Voltaire e il richiamo della fede

François-Marie Arouet, più noto con lo pseudonimo di Voltaire fu il peggior nemico che ebbe il Cristianesimo nel secolo XVIII: si era riproposto l'obiettivo dell’annientamento della Chiesa, di distruggere cioè da solo ciò che, reputava, fosse stato edificato da dodici uomini. Purtuttavia, Voltaire rimase sempre moralmente vicino all’insegnamento cattolico e alla legge naturale. Non potendosi esimere dall’uso della ragione (da buon profeta dei Lumi della Ratio), Voltaire finì per convertirsi. A riprova di ciò uno studio dello spagnolo Carlos Valverde: il tomo XII di una vecchia rivista francese, Corrispondance Littérairer, Philosophique et Critique (1753-1793) nel numero di aprile del 1778 (pagine 87-88), si incontra niente di meno che la professione di fede di M. Voltaire. Letteralmente dice così:
“Io, sottoscritto, dichiaro che avendo sofferto di un vomito di sangue quattro giorni fa, all’età di 84 anni e non essendo potuto andare in chiesa, il parroco di Saint Sulpice ha voluto aggiungere un’altra buona opera alle sue inviandomi a M. Gauthier, sacerdote. Io mi sono confessato con lui, e se Dio vuole, muoio nella santa religione cattolica nella quale sono nato, sperando dalla misericordia divina che si degnerà di perdonarmi tutte le mie mancanze, e che, se ho scandalizzato la Chiesa, chiedo perdono a Dio e a lei.
Firmato: Voltaire, il 2 marzo del 1778 nella casa del marchese di Villete, in presenza del signor abate Mignot, mio nipote e del signor marchese di Villevielle”. Firmano anche: l’abate Mignot, Villevielle. Si aggiunge: “dichiariamo la presente copia conforme all’originale, che è rimasto nelle mani del signor abate Gauthier, che abbiamo firmato, come firmiamo il presente certificato. In Parigi, il 27 maggio del 1778. L’abate Mignot, Villevielle”. Che la relazione possa stimarsi come autentica lo dimostrano altri documenti che si incontrano nel numero di giugno della medesima rivista, che non è per niente clericale certamente, perchè era pubblicata da Grimm, Diderot ed altri enciclopedisti.
Voltaire morì il 30 maggio del 1778. L’abate Mignot presenta al priore il consenso firmato dal parroco di Saint Sulpice e una copia (firmata anche dal parroco). Questo testo dimostra che Voltaire si era già convertito tre mesi prima di morire ma esiste un documento ancora più antico che, non solo anticipa la sua conversione (almeno il suo cambiamento nei confronti della religione) di diversi anni, ma dimostra anche che non fu né la paura della morte né la senilità a convertirlo. Il Cattolicesimo rimase per tutta la sua vita, un rifugio sicuro per Voltaire dall’intolleranza propria delle confessioni protestanti e dell’Islam.
Sua Santità Benedetto XIV
A riprova di ciò, il filosofo francese aveva imparato l‘Italiano perchè non solo era la lingua dell’amore, della poesia lirica e della cultura alta, ma anche e soprattutto la lingua corrente della curia vaticana. Non stupisce quindi che lo stesso autore francese, fra una lettera erotica e una richiesta di raccomandazioni -lungi da noi operare un giudizio morale su Voltaire, d’altronde si vuole mostrare solo che fu e si considerò sempre cattolico, non che fu un buon cattolico, quale nemmeno si riteneva come mostra il Trattato sulla Tolleranza - inaugurasse una fitta corrispondenza italiana con ecclesiastici di varia estrazione: il card. Passionei, già inquisitore a Malta; il card. Quirini, vescovo benedettino di Brescia e bibliotecario di Sua Santità; i gesuiti Boscovich e Jacquier, il camaldolese Calogerà, l’abate Sambuca, il futuro sovrintendente alla finanze pontificie Vergani e così via. Né stupirebbe che a un così accanito corrispondente di mezzo clero italiano potesse capitare di scrivere a due Papi. Nel 1761, quando è ormai riconosciuto patriarca antireligioso, tutt’a un tratto scrive a Clemente XIII gettandosi di nuovo “a j sacri piedi di sua beatitudine” in qualità di “gentiluomo della camera di sua maestà cristianissima”. La richiesta lascia basiti: lui e sua nipote, che nel frattempo è diventata la sua nuova concubina e alla quale non scrive più, “la supplican’umilmente di degnarsi di concedere loro alcune sante relliquie per l’altare della nuova chieza che Francesco di Voltaire edifica nel feudo di Ferney”. In una lettera parallela al card. Passionei Voltaire spiega: “Non domando un corpo santo. Sono indegno d’un tanto onore, basta per me un dito, un capelo”. Le ragioni per convincere il Papa sono ancora più scioccanti. La tenuta di Ferney si trova “nella vicinanza della herezia”, ossia a due passi dalla Ginevra calvinista, e Voltaire ritiene “che sia convenevole di spiegare tutti i segni della fede in faccia de gli inimici”. Non si sa se le reliquie arrivassero o meno a destinazione; ma la chiesa di Ferney venne allestita, col proclama DEO EREXIT VOLTAIRE sul frontone, e fu una parrocchia cattolica nella quale Voltaire di tanto in tanto prese anche la comunione con grande scandalo degli astanti.
