Il rogo dei Templari


Non nobis, Domine, non nobis sed nomini Tuo da gloriam: questo il motto del più famoso ordine monastico della storia, quello dei “Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Gerusalemme” , meglio conosciuti come semplicemente “Templari”, il cui fascino continua a vivere oltre che nelle pagine dei libri di storia riguardanti le Crociate, in trasmissioni televisive, pellicole cinematografiche e videogiochi, dedicati ai misteri dell’ordine. La parabola templare, a dire il vero, fu brevissima, poco più di due secoli: fondato nel contesto della prima crociata, quella di Goffredo di Buglione (1099), cantata dal Tasso nella “Gerusalemme Liberata”, riconosciuto ufficialmente nel 1129, l’ordine venne sciolto dal concilio di Vienne (1311-1312), dopo un lunghissimo processo-farsa contro di esso, lanciato il 13 ottobre 1307 dal famigerato Filippo IV di Francia. Il rogo dell’ultimo Gran Maestro templare, Jaques de Molay, a Parigi il 18 marzo 1314, fotografa mirabilmente la fine dei fasti del papato medievale, mostrandone la debolezza dinanzi i capricci, nemmeno di un Imperatore, ma di un Re regionale. Da quel momento la Chiesa, che aveva fieramente affermato la supremazia del Vicario di Cristo su ogni principe terreno con i gloriosi pontificati di Gregorio VII (il Santo Ildembrando di Soana) e Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni), dovette abbandonare ogni velleità universalistica e si ritrovò limitata a semplice dipartimento francese per opera dell’inetto Clemente V. Con la sua elezione, il papato conobbe la propria deportazione in Babilonia: i 70 anni di cattività avignonese, inaugurati dal blasfemo sodalizio tra il papa, il francese Bertrand de Got, e Filippo il Bello, colui che nell’autunno 1303 non si era fatto scrupolo di maltrattare papa Bonifacio VIII, in occasione dell’episodio che la Storia ricorderà come lo “schiaffo di Anagni”.
E proprio contro Bonifacio la strana coppia aveva condotto un primo processo postumo, caratterizzato da menzogneri capi d’imputazione, simili a quelli mossi poi contro l’Ordine templare. Quest’ultimo venne accusato di sodomia, pratiche omosessuali, riti diabolici nonché rinnegamento di Gesù, sputo sulla Croce durante l’iniziazione e adorazione dell’idolo pagano Bafometto. Entrambe le inique azioni giudiziarie avevano un preciso movente da parte del re di Francia: con il Paese in bancarotta e coperto di debiti fino al collo, non vide miglior modo di risanare le casse che confiscando i beni ecclesiastici e in particolare quelli del ricchissimo Ordine dei Templari. Esso in Francia, dove era nato, possedeva terre, abbazie, castelli, fortezze, nonché un immenso patrimonio finanziario costituito dalle decime offerte per le Crociate, donazioni di vari nobili ed altre pie elargizioni. Non bisogna, a tal proposito, dimenticare che i Templari svolgevano anche l’attività di banchieri quali prestiti, trasferimenti di somme in Terra Santa (al cui fine idearono l’assegno) nonché la riscossione delle decime papali. Una volta che  vennero definitivamente scalzati, nel 1291, dalla Terra Santa, alla cui difesa in un secolo e mezzo avevano sacrificato 12 mila uomini e 7 Gran Maestri, i Templari dovettero tornare in Europa nella generale antipatia di molti potenti, invidiosi della loro immensa ricchezza.
L’operazione di soppressione dell’Ordine, voluta da Filippo IV, ebbe inizio il 14 settembre del 1307 quando legati del re vennero inviati in tutte le province per radunare un esercito di 50 mila uomini, necessario all’esecuzione di un ordine reso noto solo il 13 del mese successivo. In tale data scattarono ovunque gli arresti di membri e dignitari templari. Nessuno di essi oppose resistenza, benché fossero abili soldati dato il carattere cavalleresco dell’Ordine, giacchè confidavano nella protezione della Chiesa. Tale tutela però non ebbe mai luogo, anzi la soppressione dell’Ordine venne decretata proprio nel Concilio di Vienne per “legittima suspicione”, nonostante la Pergamena di Chinon, rinvenuta nell’Archivio Vaticano, testimoni la volontà del papa di perdonare i templari, con un’assoluzione concessa nel 1314 ai dignitari dell’Ordine. Fatto sta che pochissimi dei 15 mila membri francesi riuscirono a salvarsi, fuggendo in disparati stati della Cristianità; gli altri, sotto tortura, furono costretti a confessare e finirono sul rogo. 
Tra essi figura anche il nome illustre dell’ultimo dei 23 Gran Maestri della breve storia dell’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo: Jaques de Molay. Costui, dopo aver inizialmente confessato le false accuse (in caso di confessione la pena era l’ergastolo anziché la morte), decise di affrontare un valoroso martirio al pari di molti suoi predecessori.
Spogliatosi di ogni indumento eccetto quella camicia bianca con cui i primi Cavalieri di Gesù si erano presentati da Baldovino III per palesargli la propria volontà di difendere la Terra Santa, l’ultimo Gran Maestro chiese ai carnefici di essere assicurato al palo del rogo, rivolto verso la Vergine Maria, Madre di Dio (in termini geografici verso la Cattedrale di Notre Dame de Paris). Dopo l’ultima preghiera, il Gran Maestro convocò davanti al Tribunale di Dio il Papa entro 40 giorni e il Re nel giro di un anno: Clemente V morì dopo 37 giorni, otto mesi dopo si spense Filippo il Bello.
Vocazione al martirio, Spiritualità, Mistero: il rogo dell’ultimo Templare rappresenta perfettamente i termini in cui si consumò l’esperienza di un Ordine di monaci guerrieri, nato per difendere la Terra Santa e scomparso, ironia della Storia, proprio in concomitanza con la perdita definitiva di essa, come se ormai il suo compito si fosse esaurito e non potesse giovare in altro modo alla Cristianità. Giovò, certamente, invece, a Filippo il Bello, allettato dalle sue infinite ricchezze. Tuttavia, se il famigerato re francese strappò all’Ordine il tesoro finanziario, non altrettanto riuscì a fare con il patrimonio più prezioso dei Templari, l’affascinante aura di mistero che ne circonda una memoria che di certo non finì bruciata sul rogo di Parigi.



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