiva in quegli stessi giorni di fine febbraio l’enfant prodige democratico: febbraio era diventato il mese delle riforme costituzionali ed elettorali, marzo il nuovo mese del lavoro, aprile della Pubblica Amministrazione e maggio del fisco. Rimane poi l’ultima settimana di giugno per veder partorire da Renzi & Co. il nuovo assetto della giustizia, e noi siamo sicuri che arriverà in tempo superando le nostre migliori aspettative... Poi venne il 12 marzo e Renzi si presentò al Consiglio dei Ministri con le slides: neanche Crozza avrebbe avuto un’idea più prolifica per la satira italiana! Ma in fondo, se i fatti fossero stati soddisfacenti, Renzi avrebbe anche potuto presentarsi in bermuda ed infradito all’incontro con la Merkel e non avremmo avuto nulla da dirgli se non i complimenti: purtroppo la riforma elettorale fa riferimento ad un sistema costituzionale ancora lungi dall’essere definito, con un Senato “non elettivo” non meglio definito. E che cosa dire della mirabile asta di auto blu indetta dal Governo: su 151 auto ne sono state vendute 22, ed al momento ci sono due auto alla strepitosa cifra di 200 €, una vera svolta per le casse dello stato!

Italia-Inghilterra, sfida senza tempo

“Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d'accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più” diceva negli anni ’50-’60 un Bill Shankly, uno degli allenatori più vincenti del calcio europeo, per ben 15 anni sulla panchina dei Reds. Difficile dargli torto, perché - si sa - ognuno di noi è cresciuto con un pallone fra i piedi e un idolo negli stadi: ci sono le generazioni della sfida Pelè-Maradona, come oggi esiste quella di Messi-Cristiano Ronaldo; e poi ci sono le sfide eterne e senza tempo, come Juve-Inter o Barcellona-Real Madrid, come Argentina-Brasile o Italia-Inghilterra. Il 14 novembre di 40 anni fa si giocava una partita che avrebbe fatto la storia del calcio europeo, quando nell’Imperial Stadium di Wembley l’Italia di Ferruccio Valcareggi si impone per la prima volta sui leoni inglesi oltremanica: il gol di Fabio Capello al minuto 86’ sconfigge finalmente un tabù che vedeva gli azzurri mai vincenti contro i padri del calcio, fin dalla prima sfida del 1933.

3 giugno 1963: muore il Papa Buono

Il pontificato di Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli, non è ricordato per la sua durata, sale sul soglio pontificio a 77 anni per rimanerci 5 anni, ma per aver convocato, dopo oltre 80 anni, un Concilio: era il 25 gennaio 1959, quando, Papa da soli tre mesi, annunciò "Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo Diocesano per l'Urbe, e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale".
Si tratta sicuramente del gesto che più di ogni altro rimane nell'opinione comune come il ricordo più evidente del breve ma intenso pontificato del Papa Buono. E tuttavia - senza voler fare classifiche - esiste un altro discorso altrettanto importante, che esula dal campo religioso ma si staglia nella storia dell'ultimo secolo come spartiacque fra la pace e la guerra: di tratta del radiomessaggio del 25 ottobre 1962.

Il parto della Repubblica ed i brogli del 2 giugno

La scheda di voto del Referendum Istituzionale
La nascita della Repubblica Italiana, il sogno politico di Mazzini, il peggior incubo dei Savoia, un evento storico le cui controverse vicende gettano ancora ombre sull’inconfessabile probabilità di un broglio elettorale in occasione del referendum istituzionale che decretò la fine della monarchia. Una data quella del 2 giugno, scelta all’epoca poiché anniversario della nascita di Giuseppe Garibaldi, che, nonostante tutto, festeggiamo, riconoscendo in essa la ri-nascita della patria. L’uscita dalla dolorosa esperienza della guerra civile, al contrario di quanto accadde per l’antica Roma, significò per l’Italia il passaggio dalla dittatura alla democrazia nonchè una totale rottura ideologica con un triste passato da dimenticare e riscattare. Tra gli elementi troppo compromessi con il Fascismo da poter passare indenni le epurazioni indette persino contro maestre e segretarie: coloro che di Mussolini avevano permesso l’ascesa: i Savoia. Per questo motivo, Vittorio Emanuele III il 9 maggio abdicò, come Carlo Alberto a Novara nel 1849, a favore del figlio, Umberto II, un nome legato a presagi tutt’altro che  propizi. Il secolo XX, infatti, era stato battezzato funesto per l’Italia, proprio col sangue di re Umberto I, assassinato a Monza nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci. Con l’abdicazione la corona sperò di riaccreditarsi agli occhi degli Italiani, attraverso un’immagine più fresca di quella di un re colluso con il Fascismo e fuggito nell’ora della prova per la patria; le forze della Resistenza, invece, considerarono finita la tregua istituzionale aperta da Togliatti a Salerno e indirono il referendum del 2 e 3 giugno, contestualmente all’elezione dei membri dell’Assemblea Costituente. Fu la prima volta alle urne per le donne italiane e si pensò che anche questo avrebbe contribuito ad una vittoria annunciata della Repubblica, dato l’orientamento in tal senso delle maggiori forze politiche: non solo le Sinistre per una lunga tradizione ideologia ma anche la moderata Democrazia Cristiana, come nelle intenzioni di De Gasperi e come emerso da un piccolo referendum interno.