10 febbraio 1944. Quando gli Alleati bombardarono le terre del Papa


10 febbraio 1944. Tra le 9 e le 10 del mattino, i bombardieri alleati colpiscono il Collegio di Propaganda Fide e Villa Barberini, situati tra Albano Laziale e Castel Gandolfo, ma nel territorio, neutrale, del Vaticano, provocando oltre 500 vittime civili, nonostante il Presidente Roosvelt si fosse impegnato con Pio XII:
«Le chiese e le istituzioni religiose saranno, per quanto dipende da noi, risparmiate dalle devastazioni belliche nella lotta che ci sta davanti. Durante il periodo delle operazioni militari, la posizione di neutralità della Città del Vaticano, come pure i possedimenti pontifici in Italia, saranno rispettati».
In occasione del 69° Anniversario, ricordiamo il tragico bombardamento alleato con il testo integrale dell’intervista a S.E. Mons. Dante Bernini, vescovo emerito di Albano.
Viterbo 9 ottobre 2010
DOMANDA: Lei ha vissuto l’esperienza della guerra a Viterbo, città di bombardamenti con molte vittime. Quanto questo ha contribuito a renderla così sensibile nel ricordare i bombardamenti di Propaganda Fide?
MONS. BERNINI: Viterbo è stata una città che è stata distrutta per il 60%. Nel gennaio 1944 gli americani pensavano di arrivare a Roma in tempi brevissimi, forse una,due settimane. Invece successe che dovettero penare fino a giugno e in quel periodo anche la città di Viterbo fu molto martoriata. Furono distrutte tante vite prima di tutto e poi anche dei monumenti, delle case, delle vie. Per la ricostruzione c’è voluto molto tempo. Quindi è chiaro sono stato molto segnato da questo tipo di vita vissuta nel periodo gennaio - giugno 1944.
DOMANDA: Dei bombardamenti di Albano lei ha avuto dei racconti, ha avuto tante testimonianze, che cosa l’ha colpita particolarmente?
MONS. BERNINI: Credo di dover subito dire che questo bombardamento, che fece tante vittime, centinaia di vittime, parecchie centinaia di vittime, avvenne in un territorio extraterritoriale rispetto al territorio italiano. Pio Decimo Secondo, aprendo la Villa Pontificia agli abitanti dei Colli albani, rese possibile a circa dodici mila persone di rifugiarsi nella Villa Pontificia, sperando appunto che l’extraterritorialità fosse un motivo di sicurezza per loro. Il che poi non è stato, perché di fatto fu bombardata. […] È chiaro che io sono stato poi destinatario di ricordi, di memorie, di partecipazione alla sofferenza di questa gente. Poi, ecco, mi interessava subito dare un aspetto a questo mio modo di intervenire. Come mi sono espresso anche in altri momenti per evidenziare le vittime civili della guerra, avere degli elenchi dei soldati morti in guerra è relativamente facile. Avere invece degli elenchi di morti civili è estremamente difficile, perché la memoria è labile e poi con l’andare degli anni i testimoni vengono meno. Allora bisogna andare a rovistare in uffici vari, a cominciare dai verbali dei Carabinieri, dei vari settori della vita pubblica che era interessata all’attenzione di queste morti improvvise, così numerose; perché tra l’altro era anche la numerosità dei morti che rendeva il fatto molto più interessante dal punto di vista umano. Io ebbi un validissimo collaboratore, il Dottor Leo Evangelista, che si fece promotore di una ricerca molto precisa, con la quale si poterono raccogliere circa due mila nomi di vittime civili della guerra. In base a questo prendemmo anche iniziative insieme, anche con i Comuni della zona Colli, per far conoscere quella che era stata la realtà della guerra per i cittadini. Anziani, giovani, ma soprattutto adolescenti, bambini, famiglie intere distrutte, come si può facilmente ricavare dai testi che curammo. Nel 1984, Exodus. Dalla guerra verso la pace, in cui raccogliemmo anche le testimonianze dei Sindaci. I Sindaci stessi fecero un documento che presentarono al Presidente della Repubblica, poi ad altri centri politici nazionali, per renderli attenti al tipo di situazione che si crea con le guerre. Oggi sono più i civili che muoiono nelle guerre che non i combattenti.
