FOIBE: il dramma rimosso



Foibe. In questa oscura parola è racchiusa la tragedia dell’Italia nord-orientale la quale riassume in sé le più dolorose vicende del secolo scorso e l’ansia di un tremendo e temuto destino per le oltre 15 mila vittime. Paurosa parola, Foibe, che mette ancora brividi a coloro che videro risalire da una fossa i cadaveri dei fratelli, vittime di un massacro consumatosi in due atti, il primo successivo all’otto settembre e ancora nel maggio 45 quando i titini occuparono Trieste per 40 giorni, vittime i primissimi di vendette collettive, la cui esecuzione si trasformò con l’arrivo delle truppe rosse dall’entroterra, in metodo per gli oppositori del regime nazionalcomunista jugoslavo quali , oltre i civili, anche i gruppi di liberazione nazionale bianchi. Costoro, proprio perché rappresentanti della nuova Italia, erano molto pericolosi nella prospettiva delle rivendicazioni territoriali titine al tavolo della Pace che di fatto ratificherà l’ignominiosa occupazione di Friuli, Dalmazia ed Istria, confinando 350 mila di Italiani al dramma dell’esilio. Il loro naufragio, gravoso costo della necessità da parte delle forze alleate di assecondare Tito che li relega a vittime della storia, venne appesantito dai silenzi,dalla marginalizzazione, dalla mancanza di attenzione da parte della politica, nonché dall’odio comunista che li designò come volontari esuli dalla dittatura del proletariato. 
La nostra storia millenaria ci impone di fare del passato un fedele maestro della cui lezione, opportunamente appresa attraverso un'attenta documentazione, dobbiamo far tesoro nella quotidianità della nostra attività intellettuale e ancor più nel responsabile esercizio dell'italiana cittadinanza. In virtù della secolare fratellanza, già solo il dovere naturale derivante da codesto legame, grida al nostro cuore di ricordare con dolore coloro che morirono per la sola colpa di essere italiani, ma l'identificazione nella medesima istituzione statale, cui apparteniamo e la cui nascita passò per il travaglio di un'estenuante lotta per la libertà, impone il categorico compito di piangere i nostri fratelli vilmente uccisi come dei martiri. Non esiste per qualsivoglia Paese, possibilità di un avvenire degno dell'essere umano, se quel Paese non sia prima capace di fare i conti con la sua storia. Il che significa, luce sul bene, ma, ancor prima, sul male che quel Paese ha segnato. E tra il male che questo Paese ha sofferto, stanno in primo luogo, le migliaia di individui, che nelle foibe, per mano assassina hanno trovato morte crudele: per una ragione, anzitutto, per essere, sentirsi e voler restare cittadini di questo Paese. Un Paese che, nelle sue espressioni istituzionali, per oltre mezzo secolo, li ha rimossi, ancor prima che dai libri di storia, dalla propria coscienza. Questo silenzio ha assordato per decenni la memoria di oltre ventimila uomini, donne, anziani, bambini, lasciati morire nel buio di una foiba, seppelliti vivi tra i morti, gettati nelle tombe carsiche l'uno incatenato all'altro perchè si risparmiassero le pallottole. La memoria di maestri, preti, soldati, operai, studenti seviziati e uccisi dalle milizie comuniste jugoslave nelle scuole, in strada, in Chiesa, in casa propria, uccisi per odi personali o interessi economici, innocenti vittime degli irredentismi e della partigianeria. 
L'insipienza e la viltà degli obblighi di partito hanno segregato nelle foibe del silenzio migliaia di cadaveri disseminati senza pietà lungo il confine nordorientale d'Italia: la nostra cortina di ferro fu un muro di martiri giuliani, dalmati, istriani, fiumani, olocausto umano sull'altare di Yalta, della spartizione a tavolino dell'Europa, pagata sulla pelle dei nostri fratelli. Sulla pelle di giovani donne torturate con tenaglie roventi, rinchiuse in gabbie di ferro, stuprate ed esposte al ludibrio degli uomini di Tito. Gli ignobili silenzi degli storici di partito e l'omissione complice della scuola pubblica italiana che, anzichè ricordare la disperazione dei 350 mila esuli italiani di Fiume, dell'Istria, della Dalmazia, costretti ad abbandonare le loro case, le loro terre, i loro ricordi radicati nei secoli e la memoria dei loro Morti ed indignarsi dinnanzi all'assoluzione dei responsabili dello sterminio, ha fatto finta di dimenticare anche le migliaia di persone scomparse e mai ritrovate. La congiura del silenzio, orchestrata dalle Botteghe Oscure, con