Un’introduzione alla filosofia della biologia


La filosofia della biologia è una branca della filosofia della scienza che si interroga sui problemi filosofici e sui fondamenti concettuali, teorici e filosofici della scienza del vivente. Si tratta di una disciplina alquanto recente: il vero e proprio atto di nascita viene considerato il famoso articolo del 1969 di David Hull intitolato Che cosa non è la filosofia della biologia1. In esso, l’autore riconosce che nei precedenti dieci o quindici anni si sono prodotti dei lavori che si possono a giusto titolo catalogare sotto la dicitura “filosofia della biologia”. Il suo scopo è, appunto, quello di sistematizzare i contributi di tali autori per dare alla filosofia della biologia un suo volto proprio.

La biologia nasce ufficialmente tra il XVII e XVIII secolo, anche se già Aristotele aveva fornito un importante contributo alla metodologia e alla definizione di tale scienza. Scopo principale della filosofia della biologia è difendere la scientificità della biologia di fronte ad una presunta superiorità della fisica. La fisica, in effetti, è stata a lungo ritenuta l’unica scienza esatta, e le altre scienze erano considerate tali solo nella misura in cui fosse stato possibile ricondurle ai principi e ai metodi della fisica.

La nascita della filosofia della biologia è legata, dunque, ad una presa di coscienza del fatto che, fino a quel momento, la filosofia della scienza era stata fondamentalmente la filosofia della fisica e che strumenti e metodi della filosofia della biologia erano per lo più ideati per risolvere problemi di filosofia della fisica. La fisica primeggiava nell’analisi delle problematiche di filosofia della scienza ma non tutte le soluzioni adatte alla fisica si confacevano altrettanto bene alla biologia: la biologia presenta delle problematiche differenti rispetto a quelle della fisica, problematiche per le quali è necessario ideare dei nuovi schemi concettuali. Perché si giungesse a questa consapevolezza, è occorso molto tempo: è per questo che la filosofia della biologia è considerata una disciplina nata negli ultimi cinquant’anni, sebbene problematiche ad essa legate possono essere trovate in lavori di gran lunga precedenti (pensiamo, per esempio, a Darwin).

L’istituzionalizzazione della filosofia della biologia avviene a seguito della nascita della rivistaPhilosophy and Biology, nel 1986. Fondatori della filosofia della biologia sono considerati il già citato David Hull (1935-2010) e Michael Ruse; nella seconda generazione si includono filosofi quali William Wimsatt, Alexander Rosenberg, Elliott Sober e Kim Sterelny. Ad essi si aggiungono Samir Okasha e Peter Godrey-Smith, vincitori degli ultimi due premi Lakatos per la filosofia della scienza della London School of Economics. Il proliferare di lavori in questo ambito dimostra il successo crescente di questa disciplina che è effettivamente riuscita a far uscire la biologia dalla posizione di inferiorità rispetto alla fisica. Particolarità della filosofia della biologia è la seguente: mentre nessun fisico (o quasi nessuno) si interessa ai quesiti della filosofia della fisica, la filosofia della biologia annovera, fra i suoi principali esponenti, alcuni biologi. È il caso, ad esempio, di Richard Dawkins e Richard Lewontin, autori di testi che hanno fatto la storia della disciplina.

Questa lista di nomi – chiaramente non esaustiva – presenta la filosofia della biologia di matrice anglosassone; il filone anglosassone si concentra sugli sviluppi recenti della biologia, al fine di apportare dei contributi che influiscano sulla ricerca biologica stessa. Esiste, in realtà, anche un’altra corrente di filosofia della biologia, di stampo francese: si tratta di una concezione più epistemologica e storica della filosofia della biologia, che include anche la medicina. Uno dei principali esponenti di questa corrente è il filosofo francese Georges Canguilhem (1904-1995). Qui di seguito, verrà analizzata la filosofia della biologia di stampo anglosassone.

Georges Canguilhem (1904-1995).
Di cosa si occupa la filosofia della biologia? Poiché è chiaramente impossibile esaurirne il campo di studi, ci si limiterà ad un accenno di quelle che sono le principali problematiche da essa affrontate. Innanzitutto, un ruolo di primo piano è occupato dalla teoria dell’evoluzione per selezione naturale. Elaborata da Darwin ne L’origine delle specie nel 1984, è da questi definita «La conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive […]»2. Osservando come gli allevatori selezionavano nel loro bestiame gli animali che erano più idonei a sopravvivere e ne favorivano la riproduzione, egli ipotizzò che la natura compisse un’analoga attività: talvolta gli organismi subiscono delle mutazioni casuali che sono però vantaggiose nei termini della sopravvivenza e che dunque vengono trasmesse ai discendenti; questi ultimi formano una prole più numerosa rispetto a quella degli organismi che non hanno subito tale mutazione. Questo meccanismo di selezione naturale (poiché operato, appunto, dalla natura) porta ad un’evoluzione della specie. Intorno a questa teoria, unanimemente accettate come tale, sorgono innumerevoli quesiti. Ad esempio, essa pone il problema dell’eredità dei caratteri acquisiti, problema che è stato risolto solo in anni recenti grazie alla collaborazione tra il neodarwinismo e i progressi della genetica. Per restare in campo epistemologico, invece, ci si può chiedere se la teoria dell’evoluzione sia una legge allo stesso titolo delle leggi della fisica e se sia l’unica legge della biologia. Lo statuto della teoria dell’evoluzione per selezione naturale è dunque il primo quesito filosofico sollevato dalla biologia: ed è un dibattito ancora aperto.

Sempre legato alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale è il problema dell’unità di selezione: si tratta di chiedersi su cosa agisca la selezione naturale e cosa evolva a seguito di questa azione. Quando Darwin formulò la sua tesi, egli riteneva che la selezione naturale agisse sugli organismi e che ad evolvere fossero le popolazioni; tuttavia, negli anni successivi, si è sviluppato un ampio dibattito su quale entità conti come unità di selezione, dibattito spesso alimentato anche da una certa confusione concettuale. Ci si è dunque chiesti se le unità di selezione fossero i geni, le cellule, gli organismi, le specie o entità ancora più inclusive, quali i gruppi sociali o l’ecosistema; e, per ognuna di queste ipotesi, si sono cercate delle ragioni filosofiche. Anche questo è un dibattito tutt’oggi privo di una soluzione unanimemente accettata.

Un altro dibattito è quello sul significato del vocabolario funzionalista in biologia: in effetti, è tipico della biologia parlare degli esseri viventi come composti di parti che svolgono delle funzioni. Ancora, la filosofia della biologia si occupa di chiedersi cosa debba essere inteso come individuo biologico: se ci sono, cioè, dei criteri necessari e sufficienti per definire qualcosa come individuo biologico. Anche lo sviluppo dell’individuo è un tema molto studiato, soprattutto attraverso la nozione di programma genetico; ultimamente, si è dato molto rilievo anche ai meccanismi di eredità non genetica, quali quelli definiti “epigenetici”. La filosofia della biologia si occupa, inoltre, del tentativo di definire il gene e dei concetti di riduzionismo ed emergenza, nonché del ruolo della fisica nella descrizione dei sistemi biologici.

