Non di solo pane vive l'uomo


Sovente gli storici, per facilitare l’identificazione di un certo periodo, ne sintetizzano il contenuto in una breve definizione. Anche noi, pur incompetenti della professione, possiamo concederci questo capriccio, affiggendo un ingenuo cartellino ad ognuno di essi.

La storia greca, per esempio, potrebbe essere distinta col marchio del Bello, della Filosofia della Sapienza; la grande Roma ben può vestire la maschera di madre del Diritto; il Medioevo passa davanti ai nostri occhi quasi una soffusa visione di corazze, cavalieri e stendardi; l’età moderna si può rapidamente delineare come età dei lumi; il secolo appena trascorso, invece, sarà uno sgradito ospite nella mente di tutti, così cigolante e tumido di morte, orrore e distruzione.

E la nostra epoca? Quale curioso titolo potremmo scrivere sull’etichetta che le penzola dal collo? Certo, è risaputo che il miglior punto d’osservazione della storia è il futuro, dato che solo “il tempo porta alla luce la verità”; ciò nonostante, pur titubanti, potremmo azzardarci a scrivere con un rozzo e sgraziato stampatello: L’età dell’utile. Non so se questa definizione sia la più calzante, una di quelle che, lasciata lì sul tavolo, riesca ad aderire perfettamente all’essenza dell’oggetto in questione; certamente, ne evidenzia una caratteristica importante, forse la più invadente.

Non è forse “l’utile” la stella polare dell’uomo contemporaneo, o almeno, di una parte consistente di esso? Cosa spinge le azioni della stragrande maggioranza delle persone? La carriera, il benessere personale - che a volte giunge ad un egoismo parossistico, escludendo anche i propri familiari.

“Ma che bella scoperta” mi direte “ l’uomo ha sempre agito così!”.

Sarà... eppure sembra che un tale atteggiamento si sia inasprito in questi ultimi tempi, come se questa tendenza fosse divenuta più radicale. La società moderna sembra ormai incapace di meravigliarsi, di commuoversi, di mettersi in gioco per qualcosa di grande; e questo perché ha un solo chiodo fisso: l’utile, ben diverso dalla sete di potere, di denaro, di fama.

Alla malora quindi tutti quegli orpelli che l’ignorante uomo del passato apponeva alla realtà nel vano tentativo di raddolcirla! Brucino pure le molli e superflue decorazioni degli edifici (“l’ornamento è delitto”)! Che tengano pure per sé tutte quelle lambiccate nozioni filosofiche, tutte le futili e infantili citazioni poetiche! L’uomo può farne a meno, anzi, deve farne a meno: ne vale la sua capacità produttiva.

Si costruiscano pure chiese-hangar con cemento a vista, autorimesse per masse d’anime anonime; saranno gli iridescenti e ciclopici centri commerciali le nostre nuove cattedrali: sicuramente più convenienti e produttive di un enorme e costoso edificio costruito in nome di una non ben tangibile divinità.

Spingiamo i nostri figli a fare delle scelte davvero vantaggiose – per il loro bene, s’intende – che gli diano una “spinta” per il futuro. La smettano di inseguire pagina dopo pagina le vicende narrate in libri polverosi ed ammuffiti; se proprio ne hanno voglia, ascoltino pure un audio libro mentre fanno jogging, ma sprecare tutto questo tempo, giammai!

E’ evidente: i bisogni del corpo hanno surclassato quelli dell’anima. L’uomo pensa – o si illude – di poter vivere “di solo pane”, limitandosi a soddisfare i propri bisogni alimentari o zoologici. Senza voler delineare una catastrofica situazione, non è difficile ammettere che parte della società moderna sembra essere inquadrata in questa direzione. Gli edifici sono vuoti magazzini firmati da architetti “razionali”, le abitazioni sono “macchine per abitare”, ci si è lasciati alle spalle le maestose cupole, i severi bassorilievi, le esili colonnine con cui un tempo si usava adornarli; tutte “inutili” decorazioni costruite per nessun altra motivazione se non quella di sovvenire ai bisogni dell’animo umano.



Si tende a leggere sempre meno, perché non lo si considera importante, perché non lo si ritiene – ancora – utile. Le materie umanistiche vengono soppiantate da quelle scientifiche, perché più vantaggiose, perché prospettano maggiori orizzonti lavorativi. Uno maturato che decida di frequentare la facoltà di lettere (o affini: “senza numeri”, per intenderci) è costretto ad annunciarlo con timore, sentendosi quasi colpevole; come se questa scelta fosse un capriccio, una velleità da bambini sognatori.

Quando capiremo che i bisogni dell’anima vengono prima di quelli del corpo! Che l’uomo non si limita alle sue funzioni fisiologiche! Forse, in teoria, siamo tutti concordi nell’accettare questa affermazione. Ma nella pratica ne siamo ancora ben lungi.

Non di solo pane vive l’uomo. Frase celebre, conosciuta da molti, ma applicata da pochissimi.

Il mondo, e di conseguenza anche l’uomo, non è stato progettato per l’utile, ma per il Bello, il Meglio: il Bene. Basta guardarci attorno per rendercene conto. Chi oserebbe affermare che la natura sia stata concepita secondo criteri utilitaristici? A che servono le montagne, gli alberi, le nuvole, il cielo, il mare, il sole, la luna, le stelle? Nessun designer sarebbe riuscito ad eguagliare tanta bellezza. Pensiamo anche ai soli colori. Non servono a niente, eppure ci sono, e nessuno sarebbe disposto a rinunciarvi.

Non di solo pane vive l’uomo. Sia ben chiaro: di “solo”. Non si vuole certamente spingere a vivere in un mondo fatato, frutto di vagheggiamenti di sognatori. La componente pragmatica è importante, essenziale, fondamentale, ma non esclusiva.

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