Non sarà primavera quest'autunno

Oramai oltre un anno e mezzo fa aveva inzio la cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”: il 18 dicembre 2010 l’ambulante tunisino Mohamed Bouazizi si suicidava dandosi fuoco come estremo gesto di protesta nei confronti della polizia del suo Paese, dando inizio ai moti che nei successivi mesi avrebbero preso il nome di “Primavera Araba”. Nei 20 mesi che ci separano da quei giorni hanno perso la propria poltrona presidenziale, se non la vita, quattro capi di stato: in Tunisia Ben Ali, il defunto Muammar Gheddafi in Libia, Mubarak in Egitto e Ali Abdullah Sale in Yemen. Comuni denominatori dei governi di questi quattro uomini di potere sono sicuramente molti: corruzione e cattivo governo, povertà, fame e malcontento nella popolazione, assenza di libertà individuali, violazione di diritti umani, disoccupazione esorbitante, aumento irrefrenabile del prezzo dei generi alimentari, desiderio di rinnovamento del regime politico; volendo rimanere sugli inoppugnabili dati numerici possiamo ritenere quest’ultimo il piú importante, considerata la lunga durata dei loro governi: il piú giovane, quello tunisino di Ben Ali, datava il suo inizio nel lontano 1987, Gheddafi addirittura nel 1969. 
La continuità politica che ha caratterizzato gli ultimi decenni di questi paesi e che ha esasperato la popolazione sino ai sanguinosi mesi di rivolta che purtroppo ben conosciamo sono una realtà tristemente comune e che, se accompagnata da altri pericolosi campanelli d’ allarme, possono farci temere nuove rimostranze che rischiano di portare molti paesi nelle misere condizioni attuali di Libia, Tunizia, Egitto e Yemen. Basti volgere la nostra attenzione ai paesi del ex-blocco sovietico, quelli del centro-Asia, che non hanno subito, a differenza di quelli “europei”, quel processo di “globalizzazione” - o “occidentalizzazione” che dir si voglia - che hanno consentito a molti di questi paesi di entrare nell'orbita dell'Unione Europea.  
Saparmurat Niyazov
Uzbekistan e Kazakistan vedono le proprie poltrone presidenziali occupate rispettivamente dal 1990 e dal 1991; il presidente del Turkmenistan é stato dal 1990 al 2006 Saparmurat Niyazov, alla cui morte la continuità é stata bene o male garantita da Berdymukhamedov.
Il timore di divenire da un momento all’altro i protagonisti di una nuova “primavera” asiatica ha provocato opposte reazioni: da una parte, consci del ruolo primario ricoperto dai social network e dalle telecomunicazioni, sono stati notevolmente incrementati i controlli da parte del governo di accesso a Facebook, Twitter e Internet in generale, prendendo lezioni dalla maestra Cina. E’ tuttavia innegabile che vi é stato allo stesso tempo un atteggiamento di apertura, che lascia ben sperare per la futura stabilità delle repubbliche centro-asiatiche: ne é un esempio la condotta dell’Uzbekistan, che ha effettuato diverse riforme politiche e amministrative e si é distinto per l’evidente cambio di atteggiamento nei confronti dei prigionieri politici, il cui numero é sostanzialmente diminuito.
La posizione geografica dei Paesi in questione é inoltre estremamente importante per l’equilibrio dell’Asia e del mondo intero: una serie di rivolte della veemenza di quelle nordafricane comporterebbe una pericolosa destabilizzazione della zona, rischio che non  possono correre le due vicine superpotenze Cina e Russia. Appare dunque scongiurato – almeno per ora – che il prossimo autunno sia caldo quanto la primavera dell’anno scorso.

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