DOMANDA: Lei ha conosciuto Emilio Bonomelli?
MONS. BERNINI: L’ho conosciuto poco, anche se ho letto i suoi libri, particolarmente Papi in campagna. Però ho sentito anche le memorie fatte dalla gente umile, semplice di questa capacità di accoglienza, di condivisione, di aiuto a tutte le persone che bussavano alla Villa Pontificia e poi anche proprio a palazzo Pontificio. La storia racconta, e le testimonianze sono numerose e chiarissime, che molti bambini sono nati perfino nel Palazzo Pontificio e non pochi bambini furono chiamati poi con il nome di Pio addirittura, oppure di Eugenio in dipendenza di un’attenzione di gratitudine e di ringraziamento al Santo Padre. Quindi ho conosciuto Bonomelli. So benissimo quanto ha fatto. Si è dedicato sempre però su ispirazione di Pio Decimo Secondo per aiutare questa gente.
DOMANDA: Ha anche tentato di sottolineare a quella gente che neanche quel territorio era un territorio sicuro. Ne ha parlato di questo con lui?
MONS. BERNINI: No, con lui personalmente no, perché io sono arrivato dopo che lui aveva lasciato la sua responsabilità. Però ho sentito dire sempre che era un uomo di grandi capacità umane direi. Ho detto, mi pare, di accoglienza e di condivisione che sono due atteggiamenti che dovrebbero essere coltivati più di quanto non lo facciamo abitualmente. Accoglienza per la gente che soffre e condivisione di questa sofferenza. Perché un conto è essere efficienti, se vogliamo anche efficaci, molto meglio, ma un conto è anche condividere e far sentire questa partecipazione umana e ai credenti eventualmente cristiana, in modo da rendere più partecipata questa presenza, questo servizio, e la gente avverte che oltre la forma ci sono anche dei contenuti di una sensibilità, […] ancora ripeto la parola partecipazione molto viva.
DOMANDA: Ha ricevuto da lui qualche ricordo,qualche testimonianza di quei bombardamenti?
MONS. BERNINI: Durante il periodo in cui tentavamo con queste pubblicazioni, che la città, la diocesi di Albano aveva intenzione di mettere a disposizione del pubblico, si parlava anche con i Sacerdoti che avevano vissuto in questo periodo tristissimo della città di Albano. […] Dai Sacerdoti raccoglievamo più che altro delle sensazioni, se vogliamo, dei convincimenti, che poi erano cresciuti dentro di loro per svolgere un mistero pastorale […]. La guerra aveva profondamente sconvolto la vita delle famiglie e la vita di queste persone che vivevano ormai qualcosa di assolutamente diverso da quello che avevano progettato prima che i bombardamenti li privassero dei loro cari.
DOMANDA: Riguardo le responsabilità del bombardamento, da quello che lei ha raccolto come ricordi, come testimonianze, c’è stata la tendenza a spiegarlo in qualche modo? Lei prima ha parlato di extraterritorialità, in fondo era un territorio neutrale quello che fu bombardato.
