Gli Antifascisti vittime...del Comunismo


La tesi, tanto diffusa, per la quale antifascismo e comunismo siano due sinonimi è palesemente confutata dal vasto panorama della Resistenza Italiana, con buona pace di quella stantia retorica da sezione rossa che, ogniqualvolta le ricorrenze lo permettano, si appropria della memoria e del merito della lotta al fascismo. Tuttavia, un'altra verità storica affiora dall’analisi delle vicende degli antifascisti durante la dittatura fascista, fatto decisivo e sconvolgente che Ugo Finetti riassume così nel volume La resistenza cancellata: «gli antifascisti italiani condannati a morte dal Tribunale Speciale di Mussolini sono stati di gran lunga meno numerosi di quanti ne vennero giustiziati nel corso dei processi di Mosca, calcolando anche i delitti terroristici da Matteotti ai fratelli Rosselli».
Certo, il fatto che i comunisti abbiano massacrato più antifascisti del fascismo stesso, esige di rivalutare un binomio, che, a ben vedere, risulta inaccettabile dal fatto stesso che il nemico di una dittatura non può averne in simpatia una ancor più oppressiva. Se, davvero, abbandonando la semplice retorica da sezione ammorbata dall’odore acre di vino caldo, oramai trasferitasi nelle aule scolastiche durante i collettivi, o nelle piazze prese d’assalto da scolorite bandiere rosse, vogliamo celebrare, come è giusto che sia, l’antifascismo (tenendo ben presente che si trattò di un fenomeno di minoranza nel panorama italiano del Ventennio), non possiamo che tener presente e denunciare che molti antifascisti caddero per mano comunista.
Il fenomeno, che si acutizzò a partire dal 1936, ebbe due scenari principali, Mosca e la Spagna, ed in cabina di regia, proprio lui: Palmiro Togliatti. Già prima dell’esplosione delle purghe staliniane e della Guerra Civile Spagnola, non si fa fatica a rinvenire antifascisti vittime del sistema sovietico: tra gli altri casi, citati da Finetti, l'anarchico Francesco Ghezzi. Venne arrestato nel 1929 in Urss, dov'era esule, per aver organizzato, secondo il regime, degli attentati. Gli anarchici europei non credettero alle accuse e chiesero al Cremlino le prove. A ribattere beffardamente fu Togliatti che - come sempre, da buon segretario dell’Internazionale - si schierò con Stalin. Rispose a questa richiesta di "prove" con una circolare ai comunisti all'estero, capace di spiegare una volta per sempre la concezione della giustizia del leader del Pci: «per noi comunisti, la questione delle ‘prove' è una questione che non si pone: è, anzi, una questione sciocca (...). Chiedere le prove della condanna del Ghezzi vuol dire sostenere che ogni singolo atto del governo dei soviet deve essere sottoposto a un controllo pubblico. E' evidente che a una richiesta di questo genere non possono essere favorevoli che i nemici del regime dei soviet e della dittatura proletaria».

Francesco Ghezzi
In seguito alle proteste internazionali il Ghezzi venne rilasciato nel 1931, ma tre anni dopo, di nuovo arrestato, sparì nelle tenebre del Gulag siberiano dove morì nel 1941, a Vorkuta. E' solo uno dei tanti casi. Sarà soprattutto con l'inizio del grande Terrore, verso il 1935, che l'antifascismo esule in Urss viene schiacciato da Stalin. Finetti ricostruisce il ruolo terribile di Togliatti in questa tragedia, il suo scontro con Gaetano Salvemini e la drammatica lettera aperta che Victor Serge (anch'egli era stato in Urss, poi arrestato dal regime comunista e rilasciato solo grazie alla protesta internazionale) gli scrisse nel 1945, quando Togliatti era diventato ministro della Giustizia italiano: «Signor Ministro, che ne è degli antifascisti rifugiati in Urss?».
Secondo Finetti "ancora oggi si tenta di occultare soprattutto la responsabilità diretta di Togliatti in quei procedimenti giudiziari". Un esempio è il caso di Edmondo Peluso. «Nel 1964» scrive Finetti «Guelfo Zaccaria pubblica la prima documentazione su 200 antifascisti giustiziati. Il Pci nega e ci vorranno circa trent'anni perché la cifra sia riconosciuta veritiera anche da Alessandro Natta».
Sulla scena spagnola, riguardo la quale si consuma una delle grandi rimozioni della storiografia, il terrore rosso scatenato, su ordine di Stalin, fra gli antifascisti anarchici, socialisti, liberali, repubblicani, trotzkisti. Nel maggio 1937, scrive Paolo Pillitteri, «i comunisti, tramite la Nkvd, procedettero alla eliminazione, nella sola città di Barcellona, di 350 persone ‘nemiche', cioè trotzkiste, ferendone 2.600». Fra gli uomini di Stalin in Spagna vi furono in primo piano Orlov, protagonista delle "purghe", e - di nuovo - Togliatti, «che dirigeva il partito comunista spagnolo e le forze militari comuniste per conto di Mosca».

