Marciare divisi per combattere uniti

C’è stato un uomo nella storia della nostra Repubblica che ha ricoperto quattro delle cinque maggiori cariche dello Stato, ovvero Presidente della Repubblica, del Senato, della Camera e della Corte Costituzionale: classe 1877, esponente del liberalismo in stile Cavour, l’uomo di cui sopra è Enrico De Nicola, primo Presidente della Repubblica Italiana. Frutto del Compromesso Costituzionale, origine dell’intero assetto provvisorio delle nostre istituzioni negli anni immediatamente successivi al 1946, la scelta di De Nicola fu presa dopo aver constatato l’impossibilità di coniugare destre e sinistre su nomi quali Orlando e Croce, grazie all’instancabile lavoro di mediatore che svolse diligentemente De Gasperi.
Lunedì 15 luglio 1946 Enrico De Nicola rivolge alla Nazione Italiana il suo primo discorso da Presidente, un discorso di insediamento letto nella neonata Assemblea Costituente dal suo presidente Saragat: si tratta del giuramento da parte di De Nicola di “di servire con fedeltà e lealtà il mio Paese” nei due anni di mandato che l’Assemblea stessa, “diretta e legittima rappresentanza del popolo italiano”, gli aveva conferito.

Il discorso del presidente è improntato sulla consapevolezza di vivere un momento cruciale della storia d’Italia, nel quale risulta indispensabile la collaborazione di tutte le forze politiche e sociali per “l’immane opera di ricostruzione” di cui necessitava il Bel Paese, e nel quale tuttavia si può far affidamento sulla grandezza del Popolo Italiano: “La grandezza morale di un popolo si misura dal coraggio con cui esso subisce le avversità della sorte, sopporta le sventure, affronta i pericoli, trasforma gli ostacoli in alimento di propositi e azione, va incontro al suo incerto avvenire”.
I riferimenti al recente e doloroso passato sono pochi, ma inevitabili: se l’Italia viene giustamente considerata non solo perdente, ma anche causa del conflitto stesso - De Gasperi un mese più tardi lo ribadirà umilmente nella Conferenza di Pace a Parigi - bisogna a onor del vero riconoscere che gli Italiani “diedero un contributo efficace alla vittoria definitiva, sia con generose iniziative, sia con tutti i mezzi che gli furono richiesti, meritando solenne riconoscimento”. Ma - non poteva essere altrimenti - grande attenzione è posta soprattutto sul futuro prossimo della Repubblica, ovvero la Costituzione: “essa sarà certamente degna delle nostre gloriose tradizioni giuridiche, assicurerà alle generazioni future un regime di sana e forte democrazia, nel quale i diritti dei cittadini e i poteri dello Stato siano egualmente garantiti, trarrà dal passato salutari insegnamenti, consacrerà per i rapporti economico-sociali i principi fondamentali, che la legislazione ordinaria, attribuendo al lavoro il posto che gli spetta nella produzione e nella distribuzione della ricchezza nazionale, dovrà in seguito svolgere e disciplinare”. Infine conclude De Nicola: “Che Iddio acceleri e protegga la resurrezione d’Italia!”.

TESTO INTEGRALE


“Giuro davanti al popolo italiano, per mezzo della Assemblea Costituente, che ne è la diretta e legittima rappresentanza, di compiere la mia breve ma intensa missione di Capo provvisorio dello Stato inspirandomi ad un solo ideale: di servire con fedeltà e lealtà il mio Paese.

Per l’Italia si inizia un nuovo periodo storico di decisiva importanza. All’opera immane di ricostruzione politica e sociale dovranno concorrere, con spirito di disciplina e di abnegazione, tutte le energie vive della Nazione, non esclusi coloro i quali si siano purificati da fatali errori e da antiche colpe.
Dobbiamo avere la coscienza dell’unica forza di cui disponiamo: della nostra infrangibile unione. Con essa potremo superare le gigantesche difficoltà che s’ergono dinanzi a noi; senza di essa precipiteremo nell’abisso per non risollevarci mai più.
I partiti, che sono la necessaria condizione di vita dei governi parlamentari, dovranno procedere, nelle lotte per il fine comune del pubblico bene, secondo il monito di un grande stratega: marciare divisi per combattere uniti .
La grandezza morale di un popolo si misura dal coraggio con cui esso subisce le avversità della sorte, sopporta le sventure, affronta i pericoli, trasforma gli ostacoli in alimento di propositi e azione, va incontro al suo incerto avvenire. La nostra volontà gareggerà con la nostra fede. E l’Italia, rigenerata dai dolori e fortificata dai sacrifici, riprenderà il suo cammino di ordinato progresso nel mondo, perché il suo genio è immortale.
Ogni umiliazione inflitta al suo onore, alla sua indipendenza, alla sua unità provocherebbe non il crollo di una Nazione, ma il tramonto di una civiltà: se ne ricordino Coloro che sono oggi gli arbitri dei suoi destini.
Se è vero che il popolo italiano partecipò a una guerra, che, come gli Alleati più volte riconobbero, nel periodo più acuto e più amaro delle ostilità, gli fu imposta contro i suoi sentimenti, le sue aspirazioni e i suoi interessi, non è men vero che esso diede un contributo efficace alla vittoria definitiva, sia con generose iniziative, sia con tutti i mezzi che gli furono richiesti, meritando il solenne riconoscimento, da Chi aveva il diritto e l’autorità per tributarlo, dei preziosi servigi resi continuamente e con fermezza alla causa comune, nelle forze armate in aria, sui mari, in terra e dietro le linee nemiche.
La vera pace, disse un saggio, è quella delle anime. Non si costruisce un nuovo ordinamento internazionale, saldo e sicuro, sulle ingiustizie che non si dimenticano e sui rancori che ne sono l’inevitabile retaggio.
La Costituzione della Repubblica italiana , che mi auguro sia approvata dall’Assemblea, col più largo suffragio, entro il termine ordinario preveduto dalla legge, sarà certamente degna delle nostre gloriose tradizioni giuridiche, assicurerà alle generazioni future un regime di sana e forte democrazia, nel quale i diritti dei cittadini e i poteri dello Stato siano egualmente garantiti, trarrà dal passato salutari insegnamenti, consacrerà per i rapporti economico-sociali i principi fondamentali, che la legislazione ordinaria, attribuendo al lavoro il posto che gli spetta nella produzione e nella distribuzione della ricchezza nazionale, dovrà in seguito svolgere e disciplinare.
Accingiamoci, dunque, alla nostra opera senza temerarie esaltazioni e senza sterili scoramenti, col grido che erompe dai nostri cuori, pervasi dalla tristezza dell’ora ma ardenti sempre di speranza e di amore per la Patria.
Che Iddio acceleri e protegga la resurrezione d’Italia!”