Giustizia Italiana? Meglio quella indiana...

I media di tutta Italia - e probabilmente anche d'Europa e del mondo - hanno riportato la drammatica notizia del crescente aumento della violenza sulle donne in India, dove negli ultimi dodici mesi ha toccato picchi disumani: in particolare una violenza dello scorso dicembre ha avuto notevole risonanza in Italia, avendo causato la morte di una ragazza. Ieri si è avuta invece notizia della condanna di cinque dei sei imputati - uno è morto nel corso del processo: oltre al dolore nel constatare che la pena di morte è ancora in vigore, si nota una triste verità. In India 9 mesi dopo un reato si esprimono le prime sentenze. In Italia un processo civile di primo grado dura in media 533 giorni.


Non vogliamo nemmeno immaginare quale sarebbe lo scenario attuale se un simile episodio si fosse verificato in Italia: ci limitiamo però a ricordare la situazione della giustizia italiana. Delle oltre 10 mila cause del 2011, per esempio, ben 2 522 sono rimaste inapplicate, spesso per via delle lungaggini della burocrazia; nello stesso anno lo Stato Italiano ha dovuto rimborsare 8 milioni e mezzo di euro, pagati fra l'altro con ritardi fino a 4 anni. Un processo di primo grado 

Di ciò che emerge dalla lettura di questi dati, e di molri altri simili, colpiscono due aspetti: da una parte l'evidente negazione della Costituzione, che nel suo articolo 24 sancisce il diritto alla difesa; dall'altra la conseguenza negativa sull'economia del paese. Una giustizia pachidermica abbassa il livello della ricchezza prodotta e riduce la competitività e l’attrattività degli investimenti: insomma la giustizia lenta non è un problema di poche persone in Italia, ma uno dei più gravi problemi del nostro paese, dal punto di vista sociale, amministrativo ed economico.

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