DE GASPERI. La politica come servizio



Tra gli autorevoli ritratti delle grandi personalità della Prima Repubblica, con cui ERRATA CORRIGE sta accompagnando queste settimane che precedono le urne, quello di oggi riguarda un uomo, alla cui azione dobbiamo, in parte, la libertà sovrana e democratica grazie alla quale potremmo esprimere il voto: si tratta di Alcide De Gasperi. Il testo dell’articolo è quello scritto e pubblicato da Giulio Andreotti sulla sua storica rivista, “Concretezza”, nel lontano 1964.
“Perché Alcide De Gasperi non può considerarsi alla stregua degli altri uomini politici che hanno rimesso in cammino l'Italia dopo il totale smarrimento suscitato dalla guerra e dalla sconfìtta?
Forse non può riassumersi in una sola caratteristica il suo profilo, ma crediamo di non sbagliare scrivendo che egli si era formato alla scuola della sofferenza e della intransigente fermezza. Figlio di povera gente, potè compiere gli studi soltanto perché trovò sul suo cammino anime generose che, apprezzandone il valore, lo aiutarono a studiare. Non ebbe mai il «di più» e le cronache della sua attività organizzativa, tra gli studenti e gli operai, ci descrivono un contorno di totale mancanza di mezzi finanziari. La Vienna brillante dell’ «epoca bella » gli fu del tutto estranea e nessun cenno ne fece mai per farci capire che se ne dolesse. Credeva più consono alla sua missione l'affrontare le bastonate dei gendarmi di Innsbruck, molestati dalla insistenza dei goliardi trentini per ottenere l'Università italiana. Soffrì durante la guerra europea per il quotidiano peregrinare nei campi dove erano reclusi i profughi delle province venete e cercò con ogni mezzo di aiutarli con l'assistenza materiale e con 1’appoggio politico, tanto difficile nel momento della sospensione dell'attività del Parlamento e delle guarentigie per i deputati.
Quando la Camera viennese riapre ed altri (anche i socialisti, benché colpiti dall'assassinio di Battisti) si piegano a votare per il governo imperiale e per le spese militari, De Gasperi beve tutto intero il calice della dignità e della fermezza, resistendo sulle posizioni negative. Ed il discorso più fiero da lui pronunciato come deputato di Trento a Vienna è forse proprio quello detto all'indomani di Caporetto, quando la vittoria finale degli austriaci sembrava scontata.
Seguirono invece Vittorio Veneto, l'annessione delle terre redente ed il passaggio di lui al Parlamento di Roma. I tempi erano quanto mai difficili e noi ci guardiamo bene dal sentenziare con la facile leggerezza del poi sulle responsabilità e sugli errori di quella classe politica. Certo, un De Gasperi fatto di realismo e di idealismo insieme si trovò a disagio in un ceto nel quale la tattica prevaleva, il personalismo dominava, la vanità oscurava la vista di tutto e faceva mal comprendere le involuzioni in corso.
Più si approfondisce questo desolante quadro di democrazia in disfacimento e meglio si ridimensiona la figura storica di Mussolini e dei suoi seguaci. Fu un giuoco da bambini sopraffare anche i cattolici politici, dilaniati da opposte correnti dissolvitrici ed impreparati alla violenza di piazza.
Don Sturzo aveva detto che le vittorie sarebbero state dell'idea, le sconfitte degli uomini. Su queste sconfitte bruciò il sale amaro dell'abbandono — forse necessario storicamente — da parte del Vaticano. E fu un fuggi fuggi generale, nel quale alla nobiltà dell'esilio dello stesso Sturzo e di Donati e alla resistenza interna di altri si contrapposero troppi compromessi e tante meschine furbizie.
La terra ormai scottava per De Gasperi nel Trentino ed a Roma (dove alcuni amici facevano perfino finta di non riconoscerlo, incontrandolo per strada). L'ospitalità di Ivo Coccia era divenuta pericolosa, sia per l'amico che tanto rischiava — pur con le giornaliere visite della polizia — sia per lui che non si faceva illusioni sulla brevità della dittatura fascista.