Togliatti in un francobollo sovietico
Particolarmente clamorose (e crudeli) le eliminazioni - da parte dei sovietici - di antifascisti importanti come Nin, Berneri e Barbieri. Tutti amici di Rosselli (fondatore di “Giustizia e Libertà”) anch'egli eliminato in quei giorni col fratello a Parigi da una fantomatica organizzazione (i libri di storia non hanno dubbi, fascista), oggi sospettata da ricercatori scrupolosi di aver agito per conto dei sovietici (con cui i Rosselli erano allo scontro). D'altronde, dopo la vittoria franchista in Spagna, «Stalin volle l'eliminazione di non meno di 5 mila combattenti spagnoli (antifascisti, ndr) rifugiati in Urss».
Perché? Qual è lo scopo di una tale carneficina? A spiegare la guerra dei comunisti contro tutti gli altri antifascisti, secondo Pillitteri, fu proprio Togliatti su "L'Internazionale comunista" dove scriveva delle purghe staliniane. Secondo Togliatti occorreva «liberare definitivamente il movimento operaio internazionale dal lerciume trotzkista», per questo le organizzazioni operaie dovevano essere «epurate, radicalmente e per sempre, dai banditi che sono penetrati nei loro ranghi per trascinarvi direttive e parole d'ordine fasciste».
La solita caccia alle streghe alimentata da sospetti di contiguità con il fascismo la cui infondatezza è tanto più rafforzata se si pensa al modo in cui lo stesso Togliatti e il PCI non mostravano pudore nel lanciare, nel 1936, l'incredibile Appello ai fratelli in camicia nera, che comincia con queste parole: «I Comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori. Lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma. Fascisti della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi... Noi non vogliamo prestarci al gioco dell'imperialismo inglese...».
Umberto Terracini, fondatore del PCI
Nota Antonio Socci su Il Giornale del 21/09/2003: «Questo sconcertante documento non è un imbarazzante incidente, ma esprime esattamente la strategia staliniana. A Stalin in Spagna non interessava affatto la lotta al fascismo e al nazismo. Egli perseguiva ossessivamente un altro obiettivo: l'eliminazione di tutte le possibili fonti di contagio delle idee democratiche o socialdemocratiche. E puntava a un accordo strategico con Hitler e Mussolini contro le democrazie europee».
Lo constatò pure Leo Valiani in un'intervista alla Repubblica del 1998: «Fin dal 1937 - lo ha denunciato Trotzky - Stalin mirava a un accordo con Hitler. Avrebbe raggiunto l'intento due anni dopo con il patto Molotov-Ribbentrop».
A tal proposito è utile ricordare che la Hitler potè dare avvio alla II Guerra Mondiale, solo grazie al patto di alleanza stretto nell'agosto 1939 con l'Urss la quale si spartì con la Germania Polonia e paesi baltici. Per ben due anni, metà della guerra, fu Stalin il grande alleato di Hitler. E i partiti comunisti europei si allinearono. Finetti ricorda il caso di Umberto Terracini, fondatore del PCI durante il Congresso Socialista di Livorno nel 1921, a cui ripugnava quell'alleanza col nazismo antisemita: «l'ebreo Terracini, al confino in Italia, viene espulso dal partito per aver criticato la scelta di Stalin». Fosse stato in Urss che fine avrebbe fatto? A metter fine alla sconcia alleanza nazicomunista che aveva scatenato la guerra, peraltro, non sarà Stalin, che avrebbe voluto intensificare il sodalizio, ma Hitler. Cosicché Tzvetan Todorov, nel suo libro sui lager, Di fronte all'estremo, osserverà: «Che a Norimberga i rappresentanti di Stalin condannino a morte quelli di Hitler sfiora l'oscenità». 

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