L’interesse della filosofia della biologia sta proprio nel suo tentativo di elaborare dei nuovi schemi concettuali per dei problemi che si è spesso cercato di comprendere unicamente attraverso la lente della filosofia della fisica. Ma il fatto che noi stessi facciamo parte della biologia è un altro fattore che spiega, probabilmente, l’interesse suscitato da tale disciplina.

***

Nota bibliografica: pochi testi della filosofia della biologia sono tradotti in italiano. Per un primo approccio alla disciplina si consiglia E.MayrL’unicità della biologia. Sull’autonomia di una disciplina scientifica, tr. it. a cura di C. Serra, Cortina Raffaello editore, Milano, 2005 (ed. or. What makes biology unique. Considerations on the Autonomy of a Scientific Discipline, Cambridge University Press, 2004) che, senza essere di stampo prettamente manualistico, fornisce un’ottima introduzione alla filosofia della biologia, alla portata di tutti. Gli altri manuali di filosofia della biologia sono in inglese: ci limitiamo a segnalare Rosenberg-Arp Philosophy of biology. An anthology, Wiley-Blackwell, 2010; Hull-Ruse The Cambridge companion to the philosophy of biology, Cambridge University Press, 2008; Sterelny-Griffiths Sex and Death: an Introduction to the Philosophy of Biology, Chigaco, Chicago University Press, 1999.


1D. Hull, «What philosophy of biology is not» in Synthese 20, 1969, pp. 157-184.


2C.Darwin, L’origine delle specie. Selezione naturale e lotta per l’esistenza, tr it a cura di L. Fratini, Bollati Boringhieri, Torino,1972, p. 147 (ed. or. On the Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation ofFavoured Races in the Struggle for Life, Harvard University Press, 1984).


Astensionismo frutto della politica grillina?

Nello scorso week end in molti comuni ci sono state le elezioni amministrative per eleggere sindaci e consiglieri. A Roma la sfida centrale. Si andrà al ballottaggio, Marino ha un netto vantaggio su Alemanno, che è chiamato a recuperare quasi 12 punti in due settimane. 
Si è votato anche a Brescia, Siena, Ancona, Iglesias, ecc, ma anche qui servirà il ballottaggio.

Il dato rilevante è quello degli astenuti. A Roma un cittadino su due non si è recato al seggio: qui l’affluenza è stata del 52,8%, quasi 21 punti percentuali rispetto alla precedente tornata comunale (73,66%). Male anche nell’altro capoluogo di Regione, Ancona, dove i votanti sono stati pari al 58,18%, 15 punti in meno rispetto al 73,19 precedente. Lo sciopero degli elettori ha interessato anche alcuni dei capoluoghi di Provincia: tra questi, presenze al lumicino a Pisa (55,77 contro il precedente 79,95%), Sondrio (59,56 e 79,77%), Vicenza (62,99 e 81,14%), Treviso (63,25 e 79,40%) e Lodi (63,64 e 71,09%). Soltanto di poco superiore il dato degli altri capoluoghi, tra i quali tuttavia svettano Avellino (76,96, contro un precedente dell’82,2%) e Barletta (74,87 e 77,14%).

In molti si sono espressi per dare una spiegazione di tutto ciò, anche e soprattutto il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che oggi ha ricordato come «nella gran parte dei Comuni dove ieri e oggi si è votato, nel 2008 le Comunali si erano svolte insieme alle Politiche e ciò potrebbe aver trascinato in su l’affluenza» 

Ma non basta questo dato per spiegare ciò che è successo, perché bisogna andare alla radice: forse l'antipolitica portata avanti nei mesi da alcuni movimenti sta inducendo gli italiani a dimenticarsi del valore del voto, della repubblica, della costituzione e del senso civico del diritto? Infatti il crollo del M5S, soprattutto a Roma, dovrebbe far pensare: con una campagna denigratoria alle istituzioni e al senso della patria, si sono autodistrutti, perché i cittadini hanno perso anche la voglia di protestare con il voto, e hanno anche capito che aggrapparsi ai movimenti anti-politici non porta da nessuna parte.

Monsignor Tomasi all'Onu: 100 mila cristiani uccisi nel mondo


La Santa Sede esprime “profonda preoccupazione” per le violazioni della libertà religiosa e per i sistematici attacchi inferti alle comunità cristiane in alcune aree del pianeta come Africa, Asia e Medio Oriente. È quanto sottolineato da mons. Silvano Maria Tomasi, intervenuto ieri alle Nazioni Unite di Ginevra. Il presule ha affermato che “indagini credibili” sono arrivate alla “scioccante conclusione” che “oltre 100 mila cristiani vengono uccisi ogni anno, per motivi che hanno una qualche relazione con la loro fede”. 

Altri cristiani, ha proseguito l’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, sono soggetti a uno sradicamento forzato, subiscoono "la distruzione dei loro luoghi di culto, lo stupro e il rapimento dei propri leader", come accaduto recentemente a due vescovi ad Aleppo, in Siria. Molti di questi atti, ha aggiunto, “sono il frutto del fanatismo, dell’intolleranza, del terrorismo e di leggi discriminatorie”. Inoltre, ha detto mons. Tomasi, in alcuni Paesi occidentali, “dove la presenza cristiana è stata storicamente parte integrante della società”, si rafforza la tendenza a “marginalizzare il Cristianesimo nella vita pubblica”, ignorando il suo contributo sociale e storico e arrivando addirittura a “restringere la capacità delle comunità di fede di portare avanti i loro servizi caritatevoli”. 

Monsignor Tomasi ha quindi rammentato che il Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha riconosciuto che la religione e la spiritualità sono al servizio della promozione della dignità umana e che il Cristianesimo è al servizio del vero bene dell’umanità. A tal riguardo, il diplomatico vaticano ha elencato alcuni servizi, dall’educazione alla sanità all’assistenza dei rifugiati, che vedono la Chiesa cattolica impegnata a favore dell’uomo, senza alcuna discriminazione di razza o religione. Monsignor Tomasi ha quindi concluso il suo intervento riprendendo le parole di papa Francesco nel Messaggio per il 17esimo Centenario delle celebrazioni per l’Editto di Milano: “Sia ovunque rispettato il diritto all'espressione pubblica della propria fede e sia accolto senza pregiudizi il contributo che il cristianesimo continua ad offrire alla cultura e alla società del nostro tempo”.

