Achille e la tartaruga

Celebre sin dall’antichità, il paradosso di Achille e la tartaruga si articola così: se il Piè Veloce gareggiasse con una tartaruga concedendole un vantaggio iniziale di dieci metri, sarebbe incapace di raggiungerla, per quanto corra dieci volte più velocemente. In effetti, quando Achille ha finito di percorrere i dieci metri che lo separavano dal punto in cui si trovava la tartaruga, essa è avanzata di un metro. Mentre Achille percorre quel metro, la tartaruga avanza di un decimetro; e mentre Achille percorre un decimetro, la tartaruga avanza di un centimetro. E così via all’infinito, con Achille che si avvicina sempre più alla tartaruga ma non riesce a raggiungerla.

Tale paradosso è attribuito a Zenone d’Elea, discepolo di Parmenide vissuto nel V sec. a. C. L’attribuzione a Zenone è però incerta: non ci è infatti pervenuto alcuno scritto dell’epigono parmenideo. Il paradosso di Achille e della tartaruga, insieme ad altri altrettanto celebri, è riportato da Aristotele nella Fisica e da Simplicio nel Commento alla Fisica di Aristotele (e da questi attribuito, appunto, a Zenone).

Al di là della questione della paternità del paradosso, è importante capirne lo scopo: sembra che con esso il filosofo miri a negare il movimento e a difendere, così, il monismo parmenideo. Infatti, muoversi vuol dire passare dall’essere al non essere, e ciò è inaccettabile se si sostiene che esista solo l’essere. Per altri, invece, l’obiettivo critico di Zenone è la possibilità di una descrizione matematica della realtà, come era sostenuta, ad esempio, dai Pitagorici. L’argomento è basato sull’infinita divisibilità dello spazio: se lo spazio è infinitamente divisibile, dati due punti si può sempre trovare un punto in mezzo fra i due. Lo spazio sembra, cioè, avere una natura densa: esso assomiglierebbe ad una retta, in cui si può sempre trovare un punto in mezzo a due punti dati. Questa proprietà può essere attribuita anche all’insieme dei numeri razionali, ma non a quello dei numeri interi: fra 0 e 1, ad esempio, non vi è alcun numero intero. L’insieme dei numeri interi è detto, pertanto, discreto.

Tuttavia, da questa proprietà di densità dello spazio sembra derivare la conseguenza paradossale che Achille non raggiungerà mai la tartaruga, in quanto fra i due vi sarà sempre uno spazio infinitamente divisibile. Poiché questo è controintuitivo (da qui la natura paradossale dell’argomento), Zenone deduce che lo spazio non è infinitamente divisibile e che il movimento è impossibile. Proprio per sottolineare la natura paradossale di tale argomento, l’autore ha preso ad esempio l’uomo più veloce della mitologia greca e l’animale considerato il più lento: appunto, Achille e la tartaruga.

La soluzione di questo paradosso sembra facile: è evidente, sulla base della nostra esperienza, che Achille raggiungerà la tartaruga; in effetti, si narra che già Diogene il Cinico lo avesse confutato dicendosolvitur ambulando (si risolve camminando). Eppure, per avere una risposta del perché il paradosso sia fallace, si è dovuto attendere il XVIII secolo con lo sviluppo dell’analisi matematica e del calcolo infinitesimale. Per più di venti secoli, dunque, il paradosso di Achille e la tartaruga non ha cessato di interrogare coloro che hanno cercato di risolverlo. Per un filosofo della scienza, esso è indubbiamente interessante in quanto pone quesiti su questioni cruciali della disciplina: questioni come, ad esempio, la natura dello spazio ed il rapporto tra lo spazio ed il tempo; la descrizione matematica della realtà ed il rapporto tra matematica e fisica; e, ancora, la natura dei numeri e quella dell’infinito matematico. Vediamo dunque di delineare alcune possibili soluzioni.

