Troppi processi uccidono la rivoluzione



C'era l'invenzione che Grillo fosse una sorta di Bertoldo, uno che grazie alla sua vis comica sapeva spargere buon senso nelle teste coronate, come un picaro, un Don Chisciotte, male che vada l'ultimo dei Masaniello. Poi sono cominciati i processi. Fateci caso. È ormai questa la parola che ricorre di più nel melodramma dei cinquestelle. Processi. Processi a chi va in tv. Processi a chi parla troppo. Processi per chi ha perso la coscienza, chi critica il leader, chi si discosta dal guru, chi si perde la diaria, chi non è a cinquestelle, chi è troppo ambizioso, chi dice la sua, chi si perde nell'io e rinnega il noi, chi sta al Senato, chi è già troppo vecchio, chi vive in Sicilia, chi torna in Emilia, chi ha troppi master, chi è troppo bella.
È così che la democrazia diretta ha rimostrato il suo vecchio volto. Non c'è nulla da fare. Uno vale uno è la parola d'ordine e poi una alla volta le teste cominciano a cadere. Il buon Bertoldo getta la maschera e mostra il volto di Savonarola, con l'indice puntato e la rabbia di chi pretende di rieducare il prossimo. Quando poi il prossimo tentenna nel farsi rieducare cominciano i processi. È un attimo. Lo scenario si trasforma. La piazza, aperta, luminosa, non è più un'agorà, ma si fa scura, si chiude, lungo l'orizzonte qualcuno mette dei panni neri, e appare il tribunale. I cittadini sono improvvisamente giurati e il capocomico ha la toga, il ventre grasso da Balanzone e un martelletto per gridare tutto il suo potere. Chi dissente è perduto. La rivoluzione come al solito mangia i suoi figli.
Magari lo avete notato. Ormai quando si parla di grillini tornano certe parole lontane. Ortodossi contro deviazionisti, apocalittici contro integrati, lealisti e dissidenti, chi espelle e chi viene espulso e «la cittadina Gambaro deve spiegare perché ha voluto esprimere le sue critiche in pubblico, danneggiando il movimento». Il problema non è la questione politica. Grillo e Casaleggio vogliono difendere la loro creatura dalla sirene di Bersani. Non si fidano di chi vuole accomodarsi in qualche poltrona confidando nell'elemosina del Pd. Non vogliono che i loro parlamentari siano oggetto di scouting, un modo per dividere i buoni dai cattivi. Quelli buoni per il Pd e quelli da scartare. Tutto comprensibile. È il resto che non funziona. È quell'idea che la democrazia vera sia quella di piazza, e non importa che in questo caso sia una piazza virtuale. È il vizio culturale di chi pretende di considerare la sua parte il tutto. È qui che naufragano i cinquestelle. Ogni volta che dicono «gli italiani pensano, gli italiani vogliono, gli italiani chiedono». Gli italiani processano. Ma questo (ancora) non è un paese per forche e ghigliottine.

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