Torino,
21 novembre scorso. La via adiacente il nuovo Juventus Stadium, costruito sul
sito ove sorgeva il vecchio “Delle Alpi” è stata re-intitolata all’indimenticato
Gaetano Scirea, capitano bianconero nel ciclo dei grandi successi degli anni
’70-’80, scomparso in Polonia nel 1989 a causa di un incidente stradale e della
conseguente esplosione del proprio veicolo. Il nuovo “Viale Scirea” prende il
posto di “Corso Grande Torino”, intitolato nel 1990 alla mitica formazione anni
’40, letteralmente cancellata dall’incidente aereo di colle Superga (a Torino)
il 4 maggio 1949. Alla squadra verrà intitolato, come sorta di riparazione, lo spazio
adiacente il Comunale, proprio davanti Torre Maratona, nome caro alla tifoseria
granata che ha mal digerito questa “profanazione”, dovuta ad una nuova
decisione spiccatamente filo- bianconera del sindaco Piero Fassino, il quale
aveva già permesso la costruzione dello Juventus Stadium svendendo l’area della
Continassa alla potente società degli Agnelli per appena 0,58 € al mq, mentre i
tifosi del Toro da 15 anni chiedono, invano, la riconversione del vecchio
Filadelfia in cittadella granata.
L'ultima partita Benfica-Torino del 3.V.1949 |
Conformemente
al valore simbolico, connaturato all’intitolazione delle strade, non può che lasciar
riflettere il forte significato di cui tale iniziativa di sostituzione di nomi è
foriera: è un atto certamente di cattivo gusto che non può che addolorare
pensando a ciò che il Grande Torino ha vinto, è stato e ha rappresentato per lo
sport italiano e l’Italia in quella drammatica uscita dal secondo conflitto
mondiale, senza omettere la memoria da tributarsi ad una tragedia quale quella
di Superga.
La
leggenda della squadra in grado di conquistare 5 titoli nazionali consecutivi,
entrando così nell’Olimpo del calcio al pari del Bologna (“lo squadrone che
tremar il mondo faceva” come diceva il presidente felsineo Dall’Ara) e della
Juventus anni ’30, e più tardi del Real di Di Stefano, del Barcellona di
Cruijff, del Milan di Rocco e della mitica Inter di Herrera, cominciò alla fine
degli anni ’30 quando venne acquisita dal presidente Ferruccio Novo. Fu lui a
costruire lo squadrone che dominò il palcoscenico del calcio italiano negli
anni ‘40, forte in ogni reparto e zoccolo duro della nazionale maggiore: basti
pensare che occasione della gara Italia-Ungheria del 11 maggio 1947, vinta
dagli azzurri per 3-2, ben 10 titolari su 11 erano giocatori del Torino.
Il
primo acquisto fu il centravanti Franco Ossola, prelevato diciottenne dal
Varese, seguirono Ferraris II, punto inamovibile della due volte campione del
mondo Italia di Pozzo, Menti, Gabetto, Bodoira, Borel, Loik e soprattutto Mazzola,
il capitano. Dopo aver sgambettato con la maglia del Venezia, il Toro in corsa
scudetto con la Roma nella stagione ‘41-42, il grande Valentino, papà di
Sandro, fuoriclasse dell’Internazionale di Herrera, passò per la clamorosa cifra
di 1.250.000 lire, ai granata nel campionato 1942-43, vinto al photo-finish con
il Livorno, proprio grazie ad un suo gol nella partita finale con il Bari.
Quell’anno il Torino, aggiudicandosi la Coppa Italia, divenne la prima squadra a conseguire, nella medesima
stagione, la doppietta scudetto-coppa nazionale. Nel famoso “Sistema” (simile ad un
3-4-3) modulo tattico subentrato all’ultradifensivo “Metodo” (adatto alla
vecchia regola del fuorigioco che perscriveva almeno 3 giocatori tra l’attaccante
e la porta anziché 2), adottato quasi per primo dal Toro, Mazzola mezzala
sinistra, in una coppia già sperimentata in Nazionale e con il Venezia con Enzo
Loik, mise a segno ben 118 gol in 195 presenze, laureandosi capocannoniere
nella stagione ’46-47.
