I fazzoletti rossi...del sangue di Porzus


Mercoledì 7 febbraio 1945, ore 14:30. Nelle malghe di Porzûs, due casolari sopra Attimis, in provincia di Udine, ha sede il comando del Gruppo Brigate Est della divisione partigiana Osoppo, formata dai cosiddetti «fazzoletti verdi» della Resistenza, cattolici, azionisti e indipendenti. Giungono in zona cento partigiani comunisti, agli ordini di Mario Toffanin - nome di battaglia Giacca - sotto le false spoglie di sbandati in cerca di rifugio dopo uno scontro con i nazifascisti. È una trappola: alla malga vengono uccisi il comandante della Osoppo, Francesco De Gregori - nome di battaglia Bolla -, il commissario politico Enea, al secolo Gastone Valente, una giovane donna sospettata di essere una spia, Elda Turchetti, e un giovane, Giovanni Comin, che si trovava a Porzûs perché aveva chiesto di essere arruolato nella Osoppo. Il capitano Aldo Bricco, che si trovava alle malghe perché doveva sostituire Bolla, riesce a fuggire e salva la vita perché i suoi inseguitori, dopo averlo colpito con alcune raffiche di mitra, lo credono morto.

La Brigata Osoppo
Altri venti partigiani osovani vengono catturati e condotti prima a Spessa di Cividale e poi nella zona del Bosco Romagno, sopra Ronchi di Spessa, una ventina di chilometri più a valle. Due dei prigionieri si dichiarano disposti a passare tra i garibaldini. Gli altri saranno tutti uccisi e sbrigativamente sotterrati tra il 10 e il 18 febbraio. Della cosa si cercò di non far trapelare nulla. Ancora un mese dopo c'era chi assicurava che i capi Bolla ed Enea erano tenuti prigionieri dai garibaldini o dagli sloveni. «[...] La propaganda clericale del tempo descriveva i partigiani comunisti, inquadrati nelle Brigate Garibaldi, come dei Satana spergiuri che volevano consegnare il Friuli alla Jugoslavia. Furono del resto pure inglobati nella Osoppo molti fascisti, come il Reggimento Alpini Tagliamento (formazione della Repubblica di Salò) che operava nella zona con il compito di combattere i «comunisti jugoslavi» e questo avvenne con la mediazione dell'Arcivescovado di Udine (Arcivescovo Nogara). Lo scopo della Osoppo e della Tagliamento infatti coincideva, l'obiettivo comune era quello di criminalizzare i partigiani delle Garibaldi. In molte zone facevano persino presidi misti, cioè repubblichini e osovani. Quelli della Osoppo, si appropriavano delle forniture inglesi che spettavano alle Garibaldi, l'accordo con gli inglesi era che il 30% di ogni lancio fatto alla Osoppo doveva essere destinato alle Garibaldi. Quelli della Osoppo non rispettarono mai l'accordo ed i Garibaldini per approvvigionarsi e procurarsi armi dovevano assaltare i presidi tedeschi e fascisti». Così in un'intervista rilasciata nel 1996 dal comandante partigiano Mario Toffanin, Giacca. «[...] La Grande Slovenia, volevano i partigiani comunisti. Noi volevamo solo combattere per la libertà, non per il comunismo, ed eravamo favorevoli a lasciare ad un referendum dopo la liberazione la scelta sui confini... Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento, gli dicevo, la vedono i comunisti e i partigiani sloveni, quello stemma a loro ricorda il fascismo, toglila. E lui no, cocciuto, perché credeva sopra ogni cosa all'Italia, senza compromessi, senza tante prudenze politiche... Avevamo sempre operato insieme, anche se noi cattolici ci preoccupavamo, oltre che della onestà dei fini, anche della onestà dei mezzi. Ci furono discussioni assai accese con i comandanti comunisti sulla necessità di azioni che comportavano sacrifici di vite umane».  Così si espresse in un'intervista nel 1997 monsignor Aldo Moretti, Lino, medaglia d'oro al valor militare, uno dei fondatori della Divisione Osoppo.
Quando lo stesso anno il regista Renzo Martinelli doveva girare gli esterni del suo film Porzûs, si trovò alle prese con i divieti di diversi sindaci, che non consentirono le riprese sui loro territori. Erano passati più di cinquant'anni, ma di Porzûs molti non volevano neppure parlare; non mancò chi chiese di vietare la presentazione del film al festival del cinema di Venezia. Cattive coscienze, risentimenti, fanatismo ideologico duro a morire, uniti ad una insopprimibile abitudine a riscrivere la storia con ottica di parte, hanno fatto sì che a tutt'oggi restino dei punti interrogativi su quella cupa vicenda. Non abbiamo la pretesa di poter fornire tutte le risposte; confidiamo solo che una rilettura seria e serena sia possibile, a passioni sopite e senza nessun preconcetto. E speriamo che cinquantasei anni di distanza siano sufficienti, non fosse altro per rendersi conto che non esiste causa, per nobile che sia, che possa trarre giovamento dalle falsificazioni della realtà.Molti segreti se li portò nella tomba Mario Toffanin, Giacca. A differenza di altri, Giacca su Porzûs aveva parlato molto, dando tante versioni diverse, con una sola costante: «se li avessi di nuovo davanti, li accopperei ancora tutti». Morì, ottantaseienne, venerdì 22 gennaio 1999, nell'ospedale della cittadina di Sesana, in Slovenia. Era lui il comandante dei reparti che compirono l'eccidio. Il protagonista della vicenda, almeno il più visibile; non necessariamente il più consapevole.
