Le ombre rosse sul massacro delle Fosse Ardeatine


Roma, 23 marzo 1944. Si consuma l’antefatto dell’immane eccidio nazista delle Fosse Ardeatine, nel quale vennero giustiziate 335 persone, tra cui ebrei, un sacerdote cattolico, artisti, diplomatici, autisti, avvocati, ferrovieri, impiegati, merciai ambulanti, medici, meccanici, professori, studenti, musicisti, bottegai, generali, camerieri, banchieri, industriali, macellai. Una bomba, confezionata da mano partigiana con 18 kg di esplosivo misto a spezzoni di ferro, viene fatta esplodere in corrispondenza del passaggio in via Rasella dell’11° compagnia del III battaglione dello SS-Regiment-Polizei “Bozen”, formata da 156 uomini, di cui la maggior parte altoatesini (e dunque Italiani), di ritorno da un’esercitazione di tiro: 32 uomini muoiono sul colpo, uno decede il giorno successivo, tra le altre vittime il partigiano Antonio Chiaretti e il 13enne Piero Zuccheretti, tagliato a metà dall’esplosione.
Vittime dell'attentato di via Rasella, come si può ben vedere non si tratta di giovani, come detto dalla Cassazione
L’attentato fu un gesto sconsiderato, privo di qualsiasi valore militare, giacchè il battaglione colpito aveva unicamente funzioni di polizia (Roma era città aperta), e il rifiuto da parte degli autori materiali di costituirsi costò la vita a ben oltre 300 persone, benchè sul particolare dell’affissione da parte del comando tedesco dei manifesti che invitavano gli esecutori ad auto-denunciarsi non si è riuscito a produrre alcuna prova. Peraltro, il problema non si pone nemmeno perché Rosario Bentivegna (colui che accese la bomba in via Rasella) ha affermato che fu lo stesso PCI a porre il veto di costituirsi ai suoi affiliati. Questo particolare, il quale, peraltro, non sarebbe l’unico, stridente con l’immagine edulcorata, passata da certuna storiografia, del partigiano “martire”, insieme ad altri, suggerisce dei risvolti inquietanti alla vicenda, messi in luce nel 1996 dal giornalista Pierangelo Maurizio, condannato, per questo, dalla Corte di Cassazione, che, contro qualsiasi oggettività storica, definì l’attentato di via Rasella, “azione di guerra”.
Rosario Bentivegna
La Cassazione fece una descrizione precisa dei componenti del Battaglione Bozen, come "di uomini pienamente atti alle armi, di età compresa tra i 26 e i 43 anni". Pare ciascuno avesse, inoltre, un moschetto e tre bombe a mano alla cintola. La Cassazione però dimentica un piccolo particolare, raccontato al citato giornalista da un superstite del gruppo Bozen:  il Comando tedesco, in ragione dello status di Roma come “Città aperta”, con teutonica ottusità, faceva marciare con i moschetti scarichi. Erano montanari altoatesini, che avevano optato per la cittadinanza tedesca ed erano stati forzatamente arruolati. A Roma stavano seguendo un corso di addestramento, al termine sarebbero stati impiegati come piantoni.
Con buona pace della Cassazione, tuttavia, che l’attentato di via Rasella fu tutt’altro che un’azione di guerra lo dimostra, primo, quanto affermò nel '48 la sentenza del Tribunale militare di Roma contro il colonnello delle SS Herbert Kappler, condannato all'ergastolo per le Fosse Ardeatine (non per la rappresaglia ma per i condannati in più che aggiunse arbitrariamente), definendo l'attentato dei Gap un «atto illegittimo» contrario a tutte le convenzioni internazionali. Tanto che i familiari di tre poveri ebrei finiti a far numero alle Fosse Ardeatine cercarono di portare in giudizio non solo gli esecutori dell'attentato ma anche i mandanti. Per motivi incomprensibili, si trovò il modo di incardinare il processo non al Tribunale militare, non in sede penale, ma in sede civile. Nel '51, poche settimane prima che ci fosse il verdetto, il governo De Gasperi conferì onorificenze al valor militare agli esecutori materiali di via Rasella (la medaglia d'argento a Rosario Bentivegna è stata consegnata solo nell'83 dall'allora Presidente-partigiano Sandro Pertini). Qualche settimana dopo il Tribunale civile sentenziò, pressoché sulla base di questo assunto: gli attentatori sono stati appena premiati pubblicamente come eroi, dunque nessun atto illegittimo può essere addebitato loro. Da qui nasce il mito intoccabile di via Rasella «azione di guerra».
Da allora chiunque abbia osato contestarlo è stato passibile di querela, con condanna più che probabile. Ne fece le spese anche il grande Indro Montanelli, per aver violato in un libro la sacralità del mito e la Rizzoli fu costretta a mandare al macero 30mila copie.
Molto interessanti sono gli scenari che, documenti alla mano, Maurizio traccia, in riferimento a possibili secondi fini partigiani che dietro un’azione, la cui ingenuità e inutilità da un punto di vista strategico, non faticano ad affiorare, né sembrano fuori da alcuna logica: «Nella più che prevedibile rappresaglia nazista furono sterminati in prevalenza appartenenti a “Giustizia e libertà”, a “Bandiera rossa”, ai partigiani monarchici, tutte e tre formazioni contrapposte al Pci o sue rivali. Tutti, a cominciare dall'eroico colonnello Montezemolo (zio di Luca), che come capo del “Fronte militare clandestino” aveva vietato gli attentati a Roma proprio per evitare rappresaglie, nei mesi e nelle settimane precedenti erano stati arrestati, il più delle volte sulla base di delazioni provenienti dall'interno della Resistenza.
Nei mesi precedenti “l'Unità” clandestina, diretta da Mario Alicata, fece una guerra spietata a quelli di “Bandiera rossa”, formazione in cui c'erano trozchisti, un anarchico, qualche repubblicano e soprattutto numerosi ufficiali “democratici” come Aladino Govoni (trucidato alle Ardeatine), il figlio del poeta Corrado. Il foglio del Pci arrivò a definirli "emissari di Goebbels" uguagliandoli ai nazisti. Poche settimane prima di via Rasella avvertì che se qualcosa di grave fosse accaduto a Roma "sappiamo di chi è la responsabilità".
Antonello Trombadori, uno dei leader del Pci, che aveva capeggiato i gappisti romani (autori dell’attentato di via Rasella) nella prima fase e si trovava nel carcere di Regina Coeli, si salvò grazie al medico del carcere, il dottor Monaco, che lo dichiarò “intrasportabile” perché malato. Ma alle Fosse Ardeatine finirono storpi e anche un ragazzo di 14 anni». (da P. MAURIZIO, Via Rasella. Un mistero che dura da sessant'anni, il Giornale, 10.08.2007)
In una delle pagine più nere della Seconda Guerra Mondiale, ed in particolare dell'occupazione tedesca, non si fatica a scorgere - nell’occasione tra partigiani, aderenti a correnti diverse- quella lotta fratricida, che da Romolo e Remo, passando per Guelfi e Ghibellini, per approdare allo scontro ideologico tra DC e PCI ha segnato (e continua a segnare) la storia d’Italia, lasciando dietro di sé, tra le altre, le mute vittime delle Fosse Ardeatine.

