Per
22 lunghi anni fu l’Italia, come Mussolini, e, come per lo statista di
Predappio, la sua intensa esistenza venne caratterizzata da segreti,
contraddizioni, scandali, attentati, belle donne e un’enorme popolarità, accompagnata
da giudizi e sentimenti contrastanti espressi, emblematicamente, dai bagni di
folla che ne acclamavano il passaggio ma che, spesso, nascondevano la mano
assassina di qualche anarchico: questo, in estrema sintesi, il ritratto del
secondo Re d’Italia, Umberto I.
Nato
quando l’Italia era ancora un’espressione puramente geografica come aveva
ironizzato il Principe Metternich, architetto dell’Europa post-napoleonica, Umberto
ebbe la duplice responsabilità di portare il nome del fondatore della casa Savoia
e di succedere ad un re, quale Vittorio Emanuele II, la cui figura, amatissima,
era stata edulcorata dalla retorica unitaria e la cui memoria era ancora
vivissima nel momento in cui salì al trono.
Re Umberto I |
Sin
dalla tenera età, Umberto, mostrò di essere degno erede del padre, come
evidenziò non solo nell’attiva partecipazione alla II Guerra d’Indipendenza, ma
anche e soprattutto nella pari passione per le avventure galanti, prima tra
tutte quella con Eugenia Bolognini Litta, con la quale, una volta, venne trovato
a letto dalla stessa moglie, la regina Margherita. L’aveva sposata nel 1868, in
quelle che vennero definite “nozze del secolo”, alle quali, peraltro, è legata
anche la nascita del Corpo dei Corazzieri (predisposti da Vittorio Emanuele II
per scortare il corteo nuziale). I due consorti erano cugini, come era stato
anche per i genitori di Umberto I, e, benché, si trattasse di un matrimonio di
convenienza, la Regina Margherita, con la sua eleganza e il suo fascino
magnetico, contribuì, non poco, alla popolarità del Re, non solo presso il
popolo, ma anche presso le altre corone europee, come dimostrò l’incontro, nel
1881, con l’Imperatore Asburgico, Francesco Giuseppe, il quale rivide nella
regina, la sua Sissi, e, di conseguenza, avallò l’entrata dell’Italia nella
Triplice Alleanza, nominando, contestualmente, Umberto I, colonnello onorario
del 28° reggimento dell’esercito austriaco. Quello a Vienna fu soltanto uno dei
tanti viaggi compiuti insieme dai due coniugi che, sia in occasione del viaggio
di nozze che della salita al trono, fecero tappa nelle città di tutta la
penisola per conoscere meglio l’Italia e, soprattutto, gli Italiani.
La regina Margherita |
La
città a cui il Re era maggiormente legato, dopo Torino, città natale, e Roma,
sua sede, fu, sicuramente, Napoli nella quale Margherita dette alla luce il
principino Vittorio (il futuro re), benché una leggenda voglia che la regina
avesse partorito una bambina, subito sostituita, nella culla, da un maschio, in
modo tale da garantire la linea di successione, data l’impossibilità della
regina di avere altri figli. Nella città partenopea, Umberto I tornò nel 1872
in occasione dell’eruzione del Vesuvio e nel 1884 per sostenere la popolazione
afflitta da un’epidemia di colera, scelte dovute, in buona parte, alla volontà
dei Savoia di smorzare il nostalgico ricordo dei Borboni nel Meridione.
Tuttavia, proprio nell’amata Napoli, Umberto I subì il primo dei tre attentati
che dovette patire durante il proprio regno: il 17 novembre 1878, l’anarchico
lucano Giovanni Passanante si avventò sulla sua carrozza reale, armato di un
coltello, urlando “Viva Orsini, Viva la Repubblica universale!”. Il re riuscì a
difendersi con la propria spada, riportando solo una ferita al braccio, peggio
andò al primo ministro Benedetto Cairoli, il quale, per salvare il re, guadagnò
una medaglia al valore e una ferita alla coscia. Passanante, al quale Pascoli
dedicò un componimento di cui fece pubblica lettura, venendo per questo
arrestato, prima condannato a morte, e poi graziato, finirà i suoi giorni in
galera in pessime condizioni.
