Il coraggio delle idee


Alla fine del 1900 Hobsbawn si guarda alla spalle e vede masse, moda e consumo[1]. Legge dunque con chiarezza tra le righe della storia e trova in quel fenomeno di massificazione della società, di cui si poteva percepire il peso e la potenza già all’inizio del secolo, le radici di una cultura giovanile mondiale. Tuttavia per poter vedere in maniera tanto limpida i contorni di un processo storico e il suo punto d’approdo bisogna trovarsi al varco di una nuova era, e affermando questo avremmo tutta l’approvazione di Hegel, probabilmente il più grande filosofo della storia. Allora perché non pensare che gli ultimi anni del novecento siano proprio il principio di un ponte che intende terminare ai piedi di una nuova gioventù, con la speranza di una nuova società. Infatti se fino agli anni ’90 possiamo riconoscere nelle posizioni che ogni volta la gioventù prende rispetto ai problemi sociali un senso di ribellione, astensionismo o rifiuto del sistema sociale, come afferma Tomasi[2], oggi cosa leggiamo nel comportamento della gioventù? Qualcuno potrebbe rispondere che massa, moda e consumo sono parole d’ordine oggi quanto lo erano nella società di Hobsbawn, ma è davvero così? Interessante come lo stesso Tomasi proponga di fatto una nuova accezione di “cultura giovanile” ovvero la “capacità che i giovani hanno di autodefinirsi nei loro comportamenti valoriali all’interno della società della quale sono parte”. A opporsi a questa visione è forse Miscioscia[3] che vede i giovani percorrere strade divaganti, astruse, sognanti e smarriti più che consapevoli e dinamici. Procedendo per punti, dunque, andremo ora ad analizzare le tre posizioni sopra esposte. La prima, quella che forse rispecchia il pensiero comune, è quella più difficile da affrontare. Difficile, perché siamo coinvolti da questa storia che tentiamo di interpretare quanto Hobsbawm lo sarebbe stato se avesse giudicato il suo “secolo breve” nel 1960 e non nel 1996. Tuttavia se Freud è riuscito a scrivere nel 1921 “Psicologia dell’io e delle masse” , prima ancora di aver conosciuto i totalitarismi, proveremo ad avere la presunzione di poter costruire un quadro altrettanto completo delle dinamiche che muovono la gioventù di oggi. Dunque, la moda è odiernamente la follia dei più, l’omologazione un’avanzata malattia sociale; il consumismo il male che divora irreparabilmente il pianeta Terra. Potremmo presto concludere che nulla cambia tra i giorni di Hobsbawm e i nostri. Tuttavia proprio per l’evidenza con cui questi problemi sono venuti alla luce negli ultimi anni, è offensivo anche solo ipotizzare che una cultura giovanile possa nascere sulle stesse note che hanno accompagnato le generazioni precedenti a cantare il disastro e l’eccesso. Quanto alla moda, la necessità di emergere e di differenziarsi dagli altri, proprio a dispetto di quell’omologazione forzata che i modelli sociali propongono e a volte impongono e che soffoca, spinge ad aprirsi a nuovi fronti, divorziando ogni anno di più dalla tradizionale moda. Oggi la moda è trovare qualcosa che nessun’altro ha, moda è essere originali ad ogni costo. Difficile dunque credere che nulla abbia scosso il sistema sociale dagli anni ’60 ad oggi. Tomasi d’altra parte propone di soffermarsi maggiormente su quei valori più o meno consapevolmente condivisi dai giovani forse animati dall’unica voglia di riuscire là dove le generazioni prima hanno fallito, di migliorare, di crescere. Dunque più che rifiuto e astensionismo, in questa prospettiva, si preferisce vedere l’aspetto costruttivo del comportamento dei giovani: abilità, talento, ideali, che spingono a far propri i valori che la società ha sepolto o mai considerato. Dobbiamo ammettere che nel nuovo millennio il sistema politico mondiale che si avvia verso un progressivo declino ha dato una consistente spinta alle dinamiche sociali, che si sono trasformate, consolidando le relazioni sociali internazionali, riempiendole di significato. E i primi ad essere coinvolti da questa nuova aria, aria di cambiamenti, di novità, necessità di sganciarsi dai modelli nazionali, di oltrepassare significativamente i confini degli stati, di cercare la stretta dei popoli, il senso dell’umanità più che della razza può aver coinvolto per primi i giovani. Quello che si può dire osservando la storia passata e quella che ci circonda, è che lentamente svanisce la cortina di fumo che divide un giovane dall’altro, che crea conflitto e disinteresse, oblio della comunicazione e pigrizia; che ogni anno di più fiorisce una vera cultura giovanile, intesa così come la intende Tomasi; che il confronto ha liberato la voglia di cambiare, sotto un ideale comune e verso una nuova società. Eppure Mismoscia ritrae una gioventù ancora cucciola, non abbastanza cresciuta per avere consapevolezza di sé e del proprio ruolo. Una gioventù che cerca una guida quando “utilizza la trasgressione e la provocazione”; un gioventù che fugge e si lascia cullare in quel “grande spazio onirico aperto dalle droghe e dalla realtà virtuale” scivolando nella “dimensione del gioco e del consumo”; un gioventù che auspica a un futuro “più carico di affettività, pace e socialità” solo quando da libero sfogo alle proprie “capacità intuitive ed artistiche”. Possiamo dunque parlare di una cultura giovanile che si sviluppa sì, ma che si fa sentire solo quando il divario tra le nuove menti e la società è troppo grande perché i due corpi si concilino? Che la gioventù attraversa fasi di improduttiva inerzia e percorre la strada di una cultura comune aperta da una gioventù lontana finché annoiata si disgrega, abbandonando la comunanza di idee? Si chiude nell’individualità finché la pressione di una società inadeguata risveglia il bisogno di unirsi, di confrontarsi e mano a mano spalancare la porta per un futuro più brillante per tutti. E così la cultura giovanile si evolve, ma altro non è che l’espressione più concreta dall’andamento della società, il cronometro di modelli antiquati, la melodia che risveglia il coraggio di chi vuole cambiare. Così da secoli i giovani fanno la storia con l’audacia delle idee e la storia cambia quando la società ha fiducia in loro.

***

[1] E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, trad. it. Di R. Lotti , Rizzoli, Milano 1996

[2] L.Tomasi, Introduzione, L’elaborazione della cultura giovanile nell’incerto contesto europeo, Milano 1998

[3] D. Miscioscia, miti affettivi e cultura giovanile, Franco Angeli, Milano 1999

Nessun commento:

Posta un commento

Il blogger, essendo responsabile penalmente di tutto ciò che viene pubblicato sul suo blog, modererà tutti i commenti, che non saranno pertanto visibili prima della sua approvazione: è richiesta la massima educazione e moderazione nei termini.