MONS. BERNINI: Sì la gente entrò proprio con questo tipo di convincimento, anche se come lei mi pare poco fa ha ricordato, il dottor Bonomelli metteva sull’avviso dicendo “guardate..., è vero siamo in un territorio che dovrebbe essere salvaguardato da Leggi internazionali riconosciute a tutti i livelli, però la guerra è la guerra”. Ecco io sotto questo profilo credo che esigere dai belligeranti quelle che sono le norme che sono state pensate, legiferate, appunto, e sottoscritte a livello per esempio, non so, Europeo, esigere da loro è un dovere, è un diritto da parte dei cittadini, ma che poi la guerra  venga condotta con l’osservanza di queste norme credo che, è amaro dirlo, ma non è poi troppo facile ottenerlo. ”La guerra è la guerra”, questa frase veniva detta in tante lingue […]. “La guerra è la guerra”, è qualche cosa che veramente fa cadere non soltanto le braccia, ma fa amareggiare gli animi in modo quasi disperato, perché dire che “la guerra è la guerra” significa che non esiste più nessuna norma, anche quelle ripeto che sono riconosciute a livello più ampio possibile. Quindi purtroppo lì è avvenuto questo bombardamento. Alcune cose che posso ricordare… Il Vaticano protestò. La risposta forse non fu così precisa o almeno così documentata come sarebbe stato necessario […]. Nella Villa Pontificia non c’erano tedeschi. Erano soltanto cittadini italiani. Erano cittadini che si erano raccolti, perché speravano di poter essere difesi, tra l’altro, anche da questo tipo di qualifica di extraterritorialità di questo territorio.

DOMANDA: Socialisti, repubblicani, comunisti, partigiani, lo ricorda anche Bonomelli, svolsero una funzione di controllo, di sorveglianza per garantire sicurezza nella Villa. Di questa presenza di persone di diverso orientamento, di diversa cultura in quella Villa, lei ha trovato traccia a tanti anni di distanza, ha visto una memoria che è stata facilmente condivisa perché c’erano tutti là dentro, oppure le diverse letture di quel periodo e di quel bombardamento sono sopravvissute?
MONS. BERNINI: A dire la verità, non ho sentito di questa presenza, che non era messa in discussione da nessuno dei responsabili di questa entrata nella Villa Pontificia, di persone alle quali non veniva poi chiesto nemmeno con la carta di identità, perché venivano accolti tutti. Sotto questo profilo potrei parlare di episodi che riguardano personalmente un cristiano… Adesso parlo in termini espliciti, non si domanda mai a una persona che è in pericolo di vita come si chiama e perché chiede ospitalità e perché chiede eventualmente di essere salvaguardato dalla violenza la più brutale. C’è un’immediatezza che viene dall’essere uomini, donne che vivono la loro vita in un’interezza che viene da una sensibilità coltivata per anni e poi c’è anche per chi è credente… un’ispirazione evangelica. Quindi non si pone sul tavolo questo tipo di distinzione, tanto meno poi di separazione […]. La gente entrava, certo doveva in qualche modo presentarsi, declinare quelle che potevano essere i loro dati anagrafici, perché, in fondo, si doveva salvaguardare anche un vivere insieme, un vivere comune da quelli che potevano essere episodi poco simpatici per dirlo con un aggettivo molto lieve, però nello stesso tempo non si domandava altro.
DOMANDA: Lo stesso Bonomelli sottolinea che fu un buon rapporto, un rapporto di collaborazione positivo e importante. Secondo lei quel buon rapporto, che si stabilì in quell’occasione, in quella tragedia, ha facilitato o no la condivisione del ricordo tra persone di cultura diversa a distanza di tanti anni? Lei nel 1984 ha promosso un recupero del ricordo di quella tragedia, ha trovato una memoria condivisa tra persone di cultura diversa, di orientamento diverso o ha trovato…
MONS. BERNINI: Assolutamente condivisa. Noi abbiamo lavorato sempre con chiunque avesse un’attenzione minima agli altri, con la “A” maiuscola, senza fare distinzioni di sorta. Quando abbiamo fatto delle iniziative non abbiamo mai domandato quale fosse la sensibilità appunto degli altri a proposito della politica, dei partiti politici. Non l’abbiamo mai domandato.
DOMANDA: Una prova ulteriore è Montecassino, dove il cinque febbraio del 1944 arrivarono tante persone, tra cui anche gente di malaffare.