Il PD al servizio del Paese? Una bufala. Anzi, un tartufo

Che Massimo D'Alema fosse ambasciatore del tartufo era noto ai più, ma che la passione per il nobile tubero avesse contagiato l'intero partito - o meglio, il partito superstite - e avesse trovato espressione fra i banchi del Parlamento come proposta di chi rappresenta milioni di cittadini, certo non avrebbe voluto vederlo nessuno. E invece il Partito Democratico sembra sia arrivato anche a questo, trasformando Palazzo Madama e Montecitorio due palcoscenici perfetti per il miglior teatro dell'assurdo, prima con la votazione-farsa per il Presidente della Repubblica, ora con proposte di legge che gettano nel ridicolo tutto il paese.
L'interesse del leader Maximo affonda le sue radici nel lontano 2007, quando ricevette il titolo di ambasciatore del tartufo di Acqualagna mente era vicepremier; pochi mesi fa il romano democratico non si è lasciato sfuggire l'occasione di fare il bis e non è riuscito a rifiutare la nomina ad ambasciatore del tartufo di Norcia, stuzzicando anche la creatività di Vauro, il vignettista di Servizio Pubblico. Che un uomo politico dimostri in occasioni pubbliche in cui rappresenta il vicepresidente del consiglio dei ministri in fondo sarebbe l'ultimo dei problemi di un Paese in cui non si fa altro che parlare di disoccupazione e crisi economica; tutt'altra importanza assume invece la recente notizia che l'Onorevole Massimo Fiorio abbia avanzato una proposta di legge circa il suddetto tubero.
Per il deputato eletto tra le fila del PD il primo pensiero avuto una volta raggiunto Montecitorio non è stato il patto il patto di stabilità nè i costi della politica nè l'immigrazione, ma la preoccupante invasione sui mercati italiani di tartufi non locali: "è una vera e propria truffa ai danni di chi acquista il prodotto e una 'ingiustizia' nei confronti di chi lo cerca seguendo disposizioni rigide e attingendo da tradizioni centenarie" ha sentenziato Fiorio per conquistare alla sua causa quanti più elettori possibili. Peccato che i suoi elettori probabilmente preferirebbero avere una busta paga un po' più sostanziosa - se non addirittura averne una...
Chissà che cosa avrà spinto realmente il Partito Democratico a sdoganare una proposta che avrebbe avuto del ridicolo anche in un'amministrazione comunale: forse la volontà di distinguersi da quei 162 deputati targati 5 stelle che, nonostante costituiscano il oltre il 17% dei parlamentari hanno contribuito al lavoro delle camere con appena 12 proposte su oltre 1000 totali (dati aggiornati al 15 aprile). Forse la speranza di riconquistare qualche voto dimostrando di lavorare alacremente per il bene del paese, per dimostrare che in fondo se il PD ha lasciato l'Italia senza un governo per 60 giorni non era tutta colpa sua. O forse solo per sana incoscienza. E non sappiamo che cosa sarebbe peggio.

Regola 8: l'inizio e la ripresa del gioco

Definizione di calcio d’inizio


Il calcio d’inizio è un modo di cominciare o riprendere il gioco:
• all’inizio della gara;
• dopo che una rete è stata segnata;
• all’inizio del secondo periodo di gioco;
• all’inizio di ciascun tempo supplementare, ove previsto.
Una rete può essere segnata direttamente su calcio d’inizio.

Procedura
- Prima del calcio d’inizio della gara o dei tempi supplementari
La scelta del terreno viene stabilita con sorteggio per mezzo di una moneta e la squadra che vince il sorteggio sceglie la porta verso cui attaccherà nel primo periodo di gioco. L’altra squadra eseguirà il calcio d’inizio della gara. La squadra che ha vinto il sorteggio eseguirà il calcio d’inizio del secondo periodo di gioco.
All’inizio del secondo periodo di gioco, le squadre invertono la loro disposizione sul terreno di gioco ed attaccano in direzione della porta opposta.

Calcio d’inizio
• dopo che una squadra ha segnato una rete, l’altra squadra riprenderà il gioco con un nuovo calcio d’inizio.;
• tutti i calciatori devono essere all’interno della propria metà del terreno di gioco;
• gli avversari della squadra che esegue il calcio d’inizio devono essere a non meno di m. 9,15 dal pallone, fino a quando lo stesso non sia in gioco;
• il pallone è posto sul punto centrale del terreno di gioco;
• l’arbitro emette il fischio che autorizza il calcio d’inizio;
• il pallone è in gioco quando viene calciato e si muove in avanti;
• l’esecutore del calcio d’inizio non deve toccare di nuovo il pallone prima che lo stesso sia stato toccato da un altro calciatore.

Infrazioni e sanzioni
Se l’esecutore del calcio d’inizio tocca di nuovo il pallone prima che lo stesso sia stato toccato da un altro calciatore:
• un calcio di punizione indiretto viene accordato alla squadra avversaria nel punto in cui si trovava il pallone quando è stata commessa l’infrazione (vedi Regola 13 – Punto di esecuzione del calcio di punizione).

Nel caso di ogni altra infrazione nella procedura del calcio d’inizio:
• il calcio d’inizio deve essere ripetuto.

Rimessa da parte dell’arbitro
Una rimessa da parte dell’arbitro è un modo di riprendere il gioco quando, mentre il pallone è ancora in gioco, l’arbitro deve interrompere momentaneamente il gioco per qualsiasi ragione non altrove menzionata nelle Regole del Gioco.

Procedura
L’arbitro lascia cadere il pallone a terra nel punto in cui si trovava al momento in cui il gioco è stato interrotto, a meno che il gioco sia stato interrotto all’interno dell’area di porta, nel qual caso l’arbitro effettuerà la propria rimessa sulla linea dell’area di porta parallela alla linea di porta, nel punto più vicino in cui si trovava il pallone quando il gioco è stato interrotto. Il gioco riprende non appena il pallone tocca il terreno di gioco.

Infrazioni
La rimessa da parte dell’arbitro deve essere ripetuta se:
• il pallone viene toccato da un calciatore prima di toccare il terreno;
• il pallone esce dal terreno di gioco, dopo essere rimbalzato sullo stesso, senza
che nessun calciatore lo abbia toccato.

Tacchini e filosofi: ovvero, che cos’è la filosofia della scienza

“Science is an unusually powerful tool for investigating what the world is like”

(P. Godfrey-Smith “Darwinian Populations and Natural Selection”, 2009)

In un allevamento viveva un tacchino. Dopo aver osservato che, giorno dopo giorno, veniva nutrito puntualmente alle 9 del mattino, il tacchino fece la seguente induzione: “mi danno da mangiare tutti i giorni alle 9”. L’inferenza induttiva fu smentita quando, all’alba del giorno di Natale, al tacchino fu tirato il collo.