Resta ancora da dimostrare se partendo silenziosamente per Trieste pensasse di espatriare; quel che è certo è che, arrestato ad Orvieto, fu condannato duramente a questo titolo, nonostante mancasse qualunque elemento di prova. La famiglia era ormai tornata in Valsugana e solo la fedele consorte — arrestata insieme a lui, ma presto rilasciata — veniva di tanto in tanto a spezzarne l'isolamento morale. Un Padre gesuita non sgradito ai potenti, il Tacchi Venturi (ma De Gasperi preferirà l'amicizia di Padre Rosa, sospettato e mal visto dai gerarchi) sottoporrà inutilmente alla firma di De Gasperi e della signora Francesca una domanda di grazia. Non si piegò il Presidente e, certamente con intima pena, la sua sposa non ne tradì la volontà di resistere.
Liberato, conobbe le asprezze ed anche le volgarità del pedinamento e della sorveglianza. E conobbe la fame. Dovette aspettare la conciliazione per avere un piccolo ufficio in Vaticano e nel carteggio del momento vi sono cenni di una grande preoccupazione di non compromettere chicchessia, di non disturbare, a causa di una sua sistemazione, il Vaticano nei suoi rapporti non facili (apparenze a parte) con il fascismo. E sono dello stesso tempo bellissime lettere nelle quali, vincendo ogni risentimento personale, loda i trattati del Laterano valutandone il significato storico, di chiusura di una lacerante controversia e di possibile alba di un sistema nuovo di libertà per la Chiesa, anche se si doveva attendere, lavorare, patire ancora.
Meuccio Ruini ha raccontato che quando andò da De Gasperi, in Biblioteca Vaticana, a proporgli la collaborazione dei cattolici nel costituendo Comitato centrale antifascista, era dubbioso sulle possibilità di una accettazione, non per mancanza di volontà del vecchio amico, ma per la gerarchia cattolica, che avrebbero potuto imporre cautela ai primi passi della rinata partecipazione dei cattolici alla vita politica. Tanto maggiore fu la gioia, sua e di Ivanoe Bonomi, quando a sole ventiquattro ore di distanza ebbe una adesione piena ed incondizionata. Se così non fosse stato, la guerra avrebbe egualmente sconfitto il fascismo, ma molto probabilmente l'Italia avrebbe ondeggiato tra una lunga occupazione militare ed una affermazione delle forze di estrema sinistra.
De Gasperi firma la Costituzione il 27/XII/1948
Gli anni dal 1944 al 1953 possono apparentemente sembrare estranei al ciclo della sofferenza, nella vita di De Gasperi, tutti pieni di cronache imponenti di successi parlamentari, di affermazioni internazionali, di riconoscimenti tanto vasti della sua capacità e della sua dirittura. Non mancarono, però, ombre anche sul decennio di luce. Tra queste: l'iniziale, pesante incomprensione degli Alleati; la spina di Trieste e della Venezia Giulia; l'attacco violento e inaspettato di Orlando contro la necessaria ratifica del Trattato di pace; le troppe paure per dissociarci dai comunisti; il lento incrinamento della compattezza del partito; la lotta alla candidatura presidenziale di Sforza; la scomparsa della sua cara sorella; la mancanza di solidarietà nel momento drammatico della Corea; le stupide accuse... multilaterali di empirismo, di liberalismo e di tiepidezza anticomunista; certe preoccupazioni della Chiesa per la dilagante immoralità e il futuro politico dell'Italia (non bisogna però dimenticare lo splendido elogio pubblico che di De Gasperi fece Pio XII l'11 febbraio del 1949); l'esito delle elezioni del 1953 e la « miseria parlamentare » che ne conseguì.
Battuto alla Camera, fece ancora uno sforzo che direi sovrumano — considerando lo stato avanzato della sua malattia — per tenere davvero compatta la Democrazia cristiana, della quale avvertiva la necessità storica unitaria e, in contrapposto, la discrasia avanzante. Cercò di far raggiungere questa unità con una grande ripresa di vasto respiro attorno al problema internazionale del momento — la ratifica della CED — ma sui eum non receperunt. Ormai la tattica e la ricerca di alleanze su piccole cose avevano preso la mano quasi a tutti.
E pensare che di De Gasperi — che morì con questa ansia nel cuore — si era detto che si trattava di un uomo troppo aperto al compromesso e alle transazioni. Anche chi non ne capì la grandezza comincia a doversi necessariamente ricredere."
Testo dell’articolo apparso sul numero monografico dedicato a De Gasperi della rivista "Concretezza", anno X (1964), n. 16



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