Rosario Livatino, martire della giustizia e della fede

Agrigento. La terra dei templi. La terra di Pirandello, Sciascia e Camilleri. Una terra che oggi ricorda il magistrato Rosario Livatino, ucciso 22 anni fa in un agguato di mafia. Era un caldo venerdì di fine estate in quel lontano 1990. Il terribile biennio del '92-'93 era ancora lontano, ma - si sa - nulla nasce dal nulla. La Strada Statale 640 era stata teatro nel 1988 dell'agguato mortale a Antonino Saetta, in cui perse la vita anche il figlio Stefano: questo omicidio non ha avuto alcuna risonanza né l'anniversario della sua morte - 25 settembre - viene ricordato quanto merita. L'omicidio Saetta rappresenta una svolta nelle stragi di mafia, perché per la prima volta Cosa Nostra colpisce un magistrato giudicante, non inquirente; il messaggio è forte e chiaro: anche solamente appartenere ad un organo di giustizia rappresenta un buon motivo per essere uccisi.

Rosario Livatino è al volante della sua Ford Fiesta color amaranto quando viene raggiunto dai suoi killer: la prima pioggia di piombo lo lascia quasi illeso, colpendolo solamente alla spalla e permettendogli di abbandonare la macchina e tentare una disperata fuga oltre il guardrail. Braccato dai suoi killer viene raggiunto da una nuova raffica di proiettili, questa volta fatale. Dietro al Giudice Ragazzino - così fu ribattezzato Livatino dopo la morte - viaggiava sulla sua Lancia Thema Pietro Nava, che poté assistere all'agghiacciante agguato e testimoniare coraggiosamente al processo; la sua testimonianza fu decisiva, ma lui non poté più tornare al suo paese, né il suo nome comparì più negli elenchi telefonici: una storia tutta italiana, di una giustizia che ancora non riesce a protegge chi per amore della giustizia stessa mette a repentaglio la vita propria e dei propri cari.

Quando le forze dell'ordine raggiunsero il luogo dell'omicidio Livatino, vennero ritrovati accanto al corpo del magistrato i suoi occhiali e la sua agenda: sulla prima pagina tre lettere, S.T.D. Gli inquirenti si interrogheranno a lungo sul significato di queste lettere, congetturando ipotesi su ipotesi, mentre a casa sua tutti sapevano benissimo la verità. Sulla sua tesi Rosario aveva voluto ringraziare ovviamente i genitori e i suoi cari, ed aveva aggiunto sotto ai ringraziamenti una giaculatoria: SUB TUTELAM DEI, sotto la tutela di Dio. Chi lo conosceva afferma che lui dava una doppia interpretazione a questa frase; oltre a quella già citata se ne propone un'altra, basata sull'etimologia della parola "tutelam", che proviene dal verbo "tueor", che significa osservare, guardare: Livatino voleva ricordare a sé stesso di essere in ogni istante sotto lo sguardo allo stesso tempo paterno e giudice di Dio, al cospetto del quale non sfugge nulla dell'animo umano. In una delle sue famose agendine - tutte segnate con la stessa sigla - si legge: "Quando moriremo non ci verrà chiesto quanto siamo stati credenti, ma quanto simo stati credibili".

È in corso il processo di beatificazione del Servo di Dio Rosario Livatino, "martire della giustizia e della fede" come lo definì Giovanni Paolo II in occasione di un incontro con i genitori nel 1993.