La
strage della Stazione Bologna è stata attribuita in via definitiva a Francesca
Mambro e Giuseppe Fioravanti. Sulla stazione è stata posta una targa a ricordo
della ‘strage fascista’. VSembrerebbe tutto a posto, tuttavia ragionevoli dubbi
sorgono in merito alla presunta paternità fascista dell’attentato sia riguardo
il movente che il principale testimone che hanno contribuito alla condanna dei
due sopranominati NAR.
Il
Corriere ha pubblicato un’intervista all’ex presidente della Commissione
Stragi, Giovanni Pellegrino, in cui l’ex senatore PDS ha sostenuto che il
movente attribuito ai condannati per quell’eccidio, gli ex terroristi neri
Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, “non ha alcun senso”. Mambro e Fioravanti
hanno ammesso altri delitti assai gravi per i quali hanno ricevuto condanne
pesantissime; ma si sono sempre professati innocenti per quella bomba alla
stazione di Bologna il 2 agosto del 1980. Adesso la Cassazione ha annullato con
rinvio la condanna per Luigi Ciavardini che sarebbe stato l’autore materiale di
quel mostruoso gesto terroristico.
Senza
iscriversi al fronte degli innocentisti che sostiene per partito preso
l’assoluta estraneità di Francesca Mambro e Giusva Fioravanti per la strage di
Bologna del 1980, occorre notare che da quando Mambro e Fioravanti sono stati
chiamati in causa per quella vicenda i dubbi sono sempre aumentati e le
certezze sempre diminuite.
Le
perplessità sorgono dalle ragioni connesse all’annullamento della condanna di
Luigi Ciavardini, e anche perché, come dice l’ex presidente della Commissione
Stragi, non è verosimile né credibile la ricostruzione del fine politico della
strage di Bologna che è sempre stato accostato, quasi si trattasse di un
remake, a quello della bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
Per
fortuna questi dubbi sono ormai condivisi anche da quelle forze
politico-culturali politicamente nemiche dei “neri” (oggi radicali) Mambro e
Fioravanti. Un giornalista di sinistra, Gianluca Semprini, ha scritto un libro
per la Bietti, “La strage di Bologna e il terrorista sconosciuto”, in cui
spiega come per quell’orribile delitto (85 morti, oltre duecento feriti) a
carico dei due ex terroristi non ci sia altro che l’assai dubbia parola di un
pentito della banda della Magliana, Massimo Sparti.
Il
5 agosto 2003 Furio Colombo ha pubblicato sull’ Unità un articolo molto
coraggioso in cui raccontava di aver “scritto e detto” – prima, da giornalista,
su Panorama e su Repubblica , poi da parlamentare PDS – “di non credere che
Francesca Mambro e Valerio Fioravanti fossero gli esecutori della strage alla
stazione di Bologna” e di esserli andato a trovare, con questo spirito, in
carcere. Dopodiché ha aggiunto che “non ci sono dubbi sulla matrice fascista
della strage di Bologna”. Un evento luttuoso di cui poi, però, ha parlato in
questi termini: “Una strage feroce, immensa e misteriosa, eseguita da mani
oscure per motivi che restano oscuri e che forse sono ancora adesso protetti
dalla condanna definitiva di due apparenti colpevoli”.
Colombo
ha messo, come si suole dire, il dito nella piaga. Probabilmente qualcuno – in
primo luogo i parenti delle vittime – teme che un’assoluzione di Mambro e
Fioravanti possa rimettere in discussione la “matrice fascista” di quel
misfatto e lasciarlo impunito. Ma per delitti di tale gravità (in realtà per
qualsiasi delitto) non possiamo permetterci di additare degli innocenti alla
colpevolezza solo perché questo ci conferma nell’idea che ci siamo fatti del
delitto stesso. Non c’è alcun dubbio: quel processo è da rifare e se contro i
due terroristi dei Nar non verranno fuori le prove convincenti che fin qui non
sono emerse dovremmo avere, tutti, l’onestà intellettuale di chiedere a gran
voce che il marchio dell’infamia (limitatamente a quel che riguarda Bologna)
venga tolto dalla fronte di Francesca Mambro e Giusva Fioravanti.