Mauro Toffanin, detto Giacca
Chi volle l'eccidio del 7 febbraio? La risposta a tutt'oggi non è sicura. Di certo c'è l'esistenza di una lettera firmata da Kardelj, indirizzata a Vincenzo Bianchi, nome di battaglia Vittorio, rappresentante del Partito Comunista Italiano presso il IX Corpus, che era tornato da Mosca insieme con Togliatti, in cui lo si invita a liquidare le formazioni partigiane che, in Friuli, non accettano di porsi agli ordini del IX Corpus. Ed altrettanto certo è che, dopo il rifiuto degli osovani a integrarsi nel comando del IX Corpus sloveno, incominciano a circolare, sempre più insistenti, le voci di «tradimento». Queste voci d'altra parte trovavano facile esca in alcuni contatti, peraltro mai negati dai partigiani osovani, sia con la Decima Flottiglia Mas, la milizia comandata da Junio Valerio Borghese - numerosi reparti della quale erano stati schierati a difesa del confine orientale -, sia con il federale fascista di Udine, Mario Cabai, che si fa latore di un'ambigua proposta dell'SS Sturmbannführer (tenente colonnello) Von Hallesleben, comandante della piazza di Pordenone. In entrambi i casi si propone agli osovani di formare un fronte comune contro i comunisti e, nel caso della Decima Mas, contro comunisti e nazisti, in nome della difesa dell'italianità del Friuli. Erano gli ultimi mesi di una guerra le cui sorti erano ormai chiare a tutti e nell'atmosfera un po' surreale da «si salvi chi può» le proposte stravaganti non mancavano. Bisogna sottolineare che in entrambi i casi fu la Osoppo ad essere sollecitata alle trattative, che non furono una sua iniziativa; e in entrambi i casi le proposte furono respinte. Ma mentre le proposte tedesche furono dirette ed immediatamente rifiutate con due lettere - una del 28 dicembre 1944 e l'altra del 10 gennaio 1945 - di don Aldo Moretti, consegnate all'arcivescovo di Udine mons. Giuseppe Nogara, che a sua volta le consegnò al federale Cabai, nelle proposte di Borghese, non mancò chi vide lo zampino dell'ufficiale del genio Thomas John Roworth, detto «maggiore Nicholson», che guidava la missione inglese in zona, e che avrebbe voluto così acuire, in chiave anti-comunista, la divisione tra osovani e garibaldini. In questo groviglio ambiguo due cose sono certe: il comando della Osoppo non strinse alcun accordo con fascisti e nazisti, ma il fatto stesso degli avvenuti contatti servì ad alimentare il clima ormai avvelenato tra osovani e garibaldini. Più interessante, dal punto di vista sostanziale, ci sembra la vicenda di Elda Turchetti. Questa ragazza di Pagnacco, paese dove i tedeschi avevano depositi di carburante, viene segnalata da Radio Londra - probabilmente su analoga segnalazione del «maggiore Nicholson» - come spia al soldo dei nazisti. Spaventata, si rivolge a un amico partigiano garibaldino per protestare la propria innocenza. Questi l'accompagna da Mario Toffanin, Giacca, comandante dei GAP di Udine, che si comporta in modo decisamente strano. Se fosse stato sicuro che la Turchetti era una spia Giacca l'avrebbe senza dubbio uccisa; nel dubbio, l'avrebbe dovuta consegnare al proprio comando per gli accertamenti. Invece Elda Turchetti viene consegnata da Giacca a Tullio Bonitti, capo della polizia interna della Osoppo, che a sua volta conduce la ragazza a Porzûs. Perché una sospetta spia veniva consegnata proprio alla formazione più volte accusata di mantenere ambigui rapporti col nemico? Ci fu chi disse che la Turchetti venne consegnata alla Osoppo per fare realmente la spia, per conto di Giacca contro la Osoppo. Difficile sapere la verità, perché la Turchetti fu uccisa a Porzûs. E siamo arrivati a parlare nuovamente di Mario Toffanin, Giacca. Padovano, nato il 9 novembre 1912, a tredici anni era già operaio ai cantieri San Marco di Trieste. Iscritto dal 1933 al partito comunista clandestino; sei anni dopo, ricercato, riparava a Zagabria, in Croazia. Aderì al movimento partigiano di Tito fin dall'invasione delle forze dell'Asse nell'aprile del 1941. I compagni jugoslavi dovevano avere in lui molta fiducia perché lo inviarono «in missione» prima alla federazione comunista di Trieste, poi a quella di Udine per «dare la sveglia» ai compagni italiani. Giacca non fu mai un partigiano combattente vero e proprio: trovò la sua collocazione migliore nei GAP. Del resto, era poco propenso alla disciplina di tipo militare, ma in compenso era fedelissimo al partito. E dalla federazione comunista di Udine gli arrivò l'ordine di «liquidare» il problema della presenza osovana a Porzûs, con la specifica che si trattava di un ordine del «comando supremo». L'ordine è del 28 gennaio 1945. Il tempo di organizzare l'azione, radunando un centinaio di uomini dei GAP a Ronchi di Spessa e il 7 febbraio Giacca sale alle malghe di Porzûs, coadiuvato dai suoi luogotenenti Aldo Plaino e Vittorio Iuri. Pare che gran parte degli uomini fossero all'oscuro degli scopi della missione; molti ignoravano anche dove si stesse andando.
Il comandante osovano Bolla non si allarma per le segnalazioni delle sentinelle, che vedono salire alle malghe la lunga fila di uomini: era atteso un battaglione di rinforzo, richiesto al comando divisione Osoppo proprio per l'acuirsi delle tensioni tra garibaldini e osovani. Gli uomini di Giacca ostentano un'aria dimessa, nascondono le armi sotto gli abiti, pochissimi portano il fazzoletto rosso. Spiegano alle sentinelle di essere partigiani sbandati dopo uno scontro con i nazifascisti; ma mentre in due parlamentano con le guardie della Osoppo, il grosso degli uomini inizia ad accerchiare la zona. Poi, è la strage. Il capitano Bricco si salva solo perché viene ritenuto morto. L'irruzione alle malghe non aveva portato alcuna prova del «tradimento» della Osoppo, salvo la presenza in luogo della Turchetti; ma vedevamo prima che era stato lo stesso Giacca a consegnare la presunta spia agli osovani.  Le uccisioni durano fino al 18 febbraio nel Bosco Romagno, dove poi verranno ritrovati i corpi, mal sotterrati.
Quando Mario Lizzero, commissario politico delle brigate Garibaldi in Friuli viene a sapere dell'accaduto va su tutte le furie e chiede che Giacca e i suoi luogotenenti siano fucilati. Non riesce ad ottenerlo, riuscirà solo a farli destituire dalle loro cariche di comando nei GAP. Ostelio Modesti e Alfio Tambosso, segretario e vice-segretario della federazione del PCI di Udine, forse iniziano a rendersi conto che è stata una grave imprudenza affidare la missione a Mario Toffanin, ottimo elemento per le azioni spicce e violente dei GAP, ma rozzo e violento e con un certificato penale già ben nutrito di reati, furto, rapina, omicidio, sequestro di persona, che nulla avevano a che vedere con azioni militari o politiche. Ma adesso è troppo tardi per i ripensamenti e viene scelta la linea di condotta peggiore, quella di gettare tutta la croce addosso a Giacca - che avrebbe mal inteso gli ordini -, favorendone peraltro l'espatrio in Jugoslavia, insieme ad altri implicati nella strage.
Sarà la magistratura ordinaria ad occuparsi della strage di Porzûs, in seguito alla denuncia presentata il 23 giugno 1945 al Procuratore del Re di Udine dal Comando Divisioni Osoppo. Il processo ebbe inizio solo sei anni dopo, nell'ottobre 1951, davanti alla Corte d'Assise di Lucca, dove era stato trasferito per «legittimo sospetto» e motivi di ordine pubblico e dopo un palleggiamento tra magistratura ordinaria e militare. Dopo quasi un decennio dalla strage di Porzûs veniva resa definitiva la sentenza che condannava Giacca e i suoi due luogotenenti all'ergastolo. Tutti e tre erano riparati da anni in Jugoslavia.
C'è un ultimo mistero, legato a questa vicenda e destinato a restare irrisolto. Che cosa spinse Sandro Pertini nel luglio del 1978, appena eletto Presidente della Repubblica, a concedere la grazia a Giacca? L'ex gappista, come affermò Buvoli, direttore dell'Istituto Friulano per la storia del movimento di liberazione aveva un pesante debito con la giustizia per reati ordinari, essendo estinte le pene per i fatti di Porzûs da provvedimenti di successivi indulti e amnistie. Il settimanale L'Espresso pubblicò, il 25 settembre 1997, un'inchiesta al proposito, ma si scontrò con una diffusa epidemia di amnesia, malattia che aveva colpito il consigliere giuridico di Pertini, il segretario generale del Quirinale, perfino il funzionario della Presidenza che si occupava all'epoca proprio delle pratiche di grazia.
Male imperdonabile, l'amnesia, capace di riscrivere, non senza malizia, la storia della Resistenza rossa che, anzichè combattere l'odio ideologico, proprio dei totalitarismi, a ben vedere, ha, se non spesso almeno volentieri, perpetuato.
tratto da P. DEOTTO, Strage di Porzus: un'ombra sulla Resistenza, in Storia Libera

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