Dante il cristiano islamico



L'icona del cristianesimo medievale, il fondatore della letteratura italiana. Se qualcuno ci dicesse che ha subito grandi influssi dalla cultura araba e islamica faremmo fatica a credergli. Forse ne faremmo di meno se a parlarcene fossero i docenti universitari che hanno condotto un approfondito studio a riguardo.
Tuttavia per poter anche solo pensare che il Sommo Poeta abbia avuto contatti con l'Islam risultano necessarie alcune precisazioni. Bisogna in primis ricordare che nel XIII secolo l'Islam non veniva considerato una religione a sé, bensì come una forma di eresia cristiana: avvicinarsi ad esso non era dunque così difficilmente pensabile come avvicinarsi ad una religione diversa dal cristianesimo.
Sorge poi spontanea la domanda sull'anello di congiunzione fra l'Alighieri e la letteratura araba: di anelli ne esistono diversi, che portano Dante a conoscenza del Libro della Scala, libro musulmano che narra il viaggio del profeta Maometto nei regni ultramondani, Inferno e Paradiso - ricordiamo che il Purgatorio fu "invenzione" dantesca. Dante ovviamente non conosceva l'arabo e la sua conoscenza del celebre libro arabo non poté che essere indiretto: venne tradotto in castigliano e poi nel 1264 in latino da un italiano nella scuola di Toledo - voluta e finanziata dal re Alfonso X -, Bonaventura da Siena, che, sebbene italiano e toscano come Dante, non ebbe mai modo di conoscerlo. Ancora una volta la conoscenza di Dante fu indiretta, mediata dal suo maestro, Brunetto Latini: questi conobbe il Libro della Scala quando - grazie alle sue conoscenze in Spagna, sia a Toledo che a Oviedo - risiedette alla corte dell'amico Alfonso in contemporanea con il nostro Bonaventura da Siena. Si chiude così questa catena che lega il fiorentino cattolico Dante con l'arabo islamico Libro delle Scale, con la mediazione di Brunetto Latini, Alfonso X, Bonaventura da Siena ed I traduttori dall'arabo al castigliano rimasto ignoti.
Le analogie fra la Commedia dantesca e il Libro della Scala non si limitano al comune tema del viaggio ultraterreno, ma comprendono anche altri aspetti: su tutti uno dei più evidenti è riscontrabile nel canto XXVI dell'Inferno in occasione dell'incontro fra Dante e Ulisse. La celebre citazione delle colonne d'Ercole, considerate un limite invalicabile, né è una chiara conferma: né i latini né i greci avevano questa idea dello stretto di Gibilterra, furono gli arabi a voler diffondere questa credenza per limitare le zone di rilievo del commercio marittimo al solo Mediterraneo, quasi completamente sotto il controllo arabo.

Oltre a Dante furono in molti a riprendere questa tradizione, fino a farla considerare oggigiorno una tradizione intoccabile della cultura europeo-mediterranea: le prime tracce di tale consolidata usanza nel tardo medioevo nacque in verità da un'enorme statua del profeta Maometto che, indicando con una mano la direzione dello stretto, nega il passo con l'altra mano. Ma d'altronde, se anche l'insospettabile Commedia è penetrata dalla cultura araba, non c'è da stupirsi se abbiamo attribuito per anni agli antichi una credenza araba sorta solo diversi secoli più tardi.