Massimo
Sparti, che viene citato più sopra, è il testimone che ‘inchiodò’ Mambro e
Fioravanti sostenendo che due giorni dopo la strage Fioravanti era stato da lui
a Roma per chiedergli documenti falsi per lui e la Mambro. E parlando aveva
testualmente detto: ‘Visto che botto?’.
«Mio
padre nella storia del processo di Bologna ha sempre mentito». Lo ha rivelato,
in un’intervista esclusiva al Gr1, Stefano Sparti, figlio di Massimo Sparti, il
pentito, testimone principale dell’accusa nel processo di Bologna, che ha
inchiodato Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. «Mio padre – ha spiegato
Stefano Sparti – ha sempre affermato di essere a Roma due giorni dopo la strage
di Bologna per ricevere la richiesta di documenti falsi da parte di Fioravanti
e Mambro. In realtà eravamo tutti a Cura di Vetralla, vicino Viterbo, nella
nostra casa di campagna, pronti a partire per le vacanze, nei giorni
precedenti, nei giorni successivi e nel giorno stesso della strage».
Sparti,
dopo avere accusato i due terroristi, viene scarcerato nel maggio del 1982
perché gli viene diagnosticato, dai sanitari del penitenziario di Pisa un
tumore al pancreas. Massimo Sparti, secondo il racconto del figlio, avrebbe mentito
anche sulla sua malattia, un tumore al pancreas che gli permise di uscire di
galera nel 1981. «Mio padre – ha dichiarato Stefano Sparti – si è sempre
vantato, di fronte a noi, con altre persone, di avere le lastre di un’altra
persona, relative a una malattia che in realtà lui non aveva, cioè il tumore.
Un’altra cosa a cui aveva fatto più volte riferimento è che aveva trovato una
via per riuscire ad avere in carcere anfetamine così da simulare il
dimagrimento da tumore».
Nel
1981 i medici dell’ospedale penitenziario di Pisa certificano che Sparti è un
malato terminale e gli viene concessa dai magistrati di Bologna la libertà
provvisoria. Nonostante la diagnosi – tumore al pancreas allo stadio terminale
– Sparti rifiuta qualsiasi tipo di terapia, in particolare quella chirurgica.
Una volta dimesso e scarcerato, torna a Roma e il 6 marzo 1982 è ricoverato
all’Ospedale San Camillo. Dopo circa un mese di accertamenti, Sparti viene
operato per una laparotomia esplorativa: «Negativa l’esplorazione dello stomaco,
duodeno, fegato e pancreas». Il tumore è sparito. Nel maggio del 1997, quando i
carabinieri vanno al San Camillo per acquisire la cartella clinica di Sparti,
su ordine del pubblico ministero di Bologna, scoprono che la cartella è andata
distrutta a seguito di un incendio scoppiato il 20 settembre 1991 proprio
nell’archivio del nosocomio. Stefano ha quindi raccontato di essere andato a
trovare il padre in una clinica, tre giorni prima che morisse, perché voleva
«chiudere il cerchio»: «Quando gli chiesi come mai si fosse infilato in quella
situazione mi disse ‘mi dispiace ma non potevo fare altrimenti’». Quanto al
perché non abbia rivelato prima tutto ciò ai magistrati, Stefano Sparti ha
risposto: «Sto pensando di andare sinceramente. Non che questo possa cambiare
la situazione perché ho visto come sono state trattate le tre persone che hanno
sempre detto la verità: mia madre, mia nonna e la tata. Non sono mai state
credute».
Nel
1980 l’Impero (sovietico) scricchiolava, i servizi segreti del Patto Atlantico ne
erano a conoscenza e quella strage è stato il primo colpo di coda di un Regime
che non sapeva come rinnovarsi, che doveva vivere con un “mostro” da combattere
perché per quello era stato progettato, costruito e sostenuto. I fatti
ritornano, anche oggi siamo in una situazione in cui si deve trovare un
“contro” che unisca.
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