“Io non ho nessuna coscienza: la mia
coscienza è Adolf Hitler” Queste parole, che era solito ripetere Hermann
Goring, il delfino di Hitler, esprimono in modo singolarmente eloquente il
senso del nazionalsocialismo: una religione del sangue nella quale la moralità
delle azioni anziché essere dettata dall’imperativo categorico del Maestro
Interiore, è tale solo se conforme alla volontà dissennata del “capo
carismatico”, il fuhrer. L’esperienza totalitaria in Germania fu soprattutto
questo: una negazione di quei valori che attraverso i millenni il Cristianesimo
aveva sedimentato in Europa, con il concetto di uguaglianza di tutti gli uomini
in virtù del possesso da parte di ciascuno, dell’anima. Il nazionalsocialismo
fu il trionfo del materialismo, negare l’esistenza dello spirito, fa si che
gli uomini non possano essere considerati nulla più che la propria carne, il
proprio sangue, e dunque anche il concetto di una razza superiore, quella
ariana, non deve più fare i conti con quell’elemento immortale, l’anima, che
rende tutti uguali, indipendentemente dalle differenze riscontrabili in un
elemento perituro quale il corpo. La massima
di Don Sturzo, “Quando manca il senso del Divino, la scienza si applica ai
forni di Dachau”, esprime perfettamente che il Nazismo rappresenta proprio l’estrema
conseguenza, il punto più basso e abominevole nel quale l’uomo possa spingersi
nel trionfo di quel materialismo, cui nemmeno la società contemporanea sembra tanto
immune.
Goring |
Passando
in rassegna i ritratti dei maggiori collaboratori di Hitler, coloro cioè che
uniformarono a tal punto la propria volontà ai suoi intenti, da
accattivarsene la simpatia e la fiducia, si ha davvero l’impressione di essere
dinanzi dei dèmoni i cui sguardi tradiscono la follia delle menti e ne suggeriscono
le macchinazioni luciferine. Impossibile d’altro canto, non cogliere questi
elementi nell’espressione esaltata di Hermann Goring che sin dall’infanzia,
come raccontò la sorella, era solito esternare la violenza della propria
indole, giocando a far la guerra nel castello in cui crebbe. Aviere medagliato
della I Guerra Mondiale, nella quale combattè al fianco del leggendario Barone
Rosso, fu poi il più stretto collaboratore di Hitler, del quale ammirava il
cameratismo e l’antisemitismo: al suo fianco sin dal ’22, ne divenne il braccio
destro nonché l’erede designato. Goring, ancor prima che la responsabilità
politica, vide nella propria posizione di plenipotenziario dell’industria
tedesca, un mezzo di arricchimento personale, e, nell’esperienza
nazionalsocialista, la possibilità di vivere come un moderno Lorenzo il
Magnifico, circondandosi delle più belle opere d’arte del mondo. Ma il Male non
sempre assume i gusti eccentrici di Goring, spesso ama nascondersi laddove a
nessuno verrebbe in mente di cercarlo: nella banalità.
Himmler |
In questi termini la
filosofa Hannah Arendt parlò di Heinrich Himmler, il capo delle SS e della
Gestapo. Questo marito così devoto e scrupoloso da poter essere considerato un
capo-famiglia modello, utilizzò tutta la propria diligenza nella pianificazione
dello sterminio sistematico di milioni di persone, mostrando quale effetto raccapricciante
può avere coniugare la follia, di per sé irrazionale ed istintiva, con la
meticolosa freddezza di un burocrate. Anche Himmler così come Hitler, il quale,
da buon salutista, era immune dalla maggior parte dei vizi che affliggono l’umanità,
celava dietro questa continenza, una morbosa attrazione per l’occulto, espressa
nella devozione a pratiche pagane e nell’ossessione per le forme perfette
caratteristiche della razza ariana, in nome della quale predispose la morte di
milioni di Ebrei.
Mengele |
Questa
dialettica tra follia e ordine, propria di un regime autoritario (l’ordine) fondato
sul mito di una fantomatica razza superiore (la follia), è espressa dal sorriso
del dottor Josef Mengele, “l’angelo della morte”. Le testimonianze raccontano
che al campo di Auschwitz, nel quale il piacente medico di regime aveva la possibilità
di condurre i propri esperimenti di genetica, spesso conversasse amabilmente
con i prigionieri, sempre elegante e profumato tanto che molte donne nel campo
se ne invaghirono. Tuttavia a questo lato affabile, si accompagnavano spesso
momenti di pura malvagità nei quali era capace di lasciarsi andare a scatti d’ira
anche con i suoi collaboratori tedeschi e di uccidere decine di cavie umane a
colpi di rivoltella. Aneddoti che bene tratteggiano l’indole di un uomo tanto spietato da condurre gli esperimenti che Gregor Mendel aveva fatto su
piante di pisello, su gemelli omozigoti ebrei e slavi, considerati nulla più di
cavie.
Goebbels |
Nessuna
possibilità di fraintendere invece il volto da becchino di Joseph Goebbels, l’uomo
della propaganda di Hitler con il quale condivise la tragica fine nel buncher
di Berlino, non facendosi scrupolo di uccidere con sé e la moglie, anche i sei
figli. L’efferatezza di quest’uomo, tanto cieco alla morale quanto sordo alla
verità, come dimostra il suo motto, “Ripetete una bugia cento, mille, un milione
di volte e diventerà verità”, mostra come il regime nazista piuttosto che dalle
idee, fu animato dall’emozione suscitata da una propaganda, tanto più in grado
di coinvolgere le masse quanto più capace di cogliere le spinte della
primordiale volontà di autoaffermazione presenti nel cuore di ogni uomo. Per
poter comprendere, dunque, il nazionalsocialismo non si può non guardare agli uomini che di tale regime furono i massimi esponenti, riuscendo a uniformare alla propria volontà un popolo intero,
grazie all’abilità di leggere la segreta seduzione della volontà di potenza,
prima di tutto negli squilibri della propria mente.
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