Un
sorriso, il sorriso di Dio, Albino Luciani, e come un sorriso, dolce, semplice,
fugace. Appena 33, come gli anni della vita terrena di Cristo, i giorni del suo
pontificato, passato sulla tarda estate romana del 1978, veloce come una
brezza. Mai, come nel suo caso, abbondano segni, particolari, che, post
eventum, è difficile non interpretare come presagi dell’inspiegabile,
misteriosa morte: ad esempio, quella fumata nera che ne annunciò l’elezione.
Tuttavia, per quanto breve, il pontificato di papa Luciani, non fu meteora, in
nemmeno 5 settimane, lasciò un marchio indelebile nei cuori dei fedeli e nella
storia della Chiesa.
Primo successore dell’apostolo Pietro ad usare un doppio
nome, in forma di ossequio ai predecessori (Giovanni XXIII e Paolo VI), papa
Luciani rinunciò all’incoronazione con la tiara e all’uso del pluralis
maiestatis, deciso a non incorrere nel culto della personalità del papa e
rimettere al centro di tutto, solo il Cristo. Humilitas, il motto del suo
stemma e di uno stile pastorale che non abbandonò nemmeno sul soglio
pontificio, rivolgendosi alle folle come un catechista di parrocchia, memore
che il Vangelo è fatto per i semplici. A 34 anni di distanza (venne eletto il
26 agosto ‘78), quei 33 giorni appaiono come una parabola, una parabola
celebrante la piccolezza evangelica incarnata da un papa, parroco dell’intera
Cristianità. Dopo le prime udienze, in una delle quali per spiegare la virtù
teologale della Fede, aveva recitato, con la sua tipica parlata veneta, una
poesia di Trilussa, scritta in dialetto romanesco, venne, sarcasticamente,
definito un Don Camillo in Vaticano. Rispose: posso essere una ciabatta rotta ma è Dio che opera in me. Un
aneddoto che esprime bene il carattere di Albino Luciani: semplice, buono ma
inflessibile. L’aveva già dimostrato da Patriarca di Venezia con la condanna dei
cattolici a favore del divorzio e nella strenua battaglia contro la vendita da
parte dello IOR della Banca Cattolica Veneta al banchiere Roberto Calvi. Da
papa era intenzionato a fare i conti con i mercanti nel tempio ed operare un
repulisti nella curia romana, pare, peraltro, scosso dalla pubblicazione sulla
rivista scandalistica OP (Osservatore Politico ndr) di una lista di 121 alti
prelati membri della Massoneria, il fumo di Satana entrato nelle sacre stanze,
come aveva detto Paolo VI?
Del
futuro organigramma vaticano Giovanni Paolo I, parlò con l’allora Cardinal
Segretario di Stato Villot, la sera del 28 settembre: il giorno della sua
morte. Una morte misteriosa, mancante di molti tasselli capaci di renderne la
ricostruzione pienamente trasparente. Una morte, sulla quale inquietanti ombre
gettò la decisione di non procedere all’autopsia del Santo Padre e ancor di più
il clima di piombo di quel 1978 in cui si consumarono il rapimento e l’omicidio
di Aldo Moro e la cui pesantezza è testimoniata, proprio quel 28 settembre,
dall’assassinio del giovane comunista Ivo Zini all’Alberone.
E forse tanti
sospetti sulla morte di Giovanni Paolo I nacquero proprio per la suggestione
generata dal carattere asfissiante di quell’ultimo e più tremendo anno del
decennio stragista. Tuttavia è innegabile che influì anche il carattere affatto
trasparente dei comunicati ufficiali vaticani. Venne scritto che il papa era
stato ritrovato morto dal proprio segretario personale anziché, come invece fu,
dalla suora che era solita portargli il caffè alle 5 ogni mattino. Spiegazione:
si ritenne poco conveniente rivelare che era stata una donna a trovare il papa
morto nelle proprie stanze. Altro mistero, l’ora e la causa del decesso. La
versione ufficiale vorrebbe che Giovanni Paolo I sia morto per infarto al
miocardio verso le 11 di sera. Tuttavia gli imbalsamatori del Pontefice,
affermano che alle 9 del mattino, lo stato di rigor mortis non potesse far
pensare ad un’ora del decesso precedente le 5, d’accordo con le memorie di suor
Vincenza Taffarel, governante del papa, alla quale dopo la morte di Luciani
venne imposto il voto del silenzio. Ella, scrisse, potè constatare che la
fronte del Santo Padre era ancora tiepida quando lo ritrovò morto. A tutti
coloro che ebbero modo di vedere il defunto ancora nel suo letto, inoltre,
rimase impressa l’espressione sorridente del suo volto, il che fa pensare ad
una morte indolore, sopraggiunta come un ladro nella notte, senza che nemmeno Luciani
se ne accorgesse. Ciò esclude, come causa del decesso, un infarto che uccide
tra atroci dolori e lascia segni evidenti di sofferenza, accredita, invece,
l’ipotesi dell’embolia, come quella che già lo aveva colto, ad un occhio, in un
viaggio in aereo in Brasile nel 1975. All’epoca dei fatti rivelò alla nipote che
qualora l’embolo si fosse fermato da qualche altra parte, anziché nell’occhio,
sarebbe morto senza nemmeno accorgersene, come probabilmente fu in quella notte
di inizio autunno del 1978. Ogni ragionevole dubbio su tale ipotesi verrebbe
tolto da Edoardo Luciani, il fratello del papa, il quale ricorda nella famiglia
di Giovan Paolo I almeno altri 3 casi di persone morte dalla sera alla mattina
senza aver mostrato il benché minimo sintomo o malessere.