L'attentato di Capannelle |
Nonostante
l’irrigidimento delle disposizioni per la sicurezza del sovrano da parte del
Parlamento, Umberto I non schivò mai i bagni di folle dai quali era accolto
nelle varie città italiane in virtù del suo impegno per la riduzione della
tassa sul macinato, l’abolizione della pena capitale e l’estensione del
suffraggio. Una scelta, quella di non sottrarsi all’abbraccio del suo popolo,
che, nel 1897, quasi 20 anni dopo il primo, gli cagionò un secondo attentato. Nel
frattempo il re aveva riscosso la simpatia del poeta vate dell’Italia
Risorgimentale, Giosuè Carducci, il quale, in occasione della visita dei
regnanti a Bologna, catturato dalla bellezza della Regina Margherita, si era
convertito, da convinto repubblicano, in fervido monarchico e poeta personale
della sovrana. Ai successi in politica interna, tuttavia, vanno aggiunti i
disastri coloniali e lo Scandalo della Banca Romana, il quale fece vacillare le
gracili istituzioni del neonato Regno e vide coinvolto lo stesso Umberto I, il
quale aveva ricevuto alcuni prestiti dall’istituto di credito. Queste
ed altre rivendicazioni di natura sociale, furono alla base dell’attentato
dell’ippodromo Capannelle, a Roma, nel quale Pietro Acciarito tentò, invano di
pugnalare il re, rapido, come nella prima occasione, a schivare il colpo. Anche
Acciarito, come Passanante, subì una pena carceraria durissima con gravi
ripercussioni sulla sua salute mentale, nell’occasione, inoltre, venne
arrestato anche un suo amico, Romeo Frezzi, ucciso, in un paio di giorni, dagli
agenti nel tentativo di estorcergli una confessione di complicità.
Il fatale attentato di Monza da un'illustrazione dell'epoca |
Il
carattere rigido ed autoritario del Re, l’anno dopo, lo portò ad insignire
della Gran Croce dei Savoia il generale Bava Beccaris, per aver cannoneggiato,
il 7 maggio ’98, la folla che protestava a Milano per il costo del pane. Fu,
senz’altro, una delle pagine più nere di un periodo buio della storia unitaria,
caratterizzato da fallimentari campagne coloniali, conclusesi in carneficine di
soldati italiani, una pressione fiscale capace di affamare il popolo, la crisi
della politica dei notabili e l’inizio delle prime rivendicazioni sociali, con
la nascita del movimento operaio (diretta conseguenza dell’industrializzazione
italiana) e del Socialismo (il PSI sorse nel 1892).
Re
Umberto I non avvertì a pieno il carattere rivoluzionario di quest’epoca di
profonde trasformazioni e pagò, con il proprio sangue, una crisi delle stantie
istituzioni ereditate dal modello Cavour, nell’epilogo del 29 luglio 1900. Il
re era a Monza per presenziare alla conclusione del concorso ginnico “Forti e
Liberi”. Dopo cena si avviò verso il padiglione, sprovvisto, a causa del caldo,
della cotta di maglia che era solito indossare sotto la camicia. Alle 22:30,
contento di essersi sentito ringiovanire in compagnia di tanti atleti, si
riavviò verso la propria carrozza, mentre la folla intonava la Marcia Reale. Ad
attendere il passaggio della sua carrozza, tuttavia, c’era Gaetano Bresci con
un revolver 5 colpi: ne esplose tre, colpendo il re alla spalla, al polmone e
al cuore. Quando la carrozza arrivò alla reggia di Monza, il sovrano era già
spirato.
Si
spegneva così il secondo re d’Italia, il primo re degli Italiani, che, con il
proprio sangue, battezzò un secolo di cui il suo regno, caratterizzato da
contraddizioni politiche, tensione sociale, crescente bisogno del consenso
popolare e un culto della personalità a metà tra mito e dramma, fu emblematico
preludio.