3 commenti:

  1. Questo articolo è tremendamente revisionista e carente dal punto di vista storico.
    Lo stesso Kappler affermò nel corso del processo di non aver fatto affiggere nessun avviso per far costituire gli attentatori, perché la rappresaglia non era contro di loro ma finalizzata a terrorizzare la cittadinanza romana. Lo stesso Bencivegna raccontò che dopo l'attentato si erano nascosti in una cantina con una radio per avere notizie sull'esito dell'azione, ma alla radio non ne parlò.
    Inoltre solo il 25 marzo l'agenzia Stefani pubblica il comunicato emanato il 23 marzo alle 22.45 dal comando tedesco che cito: "«Nel pomeriggio del 23 marzo 1944, elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca di Polizia in transito per Via Rasella. In seguito a questa imboscata, 32 uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti.
    La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono accora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano.
    Il Comando tedesco è deciso a stroncare l'attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito».
    Il revisionismo è una brutta bestia, l'ignoranza di più.
    Chi non ha memoria non ha futuro.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gentile lettore,
      grazie del commento e dei toni educati nei quali si è espresso.

      Lei mette in dubbio il fatto che a Roma siano stati affissi o meno manifesti con cui i nazisti comunicavano i loro intenti di attuare rappresaglie nel caso non fossero stati consegnati i responsabili: noi siamo perfettamente d'accordo. Infatti nell'articolo scriviamo: "sul particolare dell’affissione da parte del comando tedesco dei manifesti che invitavano gli esecutori ad auto-denunciarsi non si è riuscito a produrre alcuna prova". Aggiungiamo inoltre che, quando il 25 marzo Il Messaggero diede notizia dell'accaduto, concludeva con la frase - divenuta tristemente celebre - "l'ordine è già stato eseguito".

      Per quanto riguarda la sua opinione circa il revisionismo, mi permetto di esprimere la nostra a riguardo: il termine in questione ha assunto accezione prettamente negativa in diversi contesti, soprattutto in quegli ambiti della storiografia dove la manipolazione politica garantiva all'una o all'altra fazione di vedere confermate le proprie posizioni; tale manipolazione è stata più volte definita revisionismo, rappresentando uno dei più gravi problemi della storiografia moderna. Tuttavia riteniamo che tale termine non abbia un significato negativo se riferito ad un'operazione storiografica di direzione inversa: laddove l'una o l'altra fazione politica ha voluto storpiare il corso degli eventi sottoponendoli alla propria ideologia, è necessario rivedere la storiografia che da 50 anni troneggia sui libri di storia, perché - come dice Lei - l'ignoranza è una brutta bestia.

      Ci consenta anche di dire che il termine "revisionismo" non ci appassioni più di tanto, soprattutto perché legato, nell'opinione comune, alla negazione dell'Olocausto, tragedia immane davanti alla quale non è possibile fare altro che averne una cosciente memoria, libera da pregiudizi ideologici: riconosciamo semplicemente la necessità di "riscrivere" la storia, non inventando fatti, ma facendo luce su ciò che la storiografia contemporanea ha voluto rimuovere o oscurare.

      Saluti,

      La Gazzetta del PAGO

      Elimina
  2. Io ci sono stato ieri in visita, mi ci sono imbattuto per caso, stavamo andando alle catacombe di san callisto.....ma erano chiuse, nemmeno un piccolo avviso sul sito internet.....tralasciando questa figuraccia del comune di Roma, vorrei fare un appunto sulle fosse ardeatine! Avere un luogo sacro, di una tale importanza come questo, e ricordarsene solo in occasione delle ricorrenze non è accettabile. Ho visto fiori finti, sporchi, certe tombe senza nulla....le foto...ho passato la mano su quella famiglia uccisa sei con lo stesso cognome.....foto sporche e piene di terra......incredibile, molto deluso. Ho provato nel vedere le fosse una emozione incredibile....leggere la targa dove si parla di democrazia.........
    Alberto B.

    RispondiElimina

Il blogger, essendo responsabile penalmente di tutto ciò che viene pubblicato sul suo blog, modererà tutti i commenti, che non saranno pertanto visibili prima della sua approvazione: è richiesta la massima educazione e moderazione nei termini.