La Guerra del Nobel per la Pace: una contraddizione in termini

In un mondo normale non ci dovremmo preoccupare della caldissima situazione siriana. Chi infatti potrebbe immaginare che un premio Nobel per la Pace possa scatenare un conflitto che da più parti è stato definito come potenziale terza guerra mondiale. Giusto un folle potrebbe immaginare lo stesso premio Nobel caldeggiare il Congresso degli Stati Uniti d'America ad intervenire militarmente in Siria. Purtroppo il nostro mondo non è normale. E non ce ne siamo accorti oggi, ma il 9 ottobre del 2009, quando ad Oslo il presidente Obama è stato insignito del Premio Nobel per la Pace. Ecco, quel giorno abbiamo avuto la certezza che il mondo non è normale: già quando il Nobel non fu assegnato all'uomo che con le sue preghiere era riuscito a far sgretolare l'URSS senza spargimenti di sangue - Giovanni Paolo II - qualche dubbio era sorto. Ma premiare il presidente della nazione più bellicosa della storia è stata l'ennesima triste conferma.

Ricordiamo i buoni propositi di Obama durante la sua prima campagna elettorale: chiudere Guantanamo - ed infatti è ancora aperta -, ritirare le truppe dall'Afghanistan - e infatti oggi Marines e droni statunitensi sono anche in Yemen, Somalia e Pakistan - e proporsi come mediatore internazionale per la pacificazione del medioriente - e infatti ha spinto la Nato ad agire in Libia ed oggi è a un passo ad attaccare la Siria. Ma insomma, probabilmente nessuno si aspettava di meglio da un presidente degli States, perché - si sa - gli Americani hanno la guerra nel sangue: però logica vuole che il Nobel per la Pace non sia assegnato a chi - per esempio - non ha mai fatto nulla per limitare le armi nel proprio paese...
Obama rimarrà un genio, nessuno si chiederà mai se è stato eletto per le sue reali capacità o per il colore della sua pelle, tutti - sia a destra che a sinistra - continueranno ad ammirarlo, a gridare "Mr Obama" e a prenderlo come esempio per la nuova classe dirigente: forse qualcuno - e sarebbe pure ora - potrebbe liberarsi dai paraocchi imposti da una sottocultura dominante, guardare in faccia il presidente Obama, considerare il suo operato ed esprimere autonomamente un giudizio. E anche se nessuno avrà la forza o il coraggio di fare ciò, siamo certi che al giudizio della Storia - poco importa se oggi o fra un secolo - non potrà sfuggire né Obama né la sottocultura che lo osanna.

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