Lungi dall’essere una storiella per bambini, tale aneddoto è famoso in filosofia per essere stato utilizzato da Bertrand Russell (1872-1970), prima, e da Karl Popper (1902-1994), poi, per criticare il ricorso al metodo dell’induzione. L’induzione è un metodo conoscitivo che inferisce da ciò che è stato osservato a ciò che non è stato ancora osservato, sulla base dell’idea dell’uniformità della natura e del fatto che il futuro somiglierà al passato. È un ragionamento induttivo quello che porta il tacchino a concludere che, essendo stato nutrito in passato sempre alle 9 del mattino, ciò avverrà anche in futuro. È altresì un ragionamento induttivo quello che ci porta a pensare che il sole sorgerà domani in virtù del fatto che è sorto fino ad oggi. Ma, come disse già David Hume (1711-1776), non abbiamo alcun motivo di credere che il futuro somiglierà al passato, dal momento che pensare diversamente non è contraddittorio.

Ma cosa hanno a che fare tra loro filosofi, tacchini e metodo dell’induzione? Il problema dell’induzione è uno dei quesiti principali di cui si occupa la filosofia della scienza. La scienza cerca di predire, spiegare e capire il mondo in cui viviamo; la filosofia si occupa anch’essa di rispondere alle domande sul mondo e sul posto che noi occupiamo in esso. La filosofia della scienza si chiede in che modo la scienza sia in grado di soddisfare le nostre domande sul mondo. Il principale scopo della filosofia della scienza è quello di analizzare il modo in cui la scienza procede; di chiedersi quale sia la sua natura e cosa la distingua dagli altri modi di produrre conoscenza; quali siano i suoi limiti e perché dobbiamo avere fiducia in ciò che essa ci dice. Lo sguardo del filosofo sulla scienza permette di scoprire delle assunzioni che sono implicite nel procedere della scienza ma che non sono discusse esplicitamente. In altre parole, il ruolo della filosofia della scienza è di interrogarsi su quelle assunzioni che lo scienziato dà per scontato: la filosofia della scienza analizza dunque i concetti di “conoscenza”, “teoria”, “legge scientifica”, “verità”, eccetera.

La filosofia della scienza nasce con la scienza, con la rivoluzione scientifica del 1600: i primi scienziati (quali Galilei e Newton) sono anche i primi filosofi della scienza.

Poiché lo scopo della scienza è quello di spiegare il mondo, primo obiettivo della filosofia della scienza è capire attraverso quale metodo essa giunga alla spiegazione dei fenomeni. Accanto all’induzione, abbiamo altri due tipi di inferenze possibili: la deduzione e l’inferenza alla migliore spiegazione. Se l’induzione è un ragionamento che va dal particolare al generale, la deduzione è il ragionamento che va dal generale al particolare. Tipica deduzione è il sillogismo della seguente forma: “Tutti gli uomini sono mortali. Socrate è un uomo. Quindi Socrate è mortale”. La particolarità di questa inferenza è che se le premesse sono vere e il sillogismo è corretto, la conclusione è vera; esso non è tuttavia molto interessante, in quanto non ci fornisce nuove conoscenze sul mondo. Non è dunque questo il modo attraverso cui procede la scienza.

Un’altra ipotesi è che essa proceda attraverso l’inferenza alla migliore spiegazione, come proposto da Charles Peirce (1839-1914). L’inferenza alla migliore spiegazione è un’inferenza all’ipotesi che fornisce la migliore spiegazione possibile di un fenomeno osservato. Ad esempio, se il formaggio nella mia credenza è finito e sento provenire da essa degli squittii, inferirò che vi siano dei topi che hanno mangiato il formaggio: date le circostanze e le osservazioni fatte, questa è la migliore spiegazione. Certamente, ciò non vuol dire che essa sarà sempre corretta, in quanto può incorrere in errori: eppure è stata talvolta utilizzata dagli scienziati. Ad esempio, Darwin propose la sua teoria dell’evoluzione per selezione naturale come la migliore spiegazione possibile per la scoperta di fossili di creature viventi non più esistenti ma che presentano somiglianze con altre creature che attualmente popolano la terra.

L’ipotesi oggi più accettata, sebbene non esente da critiche, è che la scienza proceda attraverso il modello nomologico-deduttivo proposto da Hempel e Oppenheim. Si tratta di un modello che permette di sottomettere un fenomeno da spiegare (explanandum) ad una legge di natura (explanans): dalla legge generale, unita all’osservazione del fenomeno, si inferisce la spiegazione del fenomeno stesso. Si tratta dunque di un procedimento deduttivo, in quanto, se la spiegazione è corretta, l’explanans implica l’explanandum. Ad esempio, la legge di gravitazione universale, unita all’osservazione della caduta di un sasso, fornisce la spiegazione di tale fenomeno.

Tutti questi tipi di ragionamento sono stati sottoposti a vaglio critico allorché sono stati proposti come metodi propri della conoscenza scientifica. La critica di Popper al procedere per induzione della scienza è strettamente legata alla sua critica al neopositivismo logico. Sviluppatosi in Europa fra le due guerre per opporsi al fiorire di sistemi dogmatici post-kantiani (pensiamo alla filosofia di Hegel), esso è portato avanti dagli esponenti del circolo di Vienna. Rudolf Carnap, Moritz Schlik e Otto Neurath ne sono i fondatori e principali esponenti. Al fine di far prevalere la ragione sull’oscurità e la logica sull’intuizione, essi propongono un metodo conoscitivo basato sulla teoria della verificabilità: in base ad essa, è sensato solo ciò che è verificabile attraverso l’osservazione diretta. L’osservazione è dunque la fonte di tutte le verità. Questo è un metodo sicuro per distinguere la scienza da ciò che non è scienza: le verità scientifiche sono quelle passibili di essere verificate. Questa affermazione implica anche l’idea che tutto ciò che non è verificabile, e dunque non è scientifico, è insensato. Ciò porta a tacciare di insensatezza tutti gli ambiti della filosofia al di fuori della filosofia della scienza e a ridurre l’indagine filosofica ad un’analisi linguistica del significato degli enunciati e della loro possibile verificabilità.

La verificabilità pone tuttavia dei problemi allorché si tratta di fenomeni che non sono osservabili ad occhio nudo ma, ad esempio, attraverso un microscopio o un telescopio. Un altro problema è l’olismo della conoscenza: allorché lo scienziato fa un esperimento, è tutto il suo bagaglio di conoscenze sulla natura e sugli strumenti di misurazione che è messo alla prova e se l’esperimento si rivela falso non è sempre facile stabilire quale ipotesi fosse sbagliata. Questi e altri problemi filosofici – uniti al fatto che molti degli appartenenti al circolo di Vienna erano ebrei e furono dunque dispersi o uccisi sotto il nazismo – portarono al tramonto del Circolo di Vienna all’inizio degli anni ’60.

