Quando la Rivoluzione dura un secolo


La storia umana è da sempre caratterizzata da un innato interesse per l’ignoto, da una recondita tendenza alla novità, che esercita sull'uomo un innegabile fascino. Non c’è periodo storico né circostanza politico-sociale che riesca a reprimere questa propensione naturale dello spirito umano, a tal punto che alcuni storici contemporanei definiscono il periodo in cui viviamo “quarta rivoluzione industriale”, definizione che presuppone il riconoscimento storiografico di altre tre rivoluzioni industriali.

Appare tuttavia, se non sbagliato, quantomeno impreciso attribuire il termine Rivoluzione ad un fenomeno di così lunga durata e che interessa le diverse regioni dell’Europa in periodi storici così diversi fra loro, quale appunto la cosiddetta Prima “Rivoluzione” Industriale. La categoria storiografica della Rivoluzione comprende infatti avvenimenti che si caratterizzano per una repentina trasformazione della società, che rappresentano l’apice di un’improvvisa accelerazione in un processo di cambiamento storico, sociale e politico. La Prima “Rivoluzione” Industriale tuttavia non sembra rispondere appieno a tali caratteri distintivi, così da sembrare estranea a questa categoria: essa difatti ha le sue origini nella seconda metà del XVII secolo ed arriva poi ad affermarsi pienamente in Inghilterra un secolo dopo e nell’Europa Orientale poco più di cento anni fa, coprendo un lasso di tempo che supera abbondantemente il secolo.

Ciò nonostante nessuno può negare quanto gli effetti di questo fenomeno siano stati innovativi e sconvolgenti, seppure diluiti in un ampio lasso di tempo: “possiamo riassumer[li] tutti in tre principi: la sostituzione delle macchine [...] all’abilità ed alla fatica umana; la sostituzione di fonti inanimate di energia a quelle animali [...] ; l’uso di nuove e assai più abbondanti materie prime”[1]. La storiografia è inoltre unanime nel riconoscere all’Inghilterra il primato in questo fenomeno, individuando le cause di tale superiorità in elementi che non fanno altro che mettere in luce la lentezza di questo fenomeno: Joel Mokyr, storico inglese dell’economia e della tecnica, ritiene che “la formazione del capitale umano, prima e durante la [Prima] Rivoluzione Industriale, dipendeva da un ambiente sociale piuttosto peculiare. La Gran Bretagna già di una sorta di <<classe media>>, cioè di persone che sapevano leggere e scrivere, ben nutrite, di estrazione commerciale e artigianale. Questa classe fornì in Gran Bretagna la gran parte dei fondatori di grandi imperi industriali ed è fuor di dubbio che anche le menti tecniche più creative provennero in larga misura da questa classe”[2]. Mokyr afferma in questo modo la superiorità tecnologica dell’Inghilterra rispetto agli altri Paesi europei, e nel descrivere tale situazione fa riferimento a fenomeni di lunga durata, come le modificazioni sociali e culturali sul rapporto fra ricerca scientifica e progresso tecnologico.
Allo stesso modo Patricia Hudson nell’analizzare le modificazioni dell’agricoltura alla base della “Rivoluzione”, afferma: “la storia dell’agricoltura inglese fra la fine del XVII e la metà del XIX secolo è solitamente vista come un grande successo dal punto di vista dell’economia nel suo complesso”[3]. E ancora: “il Settecento vide un’ulteriore concentrazione della terra nelle mani degli agricoltori commerciali”[4]. È dunque evidente che questi mutamenti non possano vantare quelle caratteristiche di immediatezza e rapidità insite nel termine stesso Rivoluzione se anche la storica per descriverli ne presenta una cronologia nell’ordine dei secoli.

“La filatrice non poté più far girare la sua ruota ed il tessitore avvolgere la sua spola in casa, senza controlli, l’una e l’altro nelle ore che preferivano; adesso il lavoro doveva essere svolto in una fabbrica, al ritmo stabilito da un attrezzo instancabile ed inanimato, nell’ambito di una schiera numerosa di operai che doveva cominciare , sostare e smettere all’unisono”[5]. Landes presenta così la nascita di una nuova classe sociale, quella degli operai, proponendola dunque come logica ed inevitabile conseguenza della “Rivoluzione”: tuttavia, trattandosi di una modificazione in ambito sociale, non può che essere avvenuta in un lasso di tempo piuttosto prolungato.

In conclusione, se alla base della “Rivoluzione” ci sono fenomeni di durata quasi secolare e i suoi effetti si sono trascinati sino a poco più di un secolo fa, è difficile attribuirle un termine utilizzato per definire eventi forse non così drasticamente sconvolgenti per l’uomo che li vive ma di durata infinitamente minore.



[1] Davis S. Landes, Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale, Einaudi, Torino 1978
[2] Joel Mokyr, La leva della ricchezza. Creatività tecnologica e progresso economico, Il Mulino, Bologna, 1995
[3] Patricia Hudson, La rivoluzione industriale, Il Mulino, Bologna, 1995
[4] Ibidem
[5] Davis S. Landes, Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale, Einaudi, Torino 1978

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