Certo
è che, per poter creare un caso, il materiale non mancò. Sembrò impossibile non
collegare il carattere improvviso ed inaspettato della morte a quello innovativo
delle riforme di Luciani. Sempre OP, che aveva messo in guardia
sull’inflessibilità del papa riguardo gli uomini di Chiesa collusi con il
potere, pochi giorni prima della sua morte, parlò, senza apparente ragione, del
suo cattivo stato di salute, ricordando che il papa, giovane prete, era stato
malato di tubercolosi e una volta tisico,
sempre tisico. In effetti, nemmeno il papa fece mistero di essere stato
ricoverato ben 8 volte in ospedale, tuttavia, benché sia immaginabile lo stress
cui il Santo Padre venne sottoposto in quel mese, bisogna dire che ciò non
costituisce di per sé un elemento in grado di dare una spiegazione diversa da
quella dell’embolia, giacchè Luciani era, da sempre, abituato a
svegliarsi alle 4 e andare a dormire alle 23, come racconta il fratello (suor
Teresa disse che stava meglio a Roma che a Venezia). Inoltre, il buon senso
suggerisce che il Sacro Collegio non avrebbe mai eletto un papa in cattivo
stato di salute: Luciani era sì cagionevole ma perfettamente sano. Un giallo a
parte, il quale ha contribuito a fomentare le voci su un possibile omicidio a
causa della volontà di Giovanni Paolo I di fare un repulisti in curia, è
costituito da ciò che il papa stesse leggendo nel momento della morte. Il
segretario personale afferma che si trattava di appunti per un’omelia, i
complottisti azzardano che tali appunti riguardassero il futuro organigramma,
mentre la tesi ufficiale fu quella che papa Luciani stesse leggendo il testo
medievale “L’imitazione di Cristo”, una versione, questa, certo più romantica, la
quale, per quanto falsa, ben si concilia con il carattere del Pontefice.
Quello
delle carte del papa, comunque, è un elemento marginale e le discordanze del
comunicato ufficiale sono imputabili alla disorganizzazione dell’apparato
burocratico vaticano, impreparato a gestire un evento così insolito e privo di
molti membri, mandati in licenza dopo il conclave.
Inoltre, perché mai la curia avrebbe dovuto assassinare un papa appena eletto e di cui,
in conclave, tutti conoscevano il temperamento? Per la sostituzione del
Segretario di Stato Villot con Benetti? Ma il conclave aveva eletto il
moderatamente conservatore Luciani, papa, ben conscio che Benetti sarebbe stato
il Segretario di Stato, energico amministratore degli affari terreni della
Chiesa (questi pare gli accordi tra i cardinali, tessuti dallo stesso Benetti).
Alla
luce di quanto detto, bisogna ammettere che molte suggestioni sulla morte di
Albino Luciani risultano condizionate da un elemento che trascende la
pesantezza plumbea di quel 1978, macchiato di un altro tragico mistero, il
rapimento Moro il cui carattere controverso certamente contribuì a far vedere
complotti dappertutto, anche dove non ce n’erano: l’amore che il papa aveva
suscitato in tutti i fedeli, rendendo loro ancor più inaccettabile la sua
scomparsa.
Tuttavia,
quella di Giovanni Paolo I, come ogni parabola, offre il proprio insegnamento
nella conclusione: la morte di papa Luciani, giunta come un ladro nella notte –
un ladro che lo trovò, come le savie vergini del Vangelo, vegliante – nella sua
imprevedibilità, mostra in maniera eloquente la precarietà e, con essa, quell’inutilità
propria dei servi di evangelica memoria, la quale invita ogni operaio della vigna
del Signore alla consapevolezza della propria miseria, l'umiltà, la virtù a cui tutta la vita di Albino Luciani sorrise.
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