Bisogna comunque inserire la storia del tacchino e la critica di Popper all’induzione nel quadro storico della proliferazione del neopositivismo logico: nemico acerrimo delle tesi del circolo di Vienna, Popper propone come criterio di scientificità il criterio della falsificabilità. In base ad esso, un enunciato è scientifico se è sottoponibile a tentativi di falsificarlo ed è vero finché non viene falsificato. Pertanto, l’enunciato “Tutti i cigni sono bianchi” è un enunciato scientifico, poiché è possibile andare alla ricerca di un cigno nero. Anche il falsificazionismo di Popper non è tuttavia esente da problemi: nella pratica scientifica reale, uno scienziato non abbandona una teoria non appena si rivela falsa ma cerca di formulare delle ipotesi per renderla compatibile con la realtà. Un celebre esempio è la scoperta del pianeta Nettuno: la sua esistenza fu ipotizzata prima della sua osservazione per spiegare alcune perturbazioni dell’orbita di Urano che rischiavano altrimenti di mettere in questione la validità della legge di Newton. Inoltre, anche per Popper, l’obiettivo è tracciare una linea di demarcazione tra la scienza e la non scienza, obiettivo che rischia di cadere nell’errore neopositivista di considerare sensate solo le verità della scienza.

La scienza è, in effetti, uno dei modi di conoscere il mondo: questo non ci autorizza però ad affermare che esso sia l’unico in grado di stabilire la verità su di esso e che tutto ciò che non è scientifico sia insensato. La filosofia ha molto da dire in proposito.

Indicazioni bibliografiche: per un’introduzione alla filosofia della scienza si consiglia S. Okasha, Il mio primo libro di filosofia della scienza, Einaudi, Torino, trad.it. 2006 (ed. or. Philosophy of Science: A Very Short Introduction, Oxford, UK: Oxford University Press, 2002). Per chi volesse approfondire si consiglia (in inglese): P. Godfrey-Smith Theory and Reality: An Introduction to the Philosophy of Science. University of Chicago Press, 2003.

La UAAR contro le scuole private, ma i numeri parlano chiaro

Nella diatriba sulle scuole paritarie è intervenuta anche l’Associazione degli atei e degli agnostici razionalisti, che hanno diramato un dispaccio per prendere posizione, in occasione dell’imminente Referendum di Bologna, contro «gli ingenti contributi alla scuola privata dell’infanzia» da parte del Comune. E fa niente se «gli ingenti contributi» in questione, destinati a 27 asili su 127, sono solo il 2,9 per cento del totale stanziato dall’amministrazione per le scuole dell’infanzia, poco più di un milione di euro sugli oltre 37 milioni complessivamente spesi.

NUMERI. Sono 103, e non 423 (tanti erano a settembre), i bambini che attualmente si trovano in lista d’attesa per un posto all’asilo. Quelli dell’Uaar, però,preferiscono un altra posizione, parlando di bambini «senza una scuola dell’infanzia pubblica disposta ad accoglierli», dimenticandosi, tra l’altro, di dire che, a Bologna, i posti liberi sono 179 (29 negli asili statali, 55 in quelli comunali paritari e 95 in quelli privati paritari).

Con il milione di euro destinato alle scuole paritarie, continua l’Uaar, si«potrebbero ottenere tra i 150 e i 200 posti alla scuola pubblica statale e comunale» in più. Vero. Così facendo si precluderebbe la possibilità a 1.580 famiglie che hanno scelto la scuola paritaria, grazie all’esistenza della convenzione, di mandare i loro figli nelle scuole che desiderano pagando rette agevolate. Ma questi bambini all’Uaar non li contano.


Per evitare facili strumentalizzazioni della vicenda, il Comune di Bologna ha predisposto un’agile guida che spiega a tutti come si compone il modello pubblico integrato degli asili in città. E che fa vedere come e dove si generano i risparmi per la collettività e la maggiore efficienza del servizio.Virginio Merola, il sindaco di Bologna, ha anche scritto una lettera aperta alle famiglie per spiegare loro l’importanza dell’esistenza della convenzione con le scuole d’infanzia private paritarie in città.

Intanto per il referendum si annuncia sfida al limite, con l'associazione Articolo33 che si schiera contro tali finanziamenti, mentre la "ReferendumvotaB" che è a favore.


La sinistra è spaccata, mentre il centro e il centro-destra si sono schierati a favore dei finanziamenti. Contro,invece, Sel e Mov5stelle.

PD-PDL: 3 miliardi di differenza

Silvio Berlusconi condannato in secondo grado nell'ambito del cosiddetto processo Mediaset a quattro anni più 5 anni di interdizione dai pubblici uffici: la notizia, oramai già un po' datata, ha avuto un eco mediatico da fare invidia al povero Letta, relegato sempre alla seconda pagina nonostante l'importanza e la delicatezza del ruolo che svolge. La vicenda è difatti di pubblico dominio, tanto quanto le cifre: la frode fiscale di cui è accusato il Cavaliere avrebbe consentito al suo gruppo di risparmiare la bellezza di 7 milioni di euro.
Si tratta di una cifra che fa venire i brividi a tutti i comuni mortali, soprattutto in un periodo di crisi finanziaria come quello odierno, che tuttavia assume proporzioni ridicole se posta di fronte ad un'altra cifra con cui dovrebbe farei conti la nostra politica, ovvero i 3 miliardi di cui dovrebbe rispondere la Monte dei Paschi di Siena e, conseguentemente, il Partito Democratico. La risonanza mediatica dei processi del Cavaliere è anch'essa di proporzione ben diversa da quella riservata al processo che dovrebbe far luce su quello che alle ultime elezioni risulta il primo partito del Paese. Ci si potrebbe allora chiedere se tali processi non abbiano un secondo fine, se non assumano forse proporzioni diverse a seconda del soggetto politico coinvolto: si ascolterebbero forse con maggiore interesse i milioni di persone che parlano di accanimento da parte dei magistrati nei confronti dell'ex-premier, considerando oggettivamente la realtà dei fatti.
Bersani ha salomonicamente risposto ad ogni accusa ricordando che "il PD fa il PD e la MPS la MPS": una tautologia alla quale nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare se non fosse per un certo D'Alema, che ha affermato che "noi, e per noi intendo il Pd di Siena nella persona dell'ex sindaco Franco Ceccuzzi, Mussari lo abbiamo cambiato un anno fa, assieme a tutto il consiglio d'amministrazione del Monte dei Paschi". Forse Bersani si è dimenticato che D'Alema è compagno di partito nel PD, lo è stato nel DS, nel PDS e nel PCI? Se poi il comitato d'indirizzo della banca vede fra i suoi 16 componenti ben 14 nominati da Comune di Siena, Provincia di Siena e Regione Toscana, tutte e tre democratiche, Bersani farebbe meglio a non trincerarsi dietro ad un imbarazzante muro di silenzio.
Come mai nessuno parla degli oltre 600 000 € incredibilmente donati dall'avv.Mussari alle casse del Partito Democratico e tutti si scandalizzano se Berlusconi ha donato alcune decine di migliaia di euro a Ruby? Come mai nessuno si interroga sul perchè Monte dei Paschi trovasse sempre decine di migliaia di euro per finanziare la festa democratica nonostante fosse quasi in rosso, ma tutti hanno da ridire sulle cene del Cavaliere? 
E se di domande inquietanti ne sovvengono così tante a comuni mortali del tutto estranei tanto alle sfere della finanza bancaria quanto a tribunali e processi, non osiamo immaginare quanti scheletri nell'armadio democratico potrebbe tirare fuori un'indagine quantomeno degna di questo nome. E tale indagine, se è in corso di svolgimento, sicuramente non è autorizzata a campeggiare sulle prime pagine dei giornali, che nulla potrebbe distogliere dai processi di Berlusconi. Se invece la presenza nei media è direttamente proporzionale alla sua profondità, ci conferma purtroppo la triste opinione comunemente diffusa sulla nostra giustizia, un'opinione che non aspetta altro che un'occasione per essere smentita ma che, ora come ora, rimane ben lungi dall'essere sconfessata.
E se le centinaia di migliaia di intercettazioni autorizzate negli ambiti dei vari processi Ruby, diritti Mediaset, ecc., fossero state eseguite anche per il processo MPS, forse sapremmo qualcosa; come potremmo sapere qualcosa in più se la giustizia italiana non dilapidasse risorse umane ed economiche in processi, appelli e ricorsi per presunti reati senza vittime (vedasi la concussione senza "concussi" del processo Ruby...), senza interrogarsi nemmeno su che cosa sia più importante per noi italiani, se conoscere i dettagli delle cene private di Berlusconi o la fine di 3 miliardi dei loro risparmi.

