"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali".
L'articolo 3 della nostra Costituzione rappresenta indubbiamente motivo di orgoglio per tutti gli Italiani, ed I suoi contenuti sono spesso richiamati - talvolta fuori luogo - nei dibattiti di attualità; appare dunque doveroso citare tale articolo nell'ambito di una vicenda che si è guadagnata in questi giorni i titoli di giornali e telegiornali: una scuola elementare del Trentino ha vietato ai bambini che la frequentano di fare il segno della croce o pronunciare la preghiera sui pasti nella mensa scolastica.
Il divieto di esprimere la propria fede in una delle sue manifestazioni più semplici pone la nostra attenzione sull'effettiva validità dell'articolo 3 e dell'uguaglianza formale e sostanziale che esso dichiara essere principi fondamentali della nostra Repubblica: dopo l'ormai arcinota questione del crocifisso nelle aule ci troviamo ancora una volta a discutere di una mancanza di rispetto camuffata da necessità di affermare quel principio di uguaglianza che in realtà non si fa altro che infrangere.
L'Italia non è nuova a situazioni di questo genere, che sollevano la questione dell'effettiva violazione dei principi che i Padri Costituenti posero alla base del nostro Stato: senza più valori saldi né certezze l'uomo, schiavo della propria presunta libertà, si erge a difensore di quegli stessi principi che ha ormai disconosciuto e dimenticato.