Già Aristotele, nell’esporre il paradosso, presenta una soluzione personale: tale soluzione è basata sulla distinzione tra infinito in atto e infinito in potenza. Per Aristotele, infatti, l’infinito esiste solo in potenza: si può quindi dire che lo spazio è potenzialmente divisibile all’infinito ma, di fatto, non lo è. La fallacia dell’argomento di Zenone starebbe quindi nel considerare attualmente “diviso” ciò che in realtà è solo potenzialmente “divisibile”. Il problema di questo argomento è che tutta la matematica si basa sull’infinito in atto: metterne in dubbio l’esistenza, dunque, mina le basi teoriche di tale scienza.

Uno dei modi di risolvere il paradosso si basa sulla geometria analitica. Esso consiste nel rappresentare i due moti, come rette, sugli assi cartesiani e nel trovare il punto in cui le due rette si intersecano: tale punto è quello in cui Achille raggiunge la tartaruga. Un’altra soluzione si basa, invece, sulla nozione di velocità relativa. Immaginiamo che Achille e la tartaruga si trovino su un tapis roulant che si muove alla stessa velocità della tartaruga ma in senso opposto; questo ci permette di considerare la velocità relativa della tartaruga pari a zero e, quella di Achille, data dalla differenza fra la sua velocità assoluta e quella della tartaruga (cioè quella del tapis roulant). Possiamo quindi affermare che Achille raggiunge la tartaruga poiché la sua velocità è superiore. Queste soluzioni sono entrambe corrette e confermano che Achille raggiunge la tartaruga; tuttavia, esse non ci mostrano in cosa l’argomento di Zenone risulti fallace.

In questo, invece, riesce la soluzione che ci deriva dall’analisi matematica; essa ha infatti dimostrato che una somma di infiniti elementi non dà necessariamente un numero infinito. Nel nostro caso, la somma 10 + 1 + 1/10 + 1/100 + …+ 1/10n delle distanze percorse da Achille tende ad un limite finito (cioè il punto in cui Achille raggiunge la tartaruga): si tratta di una serie convergente che tende ad un limite finito per n che tende ad infinito. Poiché la somma di una serie infinita è il limite della successione di somme, la somma di infiniti termini, in questo caso, dà un numero finito. Merito dell’analisi matematica è dunque quello di aver mostrato che non tutte le serie infinite hanno un risultato infinito: sebbene, cioè, si tratti di una somma di infiniti termini, il risultato è un numero finito.

Nonostante sia stato risolto grazie alla matematica, il paradosso continua a porre alcuni problemi. Innanzitutto, la questione della natura dello spazio: se lo spazio è veramente denso, come mai nella nostra esperienza quotidiana ci sembra discreto? E, ancora, il problema del rapporto tra lo spazio e il tempo: se lo spazio è denso, qual è la natura del tempo? Un’altra questione sollevata recentemente a proposito del paradosso di Achille è quella del “supercompito”: come può Achille compiere una serie di atti infiniti, ovvero quell’insieme di atti che gli permettono di raggiungere la tartaruga? E, se veramente si trattasse di una serie di azioni infinite, sarebbe possibile compierle in un tempo finito?

Non possiamo discutere in questa sede tutti i problemi ancora aperti legati a questo paradosso; possiamo però prendere spunto dal paradosso di Achille e della tartaruga per domandarci in che misura la scienza sia in grado di risolvere problemi filosofici. Sembra in effetti che, nel caso del paradosso di Achille, la scienza abbia avuto un potere risolutivo maggiore rispetto alla filosofia. Possiamo dunque dire che la scienza rappresenta uno strumento potente da applicare ai problemi filosofici ma solo nella misura in cui essa si basa sull’evidenza e cerca di formulare delle verità universalmente valide. Senza dimenticare che, per ogni soluzione, la filosofia non cesserà di sollevare un nuovo interrogativo.

Nota bibliografica:
per una rassegna dei paradossi di Zenone e delle loro soluzioni si consiglia Fano, V., I paradossi di Zenone, Carocci, Roma, 2012.

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