Papa Francesco “de sinistra”? Messori: «Deformazione propagandistica»


Papa Bergoglio “progressista”? Solo una certa lettura distorta ha potuto presentare il papa come un campione del progressismo militante, addirittura antigerarchico. Quasi un antipapa più che un papa. Oggi sul Corriere della Sera, Vittorio Messori fa il punto dopo più di due mesi dall’elezione al pontificato di Jorge Bergoglio. E scrive: «Appare sempre più giustificato un sorriso ironico. Quello col quale chi conosce la storia del cattolicesimo ha osservato il clima da “luna di miele” da parte di ambienti abitualmente ostili o almeno diffidenti nei riguardi della Chiesa romana. Anticlericali ben noti si sono detti commossi per il semplice “buonasera” nella prima apparizione a Conclave terminato, per il “buon pranzo” all’Angelus domenicale, per le scarpe da parroco di montagna, per la croce argentata invece di quella in oro, per il ricordo particolare inviato ai poveri, per la decisione di restare nella camera d’albergo».

«PAPISTI E REAZIONARI». Non una sincera ammirazione per papa Francesco, quanto una lettura distorta, con inni alla “svolta” della Chiesa dopo gli anni bui di papa Ratzinger. «Si inneggiava a un papa finalmente “de sinistra”, per dirla alla romanesca», scrive Messori.
In realtà, basterebbe conoscere un po’ della storia della Chiesa per sapere che non è così. Messori cita esempi di sacerdoti impegnati nel sociale (e ovviamente bollati ai loro tempi dai progressisti come «papisti e reazionari») come Cottolengo, Bosco, Murialdo, Faà di Bruno, Cafasso, Allamano, Orione, e solo «per restringerci al Piemonte». Perché, in realtà, tutta la storia d’Italia e della Chiesa è segnata da figure come queste, «protagonisti dell’aiuto sociale dato senza risparmio, anche a costo della vita. Diversi per origine, per storia, per carisma ma uniti, tutti, dall’obbedienza rigorosa alla fede e alla morale così come predicate dalla Chiesa».
Figure di santi che stanno in mezzo e aiutano quei poveri tanto disprezzati dai «governi liberali, spesso ispirati dalla massoneria». «Ebbene – scrive Messori -, papa Francesco è tra gli eredi di questa lunga e ammirevole tradizione di cattolicesimo detto sociale. Per una serie di equivoci e di deformazioni propagandistiche, si è imposto e vige ancora uno schematismo, secondo il quale l’impegno per gli ultimi si accompagnerebbe necessariamente a una prospettiva sedicente “progressista”. E, nel caso cattolico, ”contestatrice”, eterodossa, polemica verso dogmi e gerarchie».
Tutto il contrario della verità e della storia. E questo vale ancor più per l’attuale pontefice, come ricorda giustamente messoti che ricorda che Bergoglio è polemico con «i suoi stessi confratelli gesuiti attirati dalle ideologie della Teologia della liberazione, ispirata al marx-leninismo. La sua azione tra gli emarginati argentini era guidata, come per tanti santi, dalla carità evangelica, non aveva bisogno di contestare Chiesa e Papi, di proporre nuove teologie e nuove morali per mettere in pratica l’esortazione di Gesù a farsi povero tra i poveri».

LA MADONNA E SAN FRANCESCO. Un papa, che come questi esempi di beati e santi, è “mariano”, non dimenticando mai in ogni sua omelia di richiamare l’esempio della Madonna, in una maniera molto diversa dalle «prospettive cristiane “adulte” e ”aperte”» che rifiutano la devozione tradizionale alla Vergine, con santuari, pellegrinaggi, rosari. «Anche in questo, – scrive Messori – papa Francesco mostra la sua continuità con i fratelli nella fede che hanno scalato le vette della santità sporcandosi fino in fondo le mani nei bassifondi della società: tutti, senza eccezione, sono stati ardenti fautori di quella che sempre e solo hanno chiamato “la Madonna”».
Da ultimo, Messori riflette anche sul nome scelto da papa Bergoglio. La caratteristica del santo di Assisi era «l’obbedienza docile alla Gerarchia, la venerazione per il papato, l’orrore per l’eresia. L’uomo di Assisi fu un cattolico obbediente, non un rivoltoso o anche solo un critico della Chiesa istituzionale».
da tempi.it

Regola 7: la durata della gara

Periodi di giocoLa gara si compone di due periodi di gioco di 45 minuti ciascuno, a meno che una diversa durata sia stata convenuta di comune accordo tra l’arbitro e le due squadre.

Ogni accordo relativo ad una variazione della durata della gara (per esempio una riduzione di ciascun periodo a 40 minuti per via di una visibilità insufficiente) deve essere obbligatoriamente stabilito prima dell’inizio della gara ed essere conforme con il regolamento della competizione.

Intervallo di metà garaI calciatori hanno diritto ad un intervallo tra i due periodi di gioco. La durata dell’intervallo non deve superare i 15 minuti. Il regolamento della competizione deve definire la durata dell’intervallo tra i due periodi di gioco.

La durata dell’intervallo può essere modificata solo con il consenso dell’arbitro.

Recupero delle perdite di tempo per le interruzioni di gioco

Ciascun periodo di gioco deve essere prolungato per recuperare tutto il tempo perduto per:

• le sostituzioni;
• l’accertamento degli infortuni dei calciatori;
• il trasporto dei calciatori infortunati fuori dal terreno di gioco per le cure del caso;
• le manovre tendenti a perdere tempo;
• ogni altra causa.

La durata del recupero è a discrezione dell’arbitro.

La balena bianca è veramente bianca? Il falso mito del relativismo

C’è un modo in cui le cose sono indipendentemente da noi e dal nostro modo di conoscerle? Detto altrimenti, esiste una realtà indipendente dal nostro modo di esperirla, conoscerla e parlare di essa? Sebbene possa sembrare una domanda dalla risposta ovvia, persino banale, non lo è affatto: essa occupa una parte importante nel dibattito filosofico sul realismo.

Un realista afferma che c’è un modo in cui la realtà è, un modo, cioè, che è indipendente dal pensiero dell’uomo su di essa: ciò significa sostenere che il tavolo che ho di fronte resta un tavolo anche quando io ho gli occhi chiusi e non lo vedo, oppure anche quando non viene usato per poggiarvi qualche cosa. O, come altro esempio, che la balena bianca resterebbe una balena bianca anche se non vi fosse nessuno ad attestarlo.

Fin qui, sembrerà di non aver detto nulla di strano: l’idea di una realtà indipendente da noi fa parte del nostro senso comune ed è abbastanza radicata e intuitiva. Ad esempio, se io di notte vado a sbattere sul tavolo, che non vedo, mi faccio male e non penserò certo a negarne la realtà.

Sostenere una posizione realista significa dunque affermare che c’è una realtà intrinseca delle cose e che nel nostro agire (dalle nostre azioni quotidiane fino alla scienza) ci troviamo di fronte ad un “nocciolo duro” della realtà che è immutabile e di fronte al quale tocca a noi adattarsi. Significa sostenere, anche, che siamo in grado di conoscere e descrivere questa realtà.

In filosofia, il realismo può avere diverse sfaccettature, e può essere difeso da un punto di vista metafisico, etico, di filosofia della scienza e così via.

Eppure esiste anche una posizione antirealista, per la quale la realtà è tale solo perché viene da noi esperita e conosciuta. L’antirealismo può essere epistemico o ontologico.

Per un antirealista epistemico, probabilmente esiste una realtà delle cose indipendente da noi, realtà che ci è però inaccessibile: è impossibile e vano, dunque, tentare di studiarla e descriverla, o addirittura parlarne.

Per un antirealista ontologico, invece, non c’è alcuna realtà indipendente dalla mente umana: è conoscendo che l’uomo “costruisce” la realtà. La realtà esterna all’uomo non esiste: viene a “esistere” solo allorché l’uomo la conosce, ne parla e la utilizza. È laddove l’uomo lo misura, lo utilizza e lo chiama “tavolo” che un tavolo diventa tale. Si tratta di un’idea che – sebbene controintuiva – ha, in filosofia, degli illustri antenati: primo fra tutti, Kant e l’idealismo tedesco.

La difesa dell’antirealismo passa spesso per la difesa del relativismo: si tratta dell’idea che, non essendoci una verità delle cose, ciò che affermiamo sulla realtà dipende dai punti di vista, ma non ci sarà mai un punto di vista più vero dell’altro. Questo proprio perché, alla base delle nostre affermazioni, non c’è alcuna realtà che possa provare la maggiore fondatezza di una piuttosto che dell’altra. Io posso vedere la balena bianca e tu nera, ma nessuno di noi avrà ragione e nessuno torto: non esiste una bianchezza della balena.

Non dobbiamo pensare che il relativismo sia un’idea moderna: già Protagora, nel 400 a. C., diceva che«l’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono». Il che riassume abbastanza bene la tesi relativistica. In tempi moderni, questa tesi è stata difesa col termine di “pensiero debole”.

Il relativismo sembra essere molto alla moda, giustificato dalla (falsa) convinzione che esso sia più tollerante: è più tollerante, si dice, pensare che non vi sia una realtà e una verità su di essa uguale per tutti, perché ci permette di accettare anche idee molto diverse dalle nostre come ugualmente valide. Nessuno ha torto e nessuno ha ragione, e ciò ci pare molto democratico.

A ben guardare, non c’è niente di più intollerante del relativismo: perché se non c’è una realtà delle cose, la posizione adottata dalla maggioranza sarà considerata vera. Se non c’è un criterio di scelta per stabilire la verità, essa rischia di fondarsi sulla forza: i più forti, quelli in grado di proporre le loro idee con più convinzione, saranno capaci di imporsi, a discapito di chi non la pensa come loro. Per non esser costretto ad “adattarsi” ad una realtà che è indipendente da lui, il relativista accetta di “adattarsi” ad una verità che è divenuta l’opinione della maggioranza.

E, invece, non c’è niente di più tollerante della verità: sostenere che la verità è adequatio rei et intellectus – adeguamento dell’intelletto alle cose – significa anche affermare che tutti possono giungervi. L’intelletto umano è fatto per giungere alla verità delle cose. E poco importa se essa non sarà sostenuta dalla maggioranza: essa sarà pur sempre la verità.

Ma per fare ciò, bisogna accettare l’idea che ci sia una realtà indipendente dalla mente umana, una realtà con cui la mente possa confrontarsi. Bisogna concedere che ci sia un modo in cui le cose stanno indipendentemente da noi. Occorre ammettere, cioè, che esista una bianchezza della balena.

E lasciamoli sposare, che male c'è?