Nel 1745 Voltaire era in procinto di far pubblicare la tragedia Il Fanatismo, ovvero Maometto profeta, che oggi non gli guadagnerebbe parecchi fan fra i sostenitori del multiculturalismo. Per quanto sia valida la lettura obliqua del Maometto come critica a certi eccessi politici del Cattolicesimo, si tende a dimenticare facilmente che resta innanzitutto il ritratto poco lusinghiero di un profeta che “semina fanatismo e sedizione, e conduce la sua armata nel nome di un Dio terribile”. Voltaire intuisce che può avere in Benedetto XIV, già cardinal Prospero Lambertini, un alleato prezioso per la sua brillantissima cultura. Spedisce allora un abate, amico di un’amica della sua concubina M.me du Châtelet, a esplorare personalmente in Vaticano la propensione del Papa nei suoi confronti.
Scrive da Parigi il 17 agosto:«Vostra Santità perdoni la libertà presa da uno dei peggiori fedeli, anche se ammiratore zelante della virtù, di presentare al capo della vera religione questo componimento, scritto in opposizione al fondatore di una setta falsa e barbara. A chi avrei potuto con più decoro inscrivere una satira sulla crudeltà e gli errori di un falso profeta, che al vicario e rappresentante di un Dio di verità e di misericordia? Vostra Santità, pertanto, datemi il permesso di porre ai vostri piedi, sia il pezzo e l’autore della stessa, e umilmente a chiedere la protezione dell’uno, e la sua benedizione dell’altro, nella speranza di ciò, con il rispetto più profondo, le bacio i suoi sacri piedi».
L’esito è glorioso: Benedetto XIV fa arrivare a Voltaire dei medaglioni con la propria immagine che diventano il pretesto per una breve e un po’ surreale corrispondenza. A metà agosto 1745 Voltaire può infatti scrivere a Benedetto XIV, sempre nel suo Italiano immaginario, dichiarando di aver «ricevuto co i sensi della piu profonda venerazione e della gratitudine piu viva, j Sacri medaglioni di quali la vostra Santita s’e degnata honorar mi». S’inventa su due piedi di avere appesa «nel mio cabinetto una stampa di vostra Beatitudine» e domanda «al cielo che Vostra Santità sia tardissimamente ricevuta tra quegli Santi dei quali ella con si gran fatica e successo, ha investigato la canonizatione».
Si legge nei ringranziamenti per i medaglioni: «Le sembianze di Vostra Eccellenza non sono meglio espresse sulla medaglia che è stato così gentile da mandarmi, quanto lo sono le sembianze del suo pensiero nella lettera con la quale mi avete onorato: mi permetta di porre ai vostri piedi la mia riconoscenza sincera. Nella letteratura, come pure in materia di maggiore importanza, la sua infallibilità non è in contestazione: Vostra Eccellenza è molto più esperto in lingua latina del francese che si degnò di correggere. Io sono davvero stupito di come si poteva così facilmente appellarsi a Virgilio: i papi sono stati sempre classificati come i sovrani più dotti, ma tra loro credo non ci sia mai stato uno in cui tanto apprendimento e buongusto furono uniti. [...] Non posso fare a meno di considerare questo versetto come un felice presagio dei favori conferitemi da Vostra Eccellenza. Così Roma avrebbe acclamato quando Benedetto XIV è stato eletto Papa. Con il massimo rispetto e la gratitudine bacio i suoi piedi sacri, ecc».
Riguardo invece la lettera del papa di cui questa citazione è la risposta, risulta che nell’archivio vaticano il Papa risponde sì a Voltaire, ma non fa menzione del Maometto, mentre la copia in possesso di Voltaire parla espressamente de «la sua bellissima Tragedia di Mahomet, la quale leggemmo con sommo piacere». È ragionevole pensare che la smania per ottenere l’appoggio papale avesse spinto Voltaire a farsi ricopiare in bella grafia la lettera pontificia con le migliorie che riteneva necessarie alla propria gloria. Fatto sta che tanto la bella copia quanto il brogliaccio riportano il tradizionale congedo del Papa: «ed intanto restiamo col dare a lei l’apostolica Benedizione». 
Medaglie di Benedetto XIV
Si può rimestare nel torbido finché si vuole ma il dato di fatto è incontestabile: Voltaire s’è inginocchiato, il Papa l’ha benedetto, con buona pace di coloro che ritengono e scrivono sulla famigerata enciclopedia online Wikipedia, troppo spesso faziosa, foriera di relativismo nonché di falsità, che il filosofo francese avesse mandato lo scritto al papa per ironia. Questo processo alle intenzioni con cui i è ridicolo: per non fare della storia un’opinione, anziché una scienza, occorre limitarsi ad una sana attinenza al dato, dando delle interpretazioni tenenti conto delle giuste componenti e non di vuote supposizioni indimostrabili. Questi sono i fatti: Voltaire, che da piccolo era stato educato dai gesuiti, non abbracciò mai il protestantesimo pur avendo vissuto in Inghilterra e in Svizzera, scrisse volentieri a Papi e cardinali, attorno al suo cadavere si levarono i vespri funebri dell’abate di Scellières, e venne seppellito con messa solenne grazie ai buoni uffici di un nipote reverendo. È più che sufficiente a giustificare il sospiro che si lascia sfuggire nel Trattato sulla Tolleranza: «Grazie a Dio, sono un buon cattolico».


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