il bene placito dell'Arco Costituzionale, è un ulteriore sterminio, un ulteriore sopruso ai martiri italiani, che accettarono di morire pur di non rinnegare il proprio sentimento di appartenenza al nostro Stato e agli esuli che tutto abbandonarono, tutto pur di sfuggire alla furia omicida degli assassini comunisti che perdurò fino all'inizio degli anni '50. Questa cospirazione mette in luce la vergognosa verità che in questo Paese gli odi di partito hanno non solo determinato decine di migliaia di vittime nella guerra civile seguita all’8 settembre e proseguita fino a dopoguerra inoltrato, ma addirittura fatto sì che nei già nominati luoghi del ricordo le brigate partigiane si unissero al 9° korpus titino nel sopprimere chiunque si opponesse all'occupazione jugoslava per poi cancellarne la memoria. Il protocollo rosso di questi carnefici, fatto di caccia alle streghe, pulizia etnica, massacri di civili, di deportazioni, ovviamente non punite internazionalmente, ha subordinato il sogno dell'insurrezione ed instaurazione della dittatura del proletariato alla vita di oltre ventimila italiani, affogati nelle trame contorte degli opposti irridentismi e vilmente sacrificati per la colpa di non voler assecondare l'espansionismo titino, appoggiato dalle stanze dei bottoni del Partito Comunista Italiano come attesta la lettera n.161,fascicolo 25049, inviata da Togliatti al Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi il giorno dopo la strage della Brigata Osoppo a Porzus (incensata anche dal futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini); lettera nella quale egli minaccia di scatenare una rivoluzione qualora il CLNAI si fosse opposta all'occupazione jugoslava. Sei mesi prima il rappresentante del Pci presso il IX korpus titino, Vincenzo Bianchi, aveva indicato di liquidare le formazioni partigiane che si fossero opposte all'avanzata degli slavi in Friuli, ordini poi a più riprese sottolineate dai vertici del PCI. Le stragi degli infoibati, consumatesi in due fasi, la prima durante la guerra Civile (come testimoniano i vari macabri ritrovamenti fatti a Gorizia, Fiume e in Istria e Dalmazia) e la seconda, avente come epicentro Trieste, messa in atto durante i quaranta giorni di occupazione del capoluogo giuliano da parte dei titini (1/05-12/06), la quale trova il proprio emblema nella foiba di Bassovizza che, a differenza di Auschwitz, nota meta turistica, è stata chiusa per evitare ulteriori indagini, ma che al pari della località polacca esprime tutto il dramma della guerra. 
Ecco, la considerazione del genocidio degli Italiani come un dramma di serie B rende giustizia alla memoria di questi martiri? Rende forse giustizia alla memoria di chi rinunciò alla propria vita per aver rivendicato l'appartenenza della propria storia all'Italia? Una storia comune che deve farci sentire tutti dalmati, giuliani, istriani e fiumani, e che l'estremo sacrificio degli infoibati è al tempo stesso un'onta, per l'atto in sè, i silenzi che lo avvolsero, l'indifferenza prima e il disinteresse poi degli italiani (solo il 38% conosce i fatti) e un mirabile esempio di nobile amor patrio, rispetto al quale non possiamo che, chinando il capo, impegnarci a vivere la nostra italianità in modo più intenso, obiettivo, avveduto e consapevole che gli odi tra fazioni contrapposte (i quali dilaniano il nostro paese dalla notte dei tempi) nel corso dei secoli, anche quando l'Unità d'Italia raccolse il nostro popolo sotto un'unica bandiera, hanno avuto come estrema conseguenza il sacrificio di migliaia e migliaia di innocenti. Il ricordo dei martiri delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati ci invita a guardare dentro di noi per ponderare oculatamente tali riflessioni e solerzie che la forza della verità storica ci pone innanzi insieme alla sconvolgente realtà che un popolo che dimentica i propri martiri, non può considerarsi tale.

2 commenti:

  1. Foibe è forse la sola parola friulana tradotta in tutte le lingue. Foibis al plurale. Giá nel dizionario Pirona anche come floibe. Altre espressioni: Trái te foibe, gettare alla discarica. Foibastri, discarica. Infoibâts dal taremot, morti sepelliti durante il terremoto.

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  2. Grazie della notazione linguistica: avremmo preferito tutti che il termine non passasse alla storia per una così triste vicenda...

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