La lezione degli antichi

Con un po’ di rammarico, osservo molti ragazzi, chini su vocabolari, intenti a dare un senso (il più accettabile) al testo che hanno di fronte, quel che basta per l’interrogazione del giorno successivo; tentano di tirar giù a memoria formule preconfezionate su autori, pienamente consapevoli e, oserei dire, rincuorati, di dimenticarle alla fine dell’anno: sarà il segno che lo strazio è finito. Come potrebbe rispondere un semplice liceale a quella che appare una opportuna e sensata domanda: “Cosa te ne fai della letteratura nella vita?”
Spiazzato, dopo qualche istante di riflessione, mi ritrovo costretto a dire: “Non lo so. O, meglio, non so come spiegartelo …”.
In fondo si tratta proprio di questo: apparentemente, parlando in termini pratici, può sorgere un po’ a tutti il pensiero che a niente giovi studiare i testi di coloro che vennero prima di noi, apprenderne il pensiero, la storia. Dopo anni di studio, quando il tempo ha cancellato dalla nostra mente buona parte dei dati – cosa normalissima – ci sembra di ritrovarci in mano con nient’altro che il ricordo di emozioni scaturite nel corso della lettura o, tutt’al più, con qualche bella citazione sentenziosa da poter esibire al momento adatto.
Forse, le nostre letture, ciò che impariamo con studio – cioè, come i latinisti potrebbero insegnarmi: con passione – ci lasciano dentro qualcosa, ma in una maniera un po’ misteriosa e difficile ad individuarsi. E’ per questo che risulta arduo spiegare, con parole comprensibili, i benefici che ne derivano e, soprattutto, quali siano le motivazioni valide per trascorrere ore ed ore dietro ad un libro di cui facilmente ci si dimentica anche nel giro di un solo anno.
In realtà, tutto ciò che abbiamo pazientemente incamerato, compreso quello di cui non abbiamo memoria, ci ha lasciato dentro un ricordo, un qualcosa che, forse, può emergere quando meno ce lo aspettiamo, e darci una chiave d’interpretazione per molte domande.
D’altronde, cosa è l’intera letteratura se non un forziere stracolmo di pensieri, riflessioni, sentimenti, passioni, che l’autore ha deciso di imprimere sulla carta affinché non fossero affondati dalla burrasca del tempo? Leggendone le opere, possiamo quasi seguire col dito l’itinerario delle sue riflessioni; leggendo i classici possiamo meditare come, nel lungo corso dei tempi, svariati uomini di diversi paesi e culture siano arrivati a conclusioni così differenti e trattando temi così eterogenei.
Nella letteratura, in due parole, è come se fosse impresso lo spettro di emissione dell’intero animo umano; e dal momento che, come dice Dostoevskij, “vasto è l’uomo”, il suo animo, altrettanto vasto è ciò che, nel corso dei secoli, è riuscito a lasciare ai posteri.
Se la storia era magister vitae nel primo secolo a.C., quanto più lo sarà ora agli inizi del III millennio! Se già a quel tempo si guardava alle opere letterarie precedenti come ad un tesoro inestimabile, come dovremmo noi amare e custodire ciò che è stato prodotto in un lasso di tempo di molto superiore! Non pensate che questo solo possa bastare per spingere allo studio, alla passione cioè, per la letteratura?

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