Gli eventi
della seconda parte del 1700 e dei primi anni del secolo successivo sono di
assoluta importanza per la storia dell’Europa e dell’America, a tal punto che
oscilla in questo periodo la data spartiacque che divide l’età moderna da
quella contemporanea: senza aver la pretesa di identificare questa data con l’anno della Rivoluzione
Francese o del Congresso di Vienna o con la discesa di Napoleone in Italia,
possiamo affermare senza timore di essere contraddetti che le due grandi
rivoluzioni di fine Settecento possono sono a tutti gli effetti i primi eventi
della Storia Contemporanea.
Difatti la
Rivoluzione Francese e quella Americana non segnano soltanto il completo
riassetto politico-sociale di una nazione e di la nascita di un’altra, ma
contraddistinguono in maniera inequivocabile anche la nascita della cultura su cui
fonda le basi la nostra società. In particolare le grande teorie politiche
sviluppate in questi anni non poterono essere ignorate nei secoli successivi né
in America né in Europa.
Allo stesso
modo alla base della Rivoluzione Americana vi sono tesi ed idee di matrice
innegabilmente europea, che nascono dalla vivacità e molteplicità intellettuale
che caratterizzava il Vecchio Continente e non aveva possibilità di esistere
oltre oceano; nonostante ciò l’intraprendenza delle tredici colonie e
l’apertura intellettuale degli Americani portò ad una Rivoluzione che
addirittura anticipasse quella che sconvolse la Francia, dove furono partorite tali
idee: la Rivoluzione Americana inoltre, partendo da ideologie molto vicine a
quelle che diedero il via a quella francese, giunge ad affermazioni di
significato ben diverso, soprattutto in ambito politico. Nell’ottobre
del 1765 il Congresso di New York affermava “che ai fedeli sudditi di sua
Maestà in queste colonie spettano tutti i diritti innati e tutte le libertà dei
sudditi nati naturalmente nel regno di Gran Bretagna”[1]. È
dunque chiaro come il principio di diritti innegabili ai sudditi americani e
l’ideale di uguaglianza canonizzato sotto la Bastiglia pochi decenni più tardi
fosse già presente in America agli inizi della Rivoluzione Americana. Tuttavia
l’assoluta novità di questa rivoluzione sta nell’ideale di rappresentanza
politica, presente fino ad allora solo nel sistema politico inglese, che è
sancito con forza nella dichiarazione dell’assemblea del Connecticut nel 1765:
“Tutte le forme di governo legittimo derivano dal consenso del popolo. Ogni
qualvolta i limiti [posti dal popolo] vengano oltrepassati, il popolo ha il
diritto di riassumere direttamente l’esercizio di quell’autorità che aveva
precedentemente delegato a determinati individui”[2].
Questa deliberazione, ben più drastica di quella newyorkese, pone le radici
ideologiche nella teoria di “contratto
sociale” già portato avanti da Hobbes e Locke fra XVI e XVII secolo, ma gli
eventi della Rivoluzione Americana si propongono di dare attuazione pratica a
principi teorici che in Europa erano rimati tali.
Appare quindi scontata la
reazione del Parlamento Inglese davanti a tali affermazioni di giustificazione
teorica della Rivoluzione: “E si dichiari e stabilisca inoltre, in base
all’autorità predetta, che tutte le deliberazioni, i voti, le ordinanze e i
procedimenti [...], che neghino o contestino il potere e l’autorità del
Parlamento di Gran Bretagna di emanare leggi e statuti sono nulle a tutti gli
effetti”.[3] Quanto affermato nel primo congresso continentale
americano nel 1774 a Filadelfia circa i diritti dei coloni conferma infine la
vicinanza fra le due Rivoluzione prese in esame; alcune delle affermazioni
pronunciate durante i lavori del Congresso sono rintracciabili anche nella
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che, elaborato nel corso
della Rivoluzione Francese, ha costituito uno dei più alti riconoscimenti della
libertà e dignità umana: “il fine di ogni associazione politica è la
conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi
diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza
all’oppressione”[4] si
afferma in quest’ultima, riaffermando ancora una volta quanto già sostenuto dal
Congresso: “essi i coloni hanno diritto alla vita, alla libertà e alla
proprietà: e che non hanno mai ceduto ad alcun potere esterno il diritto di
disporre di queste senza il loro consenso”[5].
[1] Dichiarazione del
Congresso di New York, New York, 1765
[2] Dichiarazione
dell’Assemblea del Connecticut, Connecticut, 1765
[3] Legge del Parlamento
inglese, Londra, 1766
[4] Dichiarzione Universale
dei diritti dell’uomo e del cittadino, art.2, Parigi, 1789
[5] Dichiarazione dei diritti,
risoluzione 1, Filadelfia, 1774
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