MONS. BERNINI: Questi sono rischi, sono rischi che si corrono ogni volta che c’è un pronto soccorso che genera un’emergenza rispetto alla quale salvare una vita umana è come salvare l’umanità, senza altre qualifiche, altre distinzioni, altre sottolineature, una vita umana è una vita umana. Adesso lei mi ha introdotto in questo sentiero, che dovrebbe essere una strada praticabilissima, quando si tratta ripeto della salvezza di una vita umana si deve salvare comunque con tutti i mezzi possibili, che questo poi sia possibile, nel senso proprio di un’efficacia che conduca alla finalità che uno intende raggiungere, può dipendere anche da fattori che non si prevedono e che improvvisamente conducono poi a direzioni diverse da quelle che uno ha in testa e soprattutto ha nel cuore, nell’animo.
DOMANDA: Un’ultima domanda, data la sua esperienza sulla guerra, in base alla sua esperienza per il tentativo molto ben riuscito di recuperare il ricordo dei bombardamenti di Propaganda Fide, quale messaggio si sente di lanciare ai giovani, perché qui c’è il senso di tutta un’esistenza, un’esistenza che si è individuata in vari modi con una tragedia vera e propria.
MONS. BERNINI: Guardi lei qui mi mette in un campo nel quale ho dedicato non soltanto riflessioni, pensieri, impegno, responsabilità. Io ho sempre amato molto i giovani, ma non perché fossero come io li ho pensati o li penso, ma perché siano i testimoni di un mondo interiore fatto di grande umanità prima di tutto a largo raggio, senza preclusioni di sorta per gli altri, chiunque siano, quindi un’educazione non soltanto…, una volta si diceva planetaria, addirittura cosmica, questo è pensiero radicale e fondamentale. Poi per la mia qualifica, eventualmente per il mio impegno, per il mio mandato di Vescovo, ho cercato sempre […] di verificare, se mi è consentito, e di amplificare anche questo tipo di prospettiva con un sale saporoso di tipo evangelico. Allora io devo citare il Vangelo “amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, pregate per coloro che hanno sentimenti di inimicizia verso di voi. Perché in fondo siete figli del Padre Celeste che fa nascere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa scendere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti”. Se questo è il Vangelo ci sono delle conseguenze che alcune volte non violano la Legge, ma superano la Legge, perché violare la Legge è sempre qualcosa che può mettere a rischio una persona che ragiona con la testa, ma superare la legge può dinamizzare una ragione che sente il dovere di muoversi anche in forza del cuore, intendendolo come centro di sentimenti degli affetti e delle decisioni radicali della vita. […] Zaccaria [Negroni] ha rischiato la vita quando era Sindaco, per le decisioni che ha preso in favore dei marinesi. Lui racconta su quel documento Marino sotto le bombe che un giorno purtroppo è morto un bambino sotto le bombe. Il papà lo portò in una stanza per custodire la salma. Per motivi contingenti dovette poi questa salma essere portata nella basilica di Marino. Venne poi il secondo bombardamento e una scheggia forò la piccola cassa dove era stato accolto il bambino e raggiunse il bambino e il papà mormorò “me l’hanno ucciso due volte”. È inimmaginabile quello che capita durante la guerra. Adesso io non ho parlato mai di quelle che sono state le mie esperienze personali. Non ne parlo molto volentieri. Non è possibile ammettere la guerra, una guerra guerreggiata, così almeno io la penso. I politici forse qualche volta pensano differentemente, ma lei lo sa quanto è martoriata questa teoria della guerra giusta, che ha radici antiche? Tra l’altro San Agostino e tanti altri teologi di primissima linea hanno trattato di questi argomenti, né ha trattato anche Obama, adesso, nel suo discorso ad Oslo. Credo che Obama abbia fatto bene a dire che più che della guerra giusta, dobbiamo parlare della pace giusta. D’altra parte questo è nella linea anche dei non violenti, nei quali io amo molto le idee, i pensieri, ma anche il modo di agire nel mondo. Sono i grandi problemi di sempre. Mi auguro che siano prima o poi risolti in modo differente da come sono stati spesso risolti nel passato. Io mi domando perché l’uomo abbia tanto discusso di guerra e meno di pace, non dico…,dico così meno di pace. Avrei dovuto dire “molto meno di pace”, perché?

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