Pubblichiamo in modo esclusivo un articolo scritto a proposito di Antonio Gramsci dal sociologo Alessandro Orsini ed apparso sulla rubrica del Corriere della Sera, Sette, sabato 26 aprile 2012:
Caro
Direttore, i documenti dicono che Gramsci,fino al giorno in cui fu libero di
partecipare alla lotta politica, affermò che i giovani militanti di partito
dovevano essere educati a chiamare gli avversari politici “porci” e “stracci
mestruati”, ed esprimeva il suo giubilo quando i liberali venivano presi a
cazzotti in faccia. Il 5 giugno 1920, negò il diritto alla vita degli
avversari, affermando che la rivoluzione comunista prevedeva la loro uccisione.
Contro i critici della violenza bolscevica, era solito riversare una valanga di
insulti, come confermano le sue offese ai riformisti che avevano definito il
metodo bolscevico “moralmente ripugnante”
(28
agosto 1920). Per Gramsci, Turati era un uomo spregevole. In una lettera a
Palmiro Togliatti del maggio 1923, dichiarava di voler distruggere tutto ciò
che il riformismo rappresentava. Il primo settembre 1924, Turati è “un
semifascista”. Nei Quaderni, Turati è citato sette volte con disprezzo
immutato. Il 28 agosto 1924, Giacomo Matteotti è definito, sprezzantemente, un
“pellegrino del nulla”, per avere sprecato la sua vita politica dietro il
riformismo. Tra il 21 luglio e il 18 agosto 1925, Gramsci si confrontò con il
riformista Treves, il quale denunciava la soppressione della libertà di stampa
in Russia. Gramsci difese energicamente quel tipo di società, che amava, pur
essendo consapevole dell’esistenza della Gpu e delle sue funzioni, come emerge
da una precedente lettera del febbraio 1923 scritta da Mosca.
Treves
continuò a denunciare le violenze dei bolscevichi. Gramsci, privo di argomenti,
lo offese sul piano personale: «Treves è un impostore »; «Treves è un povero
imbroglione». Quando Togliatti ricoprì di fango la figura di Turati, nel giorno
della sua morte, si limitò a ripetere ciò che Gramsci aveva sempre detto:
Turati è un essere ributtante. Anche in carcere, Gramsci non sconfessò mai i
principi che aveva posto alla base della sua pedagogia dell’intolleranza:
impossessarsi delle menti dei giovani per educarli a concepire l’esistenza di
una sola verità, quella marxista-leninista. In una lettera che Gramsci scrisse
alla moglie per esporre il suo punto di vista sull’educazione dei figli (30
dicembre 1929), emerge la stessa concezione pedagogica che precede l’arresto:
l’educazione al comunismo deve essere basata sulla coercizione. Le menti dei
fanciulli devono essere sottoposte a un’autorità esterna anche con la forza e
la violenza, se necessario.
Il
tema dell’educazione torna in una lettera del 27 luglio 1931, quando il figlio
Delio stava per compiere sette anni, un’età che Gramsci giudicava decisiva per
imprimere l’ideologia comunista nella coscienza del
figlio.
I bambini, scrive Gramsci, ricevono la comunione a sette anni perché la Chiesa
cattolica ritiene che questa sia l’età migliore per gettare le basi della loro
identità religiosa. I genitori comunisti avrebbero dovuto agire seguendo lo
stesso principio catechistico. Per questo motivo, chiese alla moglie di
esercitare il suo “potere coercitivo” sul figlio e di “impressionarlo”
rivelandogli che il padre era in prigione per amore del comunismo. Gramsci ebbe
una cocente delusione quando seppe che Giulia si era rifiutata di rivelare a
Delio che il padre era “in catene” per evitare una profonda sofferenza
psicologica al bambino. Gramsci, risentito, ricordò alla moglie di essere un
“elemento dello Stato” e le rimproverò i suoi metodi troppo “libertari” che
giudicava in contrasto con le esigenze dell’educazione comunista finalizzata
all’indottrinamento delle menti. Il mio libro, frutto di un lavoro di scavo
durato un decennio, contiene un’ampia documentazione a sostegno della tesi che
Gramsci fu un teorico della pedagogia dell’intolleranza.
Qualcuno
ha sostenuto che la guerra di posizione, teorizzata nei Quaderni, dimostrerebbe
la tolleranza di Gramsci, il quale propose di conquistare il potere attraverso
una guerra culturale. Ricordo che il fine della guerra di posizione è
l’instaurazione della dittatura del Partito unico e non la creazione del
socialismo turatiano basato sul pluralismo dei partiti, il rispetto degli
avversari politici e il diritto all’eresia. NeiQuaderni non vi è alcuna
condanna etico-politica della violenza. Gramsci accantonò la violenza
rivoluzionaria non in quanto negazione del socialismo (come aveva affermato
Turati) ma perché, dopo una
serie
impressionante di sconfitte, era giunto alla conclusione che non poteva essere
utilizzata con successo. A questo si riduce la differenza pedagogica tra i
“due” Gramsci: il primo voleva instaurare la dittatura del Partito unico
uccidendo gli avversari. Il secondo voleva instaurare la dittatura del Partito
unico occupando la mente di migliaia di persone. Caro Direttore, il mutamento
di prospettiva nella comunità scientifica richiede tempo. Talvolta, occorre
sopportare anche gli attacchi scomposti e la denigrazione. Ma i documenti
storici posseggono una verità che nessuna ideologia può nascondere per sempre.
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