Il pontificato di Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli, non è
ricordato per la sua durata, sale sul soglio pontificio a 77 anni per rimanerci
5 anni, ma per aver convocato, dopo oltre 80 anni, un Concilio: era il 25
gennaio 1959, quando, Papa da soli tre mesi, annunciò "Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo
innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile
risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di
un Sinodo Diocesano per l'Urbe, e di un Concilio ecumenico per la Chiesa
universale".
Si tratta sicuramente del gesto che più di ogni altro rimane nell'opinione
comune come il ricordo più evidente del breve ma intenso pontificato del Papa
Buono. E tuttavia - senza voler fare classifiche - esiste un altro discorso
altrettanto importante, che esula dal campo religioso ma si staglia nella
storia dell'ultimo secolo come spartiacque fra la pace e la guerra: di tratta
del radiomessaggio del 25 ottobre 1962.

Nel 1960 un U-2 statunitense, un aereo spia in volo sugli Urali, viene
abbattuto, dando inizio ad una lunga serie di abbattimenti reciproci che si
concluderà solo dell'ottobre 1962: l'ultimo aereo cadde nell'ottobre di
quell'anno, a pochi giorni dal videomessaggio di Papa Roncalli.
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"Il braccio di ferro" tra le due K |
Il discorso del Papa venne trasmesso in diretta a mezzogiorno di quel
giovedì 25 ottobre 1962, per essere poi tradotto in svariate lingue, comprese -
ovviamente - inglese e russo: il tema della pace è sempre stato un tema caro a
Giovanni XXIII, che, constatando la delicata situazione internazionale, sì
appellò spesso ai governanti del mondo intero perché avessero a cuore la pace
mondiale.
Giovanni XXIII si appella dunque ancora una volta alla coscienza dei capi
di stato, ponendosi di fronte a “due K” - così la stampa definì Kennedy e Krusciov
- come unica via d’uscita per il pericoloso vicolo cieco in cui stavano
conducendo il mondo intero: il 28 ottobre l’URSS richiamò le proprie navi in
viaggio verso i Caraibi e ordinò la dismissione dei missili atomici nell’isola;
il 20 novembre Kennedy dichiarò conclusa la quarantena su Cuba, garantendo di
fatto che Cuba non sarebbe stata invasa.
Pochi mesi dopo, nell’aprile 1963, ad appena due mesi dalla morte, Giovanni
XXIII pubblicò la sua ultima enciclica, Pacem in terris. Frutto del
dramma della guerra sfiorata - che, secondo dati attendibili, se fosse
scoppiata ed avesse fatto uso di armi nucleari, avrebbe portato ad un numero di
morti sicuramente superiore delle precedenti - rappresenta quasi il testamento
di un Papa che, con le sue preghiere, è arrivato dove nessuno poteva solo
immaginare di arrivare.
TESTO INTEGRALE DEL RADIOMESSAGGIO
“Signore, ascolta la supplica del tuo
servo, la supplica dei tuoi servi, che temono il tuo nome” (Ne 1,11).
Questa antica preghiera biblica sale oggi alle nostre labbra tremanti
dal profondo del nostro cuore ammutolito e afflitto. Mentre si apre il
Concilio Vaticano II, nella gioia e nella speranza di tutti gli uomini
di buona volontà, ecco che nubi minacciose oscurano nuovamente
l’orizzonte internazionale e seminano la paura in milioni di famiglie.
La Chiesa - e Noi lo affermavamo accogliendo le
ottantasei Missioni straordinarie presenti all’apertura del Concilio -
la Chiesa non ha nel cuore che la pace e la fraternità tra gli uomini, e
lavora, affinché questi obbiettivi si realizzino. Noi ricordiamo a
questo proposito i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità
del potere. E aggiungiamo: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino
il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini
innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il
cielo: Pace! Pace!”.
Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi
supplichiamo tutti i Governanti a non restare sordi a questo grido
dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per
salvare la pace. Eviteranno cosí al mondo gli orrori di una guerra, di
cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze.
Che continuino a trattare, perché questa attitudine
leale e aperta è una grande testimonianza per la coscienza di ognuno e
davanti alla storia. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a
tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza
che attira la benedizione del cielo e della terra.
Che tutti i Nostri figli, che tutti coloro che sono
segnati dal sigillo del battesimo e nutriti dalla speranza cristiana,
infine che tutti coloro che sono uniti a Noi per la fede in Dio,
uniscano le loro preghiere alla Nostra per ottenere dal cielo il dono
della pace: di una pace che non sarà vera e duratura se non si baserà
sulla giustizia e l’uguaglianza. Che a tutti gli artigiani di questa
pace, a tutti coloro che con cuore sincero lavorano per il vero bene
degli uomini, vada la grande benedizione che Noi accordiamo loro con
amore al nome di Colui che ha voluto essere chiamato “Principe della
Pace” (Is 9,6).