Carlo Maria Martini, l'uomo dell'ascolto


E’ passato il primo vento freddo di un’estate appena finita: la scomparsa, venerdì scorso, del Cardinal Carlo Maria Martini. Serenamente si è spento, nel sonno, affidandosi con fede a Dio, perché lo assistessero nel trapasso gli angeli e i santi, come aveva scritto in Conversazioni notturne a Gerusalemme. Un fiducioso abbandono, quale quello del bambino tra le braccia dei genitori, come Gesù predicò a Nicodemo, che supera anche la paura, che vince la battaglia che tutta la vita cristiana è nella sua continua lotta interiore con il male, la tentazione, il dubbio e che, con l’avanzare dell’età, per l’appressarsi della dipartita, si fa più dolorosa. Anche Gesù ebbe paura nel Getsèmani e Martini, da biblista, spesso lo aveva ricordato in riferimento alla propria paura, tutta umana, della morte, il duro calle come amava chiamarla con un’espressione dantesca. Si è spento un modello mirabile di un annuncio evangelico, sorretto da una profonda familiarità con la Parola, fatta ancor prima che di studio, di raccoglimento, interiorizzazione e ascolto. In ogni evento quotidiano cercava di scorgere il disegno della Provvidenza, facendo del fiat voluntas tua il paradigma del proprio coinvolgimento nelle vicende mondane. Non nascose mai di aver inviso il potere temporale del papato così come di volere una Chiesa più povera, eppure questo contemptus mundi non era per lui che un presupposto imprescindibile perché Essa potesse essere più vicina agli uomini. Pensava che i ministri di Dio dovessero essere generosi come il buon samaritano, fedeli come Maria di Màgdala, avere fede come il centurione, entusiasti come Giovanni il Battista, osare il nuovo come San Paolo. E proprio come quest’ultimo, il quale fece del dialogo con i pagani il fulcro della propria missione, ad esempio parlando difronte l’Aeropago in Atene, anche Martini fu un interlocutore privilegiato per i non credenti e coloro che vorrebbero credere ma non credono, convinto che alla base della fede, vi sia quella ricerca della Verità, comune a tutti quanti gli uomini. 
Un confronto che permette al cristiano del XXI secolo di evitare di pensare di avere la verità in tasca e di interrogarsi su quelle domande di cui Cristo, Via, Verità e Vita è risposta: il cardinale al riguardo affermava che la preghiera è anche quel colloquio interiore con il non credente che è in noi. Dialogo, fiducia e spiritualità: in una parola, ascolto del Signore, nei fratelli, nello spirito, nella Parola. Non era solo da biblista che teneva le Scritture sempre aperte su una scrivania, rigorosamente in formica verde, come i banchi di scuola,  ma più propriamente da pastore della Chiesa post-conciliare, quella che, con il Vaticano II, si era riappropriata della Bibbia, restituendola ai legittimi proprietari, i Cattolici. 
Una Parola su cui, per poterla meglio frazionare tra i fratelli, in modo particolare quelli dell’arcidiocesi di Milano, affidatagli nel 1980, in pieno stragismo, il Cardinale gesuita era solito meditare a lungo, raccolto in preghiera, da uomo che il Vangelo non lo studia: lo vive. Respirò a lungo i luoghi della vita, morte e risurrezione di Cristo, in Terra Santa, interrogandosi su come Gesù interpreterebbe l’evangelizzazione del Duemila. Questa l’eredità che ci lascia, quella di un annuncio al passo con i tempi nella forma quanto fedele alla Tradizione nel contenuto, per poter riscoprire quelle radici del credere che il mondo dell’opulenza sembra aver perso di vista. Carlo Maria Martini è stato il volto di una Chiesa che cura le ferite di un Uomo affaticato ed oppresso, rimettendo al centro della missione le tre virtù teologali: la Fede di un’adesione, intellettualmente vivace, agli insegnamenti del Divin Maestro, la Speranza di un filiale affidamento alla Sua volontà e la Carità di una costante donazione al prossimo, rivelata da un Dio, morto in croce per Amore.

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