Nel 13° anniversario dalla sua morte, avvenuta nell'esilio di Hammamet - dopo essergli stato negato il ritorno in patria per un delicato intervento chirurgico - vi
sono molti italiani per cui il caso Craxi è ancora, e deve restare,
esclusivamente giudiziario. Pensano che non abbia senso chiedersi se abbia
avuto e quali siano stati i suoi meriti politici. Ritengono che le condanne,
nei due processi in cui fu imputato, contino più di qualsiasi altra
considerazione. Credo che commettano un errore. Non possiamo ridurre la vita di
Craxi al suo epilogo giudiziario senza rinunciare a comprendere un intero
periodo della storia nazionale. Craxi fece in quegli anni alcune battaglie
politiche. Ignorarle significa implicitamente dare partita vinta ai suoi
avversari. Piaccia o no Bettino Craxi va discusso e giudicato, anzitutto, sulla
base dei suoi programmi e delle sue iniziative.
Craxi
avanzò proposte e sollevò problemi che erano stati sino ad allora ignorati o
evitati. Capì che il sistema politico si era inceppato e ne propose la riforma
con la elezione diretta del presidente della Repubblica. Capì che non era
possibile lasciare le sorti dell’economia nelle mani di un sindacato per cui il
salario era una «variabile indipendente», e vinse il referendum sulla scala
mobile. È a lui inoltre, che va ascritto il merito di aver condotto un’aspra
battaglia contro l’evasione fiscale, allora galoppante, attraverso
l’introduzione dell’obbligo per i commercianti del registratore di cassa e
dello scontrino fiscale. Capì che la sicurezza dell’Italia dipendeva dal
rapporto con gli Stati Uniti, e ribadì gli impegni presi dal governo Cossiga
sulla dislocazione dei missili Cruise a Comiso; ma tenne testa agli americani
nella vicenda di Sigonella, dopo il dirottamento dell’Achille Lauro, e riuscì a
farlo senza pregiudicare i suoi rapporti con il presidente Ronald Reagan. Capì
l’importanza dell’integrazione europea e guidò il fronte europeista contro
Margaret Thatcher al Consiglio europeo del Castello Sforzesco nel giugno 1985. Capì
che occorreva modernizzare i rapporti con la Chiesa cattolica e firmò con
il cardinale Casaroli il Concordato del 1984. Sostenne il dissenso nell’Unione
Sovietica e nelle democrazie popolari. E tentò infine di dare al partito
socialista, grazie al culto di Garibaldi, un’ascendenza risorgimentale. La
campagna per il «socialismo tricolore» fu anzitutto un’operazione culturale, ma
le sue ricadute politiche furono complessivamente positive. Una delle sue
caratteristiche più discusse fu quella che venne definita, con un termine
ingiustamente spregiativo, decisionismo. Oggi, dopo l’importanza assunta da
alcune personalità nella vita politica dei maggiori Paesi democratici dovremmo
riconoscere che Craxi capì qual fossero, soprattutto in un’epoca di grandi
modernizzazioni, le responsabilità di un leader.
Non
fu avulso da alcuni eccessi di spettacolarizzazione (celebri le scenografie
congressuali ideate dall'architetto Filippo Panseca) che furono criticati dai suoi
stessi compagni di partito: Rino Formica coniò, per l'Assemblea
Nazionale del 1991, l'eloquente immagine di una "corte di nani e ballerine". Si rinunciò al
tradizionale anticlericalismo socialista (con
l'approvazione del Concordato) e fu infine ridotta e poi eliminata (dal 1985)
la falce
e martello dal
simbolo storico del PSI, sostituendola col garofano rosso, che da allora
divenne emblema del partito. Ma lo stile craxiano del potere
produsse anche conseguenze che non è possibile ignorare o sottovalutare. La
prima fu il brusco aumento del debito pubblico (accompagnato però da un
dimezzamento dell’inflazione), una colpa a cui i governi successivi non vollero
o non poterono rimediare. La seconda fu Tangentopoli, vale a dire un sistema di
finanziamenti illeciti che inquinò la vita politica nazionale ed ebbe effetti
perversi sul bilancio dello Stato. Sono i meriti di Craxi, paradossalmente, che
rendono queste colpe particolarmente gravi. Un modernizzatore deciso e
intelligente non avrebbe dovuto permettere la costruzione di una macchina che
era in effetti il contrario della modernità. Esiste una evidente contraddizione
tra le ambizioni riformatrici di Craxi e un sistema che antepone la clientela
al merito, il pagamento di una tangente alla qualità dell’opera. Non ho mai
pensato che Craxi potesse essere considerato il solo responsabile di un tale
fenomeno. Ma le responsabilità di un leader sono tanto maggiori quanto più
grandi sono le sue ambizioni e i suoi programmi. Gli storici non potranno
riconoscere i suoi meriti senza constatare al tempo stesso i suoi errori.
Adattato da Sergio Romano, Il ritratto di un leader, Corriere della Sera ®, [18/I/2010]
Nessun commento:
Posta un commento
Il blogger, essendo responsabile penalmente di tutto ciò che viene pubblicato sul suo blog, modererà tutti i commenti, che non saranno pertanto visibili prima della sua approvazione: è richiesta la massima educazione e moderazione nei termini.