Il più devoto dei figli d'Italia

Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria di Savoia, re con il nome di Umberto II, è passato alla storia come Re di Maggio, avendo guidato il Paese dal 9 maggio al 18 giugno, quando la Corte di Cassazione ufficializzò i risultati del Referendum costituzionale del 2 giugno. Il 13 il Re lascia l’Italia dall’aeroporto militare di Ciampino, alle porte di Roma, dando di fatto il via libera alla proclamazione della Repubblica. Re Umberto pronunciò un discorso prima di lasciare l’Italia, il suo ultimo discorso da Sovrano, facendo seguito al proclama agli Italiani del 1 giugno immediatamente prima del Referendum.


Il discorso in analisi, dunque, risulta logica conclusione del discorso del 1 giugno, con il quale il Re si preparava ad accettare il verdetto delle urne, libera espressione degli Italiani, qualunque esso sarebbe stato, chiamando allo stesso tempo gli italiani ad un atto di responsabilità in un momento così delicato per il futuro del Paese. Se tuttavia nelle parole del 1° giugno traspare innegabile una salda fiducia nelle istituzioni repubblicane, le ultime parole di un Re d’Italia sono una chiara denuncia dell’operato del governo stesso, che il 12 giugno aveva assunto il potere senza attendere il giudizio definitivo della Corte di Cassazione: “il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza”. Si tratta - come detto - delle ultime parole pronunciate da un Re d’Italia, e da tale bocca vengono pronunciate: Umberto II agisce fino alla sua definitiva partenza dal Paese come Sovrano, nell’interesse degli Italiani, convinto che fosse suo dovere “fare quanto sta ancora in me perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto”.
In tale ottica è pronunciata la conclusione del discorso, indirizzato ai Monarchici ancora fedeli alla corona Sabauda: il Re chiede loro di agire al fine di “evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace”. Re Umberto lascia l’Italia con la speranza di tornarvi presto, ritenendo la sua assenza come “una lontananza di qualche tempo in attesa che le passioni si placassero” - come si legge in una sua intervista - “mai si parlò di esilio, da parte di nessuno. Né mai, io almeno, ci avevo pensato”.
L'incontro fta Giovanni Paolo II ed Umberto II avvenuto a Lisbona nel 1982.
La partenza dall’Italia è descritta in numerose lettere che il Sovrano scrive dal Portogallo prima e dalla Svizzera poi con grande drammaticità, dimostrando il doloro di un Re obbligato a lasciare il suo Regno; e tuttavia, se la partenza è “colma di lacrime”, la coscienza è certa di agire nell’interesse esclusivo degli Italiani e del Paese al quale giura eterna fedeltà: “qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli”.

TESTO INTEGRALE

Italiani!

Nell'assumere la Luogotenenza Generale del Regno prima e la Corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello Stato. E uguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.

Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte Suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giungo il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risoluta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di Re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta.
Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.

Italiani!
Mentre il Paese, da poco uscito da una tragica guerra, vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto. Confido che la Magistratura, le cui tradizioni di indipendenza e di libertà sono una delle glorie d'Italia, potrà dire la sua libera parola; ma, non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice dell'illegalità che il Governo ha commesso, lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli Italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come Italiano e come Re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della Corona e di tutto il popolo, entro e fuori i confini, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto.

A tutti coloro che ancora conservano fedeltà alla Monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all'ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l'esortazione a voler evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace.
Con animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia terra. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove. Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d'Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani.
Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli.
Viva l'Italia!