Louis De Wohl, affermandosi indiscutibilmente un maestro del romanzo
storico, offre al lettore una minuziosa e sentita ricostruzione dell’
epoca che fa da sfondo alla vicenda narrata, approfittando di ogni vuoto
lasciato dalle fonti per rattopparlo a suo piacimento, sfruttandolo a
favore dei propri fini narrativi. E sono proprio i più famosi personaggi
di quel periodo che entrano in scena: Boezio, Cassiodoro, Teodorico,
Belisario, Totila, tutti giganti che si trascinano dietro eventi
grandiosi, scaraventandoli tra le pagine del libro. La scansione messa
in atto da De Wohl, inoltre, non si esaurisce nella realizzazione di un
marmoreo fregio storico, freddo e distaccato, ma va oltre, scende in
profondità, indugiando sull’interiorità, scandagliando i dubbi, le
perplessità, le gioie di questi attori, potenti o meno, reali o fittizi,
consegnando al lettore un meraviglioso spaccato umano.Eppure, tutte le grandiose figure che spiccano tra le trame del romanzo, sembrano scolorire se accostate al vero protagonista, il già citato Benedetto, o meglio, S. Benedetto, fondatore di quell’ordine dei benedettini che avrà una così grande risonanza e diffusione in tutta l’Europa medievale e non solo, venuto alla luce in un momento cruciale per l’umanità, proprio in concomitanza con la drastica cesura tra periodo classico e medioevo: un passaggio che alcuni identificano simbolicamente con la chiusura dell’Accademia Platonica del 529, da tempo cittadella di saggezza, sapere e filosofia. Si racconta di un antico responso delfico secondo cui l’Accademia sarebbe stata chiusa solo in concomitanza con la costruzione altrove di un altro glorioso centro di sapienza. Noi non possiamo sapere che cosa avesse in mente la Pizia mentre vaticinava tali parole, narcotizzata da caldi vapori, ma dubito avesse previsto che proprio in quell’anno 529 Benedetto avrebbe fondato l’Abazia di Montecassino, un centro di propulsione e, soprattutto, di conservazione della cultura, quella cultura classica custodita e tramandata, come in un caldo grembo materno, negli scriptoria di quello e di molti altri monasteri in futuro. Proprio una curiosa coincidenza…
Un libro prezioso, in cui l’autore amalgama con sapienza momenti di riflessione interiore con euforiche descrizioni di battaglie. La tensione narrativa non si allenta mai, in nessuna occasione, impedendo al lettore di lasciare il volume per troppo tempo abbandonato sul proprio comodino; delineando figure così reali, vive, da farne sentire la mancanza non appena si volti l’ultima pagina.
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