Giulia Innocenzi e la prostituzione: la caduta dell'enfant prodige?

Di Giulia Innocenzi se ne parla tanto, sia come enfant prodige, come promessa del giornalismo italiano, sia come “santorina”, come esempio di divulgatrice asservita ciecamente ad una ben precisa ideologia politica. Senza volersi avvicinare ad uno di questi due estremi – fra i quali intercorrono numerosissime diverse sfumature – abbiamo sentito il bisogno irrefrenabile di aggiungere due parole in questione dopo aver letto le ultime sue dichiarazioni su Facebook: “Di rientro da pedalata Riccione-Rimini dove ho contato una trentina di prostitute. Chissà quanti i clienti (magari molti elettori PdL). Meglio legalizzare, riaprire le case chiuse e tirare su qualche miliardino di entrate fiscali. Ma la maggioranza dei politici - come la popolazione che rappresenta - e' troppo ipocrita per approvare una misura del genere”.


Giulia Innocenzi, classe 1984, deve tutta la sua fortuna a Santoro: questo potrebbe già bastare per valutare la capacità della riminese di emanciparsi dalle idee del conduttore di Annozero prima e Servizio Pubblico poi – non a caso scrive per il Fatto Quotidiano… Il suo modo di fare giornalismo viene infatti esaltato da una trasmissione in cui la Innocenzi fa parte di una macchina ben più ampia, che il più delle volte ha come unico fine quello di mettere in minoranza schiacciante l’ospite, facendo così sembrare ineccepibile il giornalismo di Santoro, Travaglio e colleghi. Si potrebbe però dubitare dello spessore della giornalista laureata alla LUISS e rivalutare magari la definizione di Belpietro di “velina della sinistra” se si considerasse la Innocenzi alla luce del suo blog, aggiornato sì e no una volta ogni due mesi, e delle sue due pubblicazioni, un’intervista con Margherita Hack (chi l’avrebbe mai detto…) ed un capolavoro dal titolo Meglio fottere (che farsi governare da questi).

Ora, ritornando al post con cui abbiamo iniziato, facciamo finta che sia possibile dimenticare che Marrazzo e Sircana siano del Partito Democratico e che gli scandali del 2006 e del 2009 nulla abbiano a che vedere con la prostituzione e con il centrosinistra: facendo questo immenso sforzo possiamo procedere ad analizzare oggettivamente le banalità espresse in così poche righe, che riportano in auge un tema tanto caro a buona parte della nostra politica, forse più a sinistra che a destra ma comunque trasversale, ovvero la legalizzazione della prostituzione.

Le ragioni del “no” alla legalizzazione della prostituzione sono legate sia ad un aspetto etico sia ad uno più pratico, che tuttavia rendono tale decisione un”sì” verso qualcos’altro: sia ben chiaro che opporsi alla legalizzazione della prostituzione non è un semplice gesto ostruzionista nei confronti di un’azione che esula da un determinato progetto politico, ma rappresenta un’ulteriore occasione per difendere valori e principi fondamentali. La prostituzione è – e rimarrà sempre – un atto lesivo della dignità della donna: con quale coraggio un governo potrebbe ancora portare avanti campagne contro il femminicidio o a difesa della dignità della donna dopo aver autorizzato la prostituzione? Obiezione facile quanto banale: ma se è volontaria? Senza volersi lasciare andare ad altrettanto facili considerazioni sulla misura in cui la prostituzione sia volontaria e non legata a sfruttamento e organizzazioni criminose, ci si pone un ulteriore problema: attuando lo stesso pensiero al traffico e alla vendita degli organi, non si giungerebbe all’assurdo di legalizzare anche questi fenomeni? E se qualcuno volesse fare uso di droga e stupefacenti, perché non autorizzarlo?


Ciò che viene rovesciato nel ragionamento di chi si batte per la legalizzazione della prostituzione in nome del benessere delle casse statali è l’etica stessa: si antepone difatti un elemento materiale ad uno valoriale, ovvero i conti pubblici dello Stato alla rettitudine morale di un intero paese. Come si può auspicare che lo Stato gestisca un fenomeno che non solo riduce la donna da essere umano a mero oggetto di commercio, ma nasconde anche realtà di degrado sociale che necessiterebbero dell’attenzione delle istituzioni in tutt’altra direzione?

Si considerino infine altri due semplicissimi punti, indispensabili nella comprensione delle ragioni di chi si oppone ad un provvedimento di legalizzazione: se la prostituzione rientra, nella stragrande maggioranza dei casi, in giri di ben più ampie attività malavitose e criminali, come si può sperare che, se anche fosse legalizzata, non sarebbe oggetto di evasione fiscale? A questo punto tanto vale legalizzare il pizzo mafioso, magari tassandolo: qualcuno si potrebbe però chiedere se, in un paese in cui le attività legali evadono regolarmente centinaia di milioni l’anno, non sarebbe quantomeno utopistico sperare che un’attività così strettamente connessa alla criminalità organizzata come la prostituzione diventi improvvisamente esemplare quanto a tasse e tributi.

E ci si interroghi infine su che futuro vogliamo per la nostra Italia: se un Paese in cui basta pagare le tasse per stare in pace con la coscienza o in un Paese in cui la dignità della persona è il cardine dell’agire tanto delle istituzioni quanto degli individui.

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