La morte di Dio


All’indomani del giorno in cui, come canta il Petrarca, «al sol si scoloraro per la pietà del suo factore i rai», l’immagine lasciataci dalla liturgia del Venerdì Santo, quella del Cristo morto e sepolto, non ci può esimere da una riflessione sulla “morte di Dio”.
Nietzsche
È celebre l’aforisma 125 della Gaia Scienza, con cui Friedrich Nietzsche annuncia tale evento:
«Non avete mai udito parlare di quel pazzo che in pieno giorno accese una lanterna, corse al mercato e gridò senza tregua: "Io cerco Dio! Io cerco Dio!"? Poiché si trovavano colà molti di quelli che non credono in Dio, il pazzo provocò una grande risata, "Dio è dunque andato perduto?" chiese un uomo. "Si è smarrito come un bambino?" chiese un altro. "O si tiene nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?". Così gridavano e ridevano tra loro. Il pazzo saltò in mezzo a loro ficcando in loro lo sguardo. "Dove è andato Dio?" egli gridò. "Io ve lo voglio dire. Noi lo abbiamo ucciso, voi ed io! Noi tutti siamo i suoi uccisori! Ma come abbiamo fatto ciò? Come potemmo bere tutto il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare tutto l'orizzonte? Che cosa abbiamo fatto quando staccammo la Terra dalla catena del suo Sole? In quale direzione ci muoviamo noi? Lontano da tutti i soli? Non precipitiamo noi continuamente? Indietro, da un lato, in avanti, da tutte le parti? C'è ancora un alto e un basso? Non voliamo noi come attraverso un nulla senza fine? Non soffia su di noi lo spazio vuoto? Non fa forse più freddo? Non sopraggiunge continuamente la notte, sempre la notte? Non si devono accendere le lanterne di mattina? Non udiamo ancora nulla del rumore dei becchini che seppelliscono Dio? Non sentiamo alcun odore della putrefazione divina? Anche gli dei si putrefanno! Dio è morto! Dio resta morto! e noi lo abbiamo ucciso! Come possiamo consolarci noi gli assassini di tutti gli assassini? Ciò che di più santo e più potente possedette finora il mondo fu dissanguato dai nostri coltelli. Chi cancella da noi questo sangue? Con quale acqua potremo purificarci? Quali solenni espiazione quali giochi sacri dovremo inventare? La grandezza di questo fatto non è troppo vasta per noi? Non dobbiamo noi stessi diventare Dei, per sembrare degni di quella grandezza? Non ci fu mai un fatto più grande, e chi nascerà dopo di noi apparterrà, a causa di quel fatto, ad una storia più grande di quanto sia stata fatta finora, qualsiasi storia!"... Si racconta ancora che quel pazzo entrò lo stesso giorno in diverse chiese ed ivi intonò il suo "Requiem aeternam Deo"».
Nel passo riportato, benchè non venga esplicitato, il riferimento allo scandalum crucis non è difficile da individuare: prima di tutto, nel riconoscimento del carattere del tutto paradossale della morte della Vita, reso, metaforicamente, dall’enunciazione dell’impossibilità di bere tutto il mare. A tal proposito, non si può non constatare, richiamando il significato letterale dell’espressione latina, da noi usata, per indicare l’evento del Venerdì Santo, che scandalum è ciò in cui si inciampa, nel caso specifico, ciò in cui la ratio inciampa. E, sicuramente, parte dell’ateismo di Nietzsche è imputabile al razionalismo con cui Hegel aveva ridotto la Rivelazione Cristiana ad un “momento” nell’emancipazione dell’Impersonale ed Assoluto Spirito della storia.
Altro elemento che, ricollegandosi direttamente alla Crocifissione del Cristo, al contempo, offre lo spazio per l’originalità dell’autore è l’attribuzione della morte di Dio, l’onnipotente creatore, all’uomo, la creatura. La riflessione filosofica relativa all’Olocausto porrà in rilievo che Dio, nell’aver creato l’uomo libero, ha rinunciato a parte della propria onnipotenza a favore del libero arbitrio umano, tanto da non arrivare ad evitare la sua stessa crocifissione, come lo invitavano a fare gli aguzzini: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto» (Lc 23, 35).
Nietzsche, invece, nell’attribuire l’uccisione di Dio agli uomini del suo tempo, non vuole denunciare il male perpetuato da mano umana - d’altro canto, nel suo nichilismo, il male non può esistere, giacchè manca quel Sommo Bene, solo esistendo il quale, può darsene la negazione in cui il male consiste – intende, viceversa, identificare la morte di Dio con il venir meno del senso del divino nella società, ossia con la secolarizzazione. Si badi che il pazzo dell’aforisma 125 non è profeta di una novità, egli, quale Diogene il Cinico faceva nell’Atene del III secolo a.C. con l’uomo, va alla ricerca di un Dio che, al pari degli altri uomini del racconto, già sa morto, perché, a differenza di questi ultimi, ha capito che senza Dio nulla ha più senso. Non si illude del positivismo, i cui effetti ben li videro gli uomini dell’epoca, nella Grande Guerra, negli orrori dei campi di sterminio, nell’ascesa di Hitler, basata su una concezione atea e materialista, quale quella veicolata dallo scientismo fin de siecle.
Francesco Guccini
Il rifiuto della croce e del mito del progresso, non può che condurre a Dioniso, agli idoli dell’irrazionalità. È significativo, a questo punto, citare il testo di una delle più felici creazioni del cantautore modenese Francesco Guccini, proprio dal titolo “Dio è morto”. La canzone, portata al successo dai Nomadi, subì la bieca censura per blasfemia della Rai, ma non della Radio Vaticana, che scorse in essa - e a ragione – un messaggio, tutt’altro, che contrario alla fede. Possiamo immaginare la voce narrante come quella di un uomo che giunga, un secolo e mezzo dopo, nel medesimo paese in cui era arrivato il pazzo di cui parla Nietzsche nella Gaia Scienza, e che incominci a raccontare:
« Ho visto la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate,
dentro alle stanze da pastiglie trasformate,
lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,
essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
e un dio che è morto,
ai bordi delle strade dio è morto,
nelle auto prese a rate dio è morto,
nei miti dell'estate dio è morto [...]».
Non è necessario violentare, con inutili parafrasi, il testo per scorgere nelle “strade” in cui cercano appagamento gli uomini e le donne di oggi, il triste ed aberrante trionfo del dionisiaco e comprendere che la divinità di cui si annuncia la morte stavolta non è il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe», come scrisse Pascal nel suo Memoriale, ma proprio il dio greco di quell’estasi, che non è un’uscita da sé, intesa, come nella tradizione cristiana, quale slancio mistico, ma un abbandono dell’essenza stessa dell’essere uomini, la razionalità.
Alla morte dell’idolo, al termine della canzone, fa da contraltare la Resurrezione del Cristo, quella che ci attende stanotte, quella di cui, come la Vergine, il cristiano porta nel cuore la speranza durante il Sabato Santo della vita e nella quale giace l’unico senso a quest’esistenza di cui l’uomo possa appagarsi.

Nessun commento:

Posta un commento

Il blogger, essendo responsabile penalmente di tutto ciò che viene pubblicato sul suo blog, modererà tutti i commenti, che non saranno pertanto visibili prima della sua approvazione: è richiesta la massima educazione e moderazione nei termini.