Allenamento del Toro al Filadelfia ( i primi due da sinistra sono Loik e Mazzola) |
La
guerra, che inizialmente non aveva arrestato il campionato come imposto dallo
stesso Mussolini il quale aveva asserito che i calciatori servivano più sui prati che nell’esercito, cancellò ben 2 stagioni,
’43-44 e ’44-45, che spezzarono il ciclo granata e tolsero ulteriormente alla
squadra - oltre alla tragedia di Superga, ovviamente - la possibilità di
allungare il primato di scudetti consecutivi (che saranno infine cinque). L’assoluta
superiorità del Grande Torino è testimoniata dai record della stagione 1947-48
nella quale terminò 16 punti sopra il Milan secondo, vinse 29 partite su 40 (in
un’epoca in cui i 2 punti a vittoria permettevano una maggiore percentuale di
pareggi) mostrando di avere il miglior attacco (125 reti, media superiore ai 3
gol a partita) e la miglior difesa (appena 33 subiti, nemmeno uno a gara). Lo strapotere tecnico-tattico dava luogo anche
a momenti fortemente spettacolari quali i famosi “quarti d’ora granata” nei
quali la squadra, fino ad allora quasi assopita, al triplice squillo di tromba
del ferroviere Oreste Bolmida dalla tribuna del Filadelfia, aumentava
vertiginosamente il ritmo in modo tale da chiudere il match in appena 15
minuti: un’occasione su tutte la rimonta da 0-3 a 4-3 a Torino contro la Lazio
il 30 maggio 1948.
Valentino Mazzola con il piccolo Sandro |
Il
carattere rivoluzionario dei Granata a livello tattico con il “sistema”, come
già evidenziato, si accompagnava a quello logistico, dato che la squadra, nelle
lunghe trasferte nelle quali veniva invitata per la propria forza, riconosciuta
a livello internazionale, ad esempio la tournee in Brasile nel 1948 e l’inaugurazione
dello stadio del Racing a Bruxelles nello stesso anno, utilizzava, per
spostarsi, l’apparecchio, in modo di stancarsi meno e dare di sé un’immagine vivace ed innovativa.
Purtroppo,
come tutti sanno, tale peculiarità fu fatale il 4 maggio 1949, quando l’aereo
della squadra, di ritorno da una partita stellare con il Benfica, a causa di un
errore del pilota cagionato della scarsa visibilità dovuta alle nubi dense e
basse su Torino o ad un guasto all’altimetro, anziché virare in corrispondenza
di Pino Torinese verso l’aeroporto, eseguì la medesima manovra più a nord,
laddove sorgeva – e sorge – la Basilica di Superga, contro il terrapieno
posteriore alla quale, si schiantò a 180 km orari. Morirono Bacigalupo
(portiere), i fratelli Ballarin, Mazzola, Ossola, Loik, Rigamonti Menti,
Operto, Grezar, Gabetto, Grava, Bongiorni, Castigliano, Schubert, Martelli,
Maroso, tra i calciatori, i dirigenti, gli allenatori, i giornalisti al seguito
e l’equipaggio di bordo (in totale 31 persone e il fiore del calcio italiano).
Finiva
il ciclo del Grande Torino, sogno di un popolo, uscito sconfitto ed umiliato
dalla guerra, riscattato oltre che dalle imprese di Coppi e Bartali in terra
francese, dalle vittorie sportive di 11 giocatori con la maglia granata che,
come recita una canzone dell’epoca, “solo la morte fermò”.
Come
scrisse Indro Montanelli, il giorno dopo i solenni funerali celebrati il 6
maggio 1949 davanti la folla immensa di mezzo milione di persone che vollero
dare l’ultimo saluto ai loro campioni,
“Gli
eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi
crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta".