Andreotti

"Rispetto ad un’Italia che cambia o finge di cambiare rapidamente, muta convinzioni, gusti, pregi e difetti, Andreotti è una certezza: prevedibile, magari anacronistica, bistrattata, ma proprio per questo, tutto sommato, rassicurante. Permette al paese di specchiarsi nel passato, di riconoscersi e di distanziarsi dal secolo scorso; di sentirsi migliore, di rivalutarlo o magari di odiarlo, ha poca importanza. È una sorta di memoria storica dell’Italia, a partire dal 1945. 
E forse, il suo ruolo di nostalgico della Prima Repubblica, della guerra fredda e dei suoi equilibri cristallizzati e dunque protettivi si conserva grazie alla crisi del sistema attuale, finendo per fotografare le frustrazioni e l’insoddisfazione di un pezzo del paese. In questo senso, Andreotti incarna l’identità perduta non solo di una classe politica, ma di una porzione dell’Italia moderata; lo smarrimento dei suoi referenti interni e delle antiche coordinate internazionali". In questo ampio stralcio tratto dall’introduzione al suo ultimo libro (Andreotti. La vita di un uomo politico, la storia di un’epoca, Mondatori, 2008), Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera, riassume con una perfetta sintesi gli elementi che approfondisce nei ventitre capitoli che ha scritto per raccontare la vita di Giulio Andreotti. La storia di un "sopravvissuto" a due guerre mondiali, sette papi, la monarchia, il fascismo, la Prima repubblica e forse anche la seconda, se è vero che è in crisi. A sei processi per mafia e omicidio. Un Protagonista e testimone abbastanza unico del panorama italiano: amico di pontefici, capi di stato, suore, mendicanti, bancarottieri, santi, dittatori, attrici, emiri, pittori, calciatori, ladri, collusi con la mafia. Un ex-potente che si fa fatica a definire ex e del quali le giovani generazioni sanno poco e quelle vecchie ritengono di sapere (quasi tutto) anche se non a ragione.

Una silhouette curva che inevitabilmente per la sua corposità storica si intreccia con gran parte della storia del nostro Paese, "la storia di un’epoca" che, secondo una consolidata vulgata, è stata "segnata" da Andreotti nel bene e nel male. Un uomo dalle umili origini familiari che da parte degli estimatori, e non solo, del personaggio ne esaltano ancor maggiormente la figura (o se si vuole la leggenda) dell’uomo che ha scalato il potere dal basso, partendo “dal nulla”. E da qui fino, sostanzialmente, ai giorni nostri, la storia del "divo Giulio" che se da un lato si apre in un ambiente quasi favoloso, dove un bambino di otto anni riesce ad eludere la sorveglianza durante un’udienza papale e quindi ad avvicinarsi al Pontefice, dall’altro si chiude con la crudezza delle ricostruzioni processuali che hanno interessato larga parte dell’opinione pubblica alla fine del secolo proprio perché avevano come protagonista questo "simbolo" dell’Italia.
Comizio di Andreotti nel 1976 in Piazza del Popolo

Andreotti conserva attorno a sé molteplici e contraddittori giudizi che derivano dalle considerazioni formulate delle diverse generazioni che hanno potuto apprezzarne o criticarne la figura. Ecco perché così come è semplice trovare persone anziane che ne rimpiangono la presenza attiva sulla scena politica è altrettanto possibile trovare giovani che lo considerano il retaggio di una politica "superata" quindi vecchia. Ma può accadere anche il contrario: anziani che vedono in Andreotti un passato che non passa e giovani che, avendone sentito decantare le lodi, lo apprezzano maggiormente rispetto ai politici di oggi. 
Andreotti con De Gasperi
Certamente si può affermare che dopo aver sperimentato le conseguenze non sempre brillanti, soprattutto in diversi contesti locali, dell’azione di persone che non ritengono che la formazione alla politica debba essere un elemento indispensabile per svolgere un’attività mirata alla ricerca del bene comune, la figura di Andreotti, che intraprende attività politica per fortunate coincidenze, incarna, come ricorda la lunga citazione iniziale tratta dal libro di Franco, "l’identità perduta non solo di una classe politica, ma di una porzione dell’Italia moderata". Proprio la definizione dei confini delle identità delle forze politiche che animano il dibattito politico italiano è un compito al quale la politica non può sottrarsi, pena il suo perdurante "fallimento". E, paradossalmente, se nell’epoca di Andreotti per molti versi le identità apparivano soffocanti, oggi, queste non riescono neppure ad emergere in modo chiaro sia per un preciso desiderio (che permane) sia per delle incapacità oramai ossificate. 
Giulio Andreotti è, come scrive Franco, una "memoria storica" vivente dell’Italia. È necessario, pertanto, considerarla come tale. Ma se può essere fonte per capire il passato e scrutare il futuro, non può assolutamente trasformarsi in un comodo alibi per la politica di oggi. Dove non si arriva, dove non si riesce, dove non si comprende, ci si nasconde dietro il paravento degli errori della politica del passato. Una politica che certo non tornerà, ed è impressionante doverlo ribadire ancora una volta, ma che ci ha segnati; e se non riusciremo, una volta per tutte, a farci i conti, a capire che forse, anzi sicuramente, qualcosa di buono in "quella" politica c’era, non riusciremo a rianimare quella di oggi, che appare, costantemente, nei suoi caratteri generali, sempre più ripiegata su se stessa.

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