Sono giorni caldi questi in Europa, soprattutto in Francia, dove da poco è passata una legge molto dibattuta, quella sui matrimoni omossessuali. Le associazioni gay, di cui abbiamo parlato anche la scorsa settimana, hanno esultato, ma hanno anche rivolto critiche nei confronti della Manif pour tous, un'associazione a-confessionale, e a cui sono iscritti molti omossessuali, che manifesta pacificamente contro questa legge. Le associazioni rivolgono questa domanda:perché ci si accanisce contro? Intanto si potrebbe obbiettare che non è accanimento, ma semplice e genuina protesta, che in molti casi viene impedita.
Però è necessario fornire alcune risposte, partendo da questa proposta astrusa che farebbe cambiare i nomi dei genitori da madre e padre, per un semplice "parenti", e questo influirebbe anche sugli etero, perché vengono messe in discussione le fondamenta dell'identità umana, ed è scientificamente dimostrato.
Poi possiamo dire che c’è un’evidente e naturale diseguaglianza fra la coppia formata da un uomo e una donna e quella di due uomini o di due donne, e questo non per sterili polemiche, ma per un ragionamento semplice, che parte dalla sola capacità che hanno uomo e donna di generare vita, in maniera naturale.
Altre considerazioni interessanti:
  1. la famiglia è l’unità fondante della società
  2. il cuore della famiglia è costituito dall’unione fra uomo e donna, come già detto.
  3. il matrimonio costituisce l’ambiente ideale, irreplicabile per far crescere I figli.

"Figli cresciuti da divorziati, da single, da parenti, da coppie dello stesso sesso: tutte mancano di qualcosa di essenziale per una crescita serena. Le caratteristiche del matrimonio non sono costruzioni sociali o imposte dalla legge. Esse sono intrinseche alla natura del matrimonio. Lo stato ha il mandato di regolare il matrimonio, non certo di alterarlo.
Abbandonare il concetto di complementarietà coniugale nel matrimonio comporta inoltre che non c’è più motivo per contrastare ulteriori richieste per estenderlo ad altre categorie: rapporti fra parenti, bigamie, poligamie."(da Catholic Voices)

Altre opposizioni vengono poste sulla questione delle discriminazioni, secondo cui uno stato che permette tutti i matrimoni, è uno stato dove regnano le pari opportunità. Anche qui si possono fornire argomentazioni, citando in successione alcune fonti:"Le norme paritarie e la filiazione naturale –universale- della famiglia favoriscono la coesione sociale e intergenerazionale. Noi non ignoriamo le problematiche specifiche delle persone omosessuali. Certe disposizioni legali permettono già di tenerle in conto (i PACS). Esse possono venir migliorate senza sconvolgere il matrimonio civile basato sulla complementarietà uomo/donna e la filiazione naturale.

"Noi abbiamo la responsabilità storica di preservare la nostra civiltà"
(Manifpourtous)

"Fabrice Hadjadj: Noi non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politica, letteraria, nella compassione?"

Infine, le adozioni. Qui si è di fronte ad una richiesta ben più alta dei matrimoni, che presenta forti contrasti anche tra gay.Con la possibilità di adozione da parte di due uomini o due donne, dei bambini saranno considerarti dalla legge come nati da due genitori dello stesso sesso, quindi privati del padre o della madre. Sarà loro vietato accedere a una metà della loro origine.

Queste le risposte, purtroppo però risulta sempre difficile argomentare dibattiti seri e documentati, senza scendere in polemica, perchè dall'altra parte le accuse son sempre le stesse:omofobia e discriminazione.

Scrivere per scrivere

“Ho scoperto che il fatto di non poter tenere in mano una penna o una matita è tanto frustrante quanto lo sarebbe per una gallina essere priva del becco”.

Il pennino scricchiolava sulla carta, il lume emanava un tremolo bagliore e lottava col buio della camera. La mano sudata per la tensione seminava il bianco prato del foglio con un’incerta e tremolante grafia. Il professor Tolkien si sporgeva curvo sopra la scrivania. Ormai anziano, aveva perso per qualche tempo l’uso della mano destra; l’avrebbe certamente riottenuto, nel giro di qualche mese: ma lasciar passare tutto quel tempo senza potersi dedicare alla consolante pratica dello scrivere sarebbe stato insostenibile per lui. Con irreprensibile forza di volontà spinse la mano sinistra a riprodurre quantomeno un abbozzo di scrittura, nonostante fosse rimasta sopita per ottant’anni e mai avrebbe pensato, dopo tanto tempo, di essere incaricata a svolgere tale ufficio. Ma come lo stesso professore affermava, “l’animo è forte, anche se il corpo è debole”. L’astensione dalla scrittura equivaleva, per lui, a quella da una funzione biologica,vitale ed essenziale.

Solo un esempio, tra i più recenti, ma molti altri sarebbero da elencare, in cui il palpito del cuore batté all’ unisono col procedere ondivago della penna sulla carta, o – per i più vicini nel tempo – in sincronia con l’alterno zampettare delle dita sulla tastiera del portatile. Ormai non si scrive più su pergamene solcate da pennini impollinati d’inchiostro (la tecnologia velocizza e facilita procedure di compilazione e di conservazione dei testi); inalterata però la necessità che spinge a farlo: quel bisogno irresistibile di esternare su carta i propri sentimenti, rendendoli, si potrebbe dire, indipendenti, autonomi. Lo straboccare della propria interiorità; frasi scaturite da una personale, e a volte tormentata, riflessione, da un assiduo contatto con la vita, avidamente sbranata, giorno per giorno, brandello per brandello, nel mezzo della strada tra la gente, come nei libri (che della vita, d’altronde, rappresentano un ampio specchio: consentendo di estendere all’infinito le esperienze possibili, nel tacito, ma fecondo, intimo scambio di idee con autori del passato e del presente). Sono solo alcuni, pochi nella massa, coloro i cui scritti trasmettono Vita, esperienza vissuta. In caso contrario, va da sé che le frasi appaiano vuote, trasparenti e trascurabili, incapaci di scuotere il lettore; e passino come l’acqua sui ciottoli: perché non servono. Perché, che senso avrebbe la letteratura se non aiutasse a vivere? “Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità di interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente”

A volte si scrive per gioco.

O, almeno, con tono leggero e sornione, senza che il sentimento dell’autore sia partecipe di particolari sofferenze. Si scrive per diletto, osservando la realtà con un ghigno distaccato. Se Orazio affermava “che cosa vieta di dire la verità ridendo?”, perché non continuare a farlo? Se l’intento non si limita ad un richiamo autoreferenziale, ad un gusto per la critica in sé stessa, ma si esplica in un sincero proposito di miglioramento della società, perché non provarci?

A volte fa male.

Alcuni autori chiosavano l’arte dello scrivere con l’immagine di una lotta, incruenta ma non per questo pacifica, tra lo scrittore e “la pagina vuota che la sua bianchezza difende”, come recita un verso di Mallarmè. L’animo sfrega sulle scabrosità del foglio lasciando su di esso consistenti brandelli. Sono autori tormentati: li si è soliti chiamare “tristi”, o “complessati”, relegandoli con noncuranza in quella fetta d’umanità costituita da coloro che non possono essere capiti, tutt’al più compatiti; “Perché hanno vissuto un’esistenza difficile e terribile!…”, si è soliti giustificare con sufficienza. “… Ecco spiegato perché scrivevano queste cose!”. Come se tali autori fossero stati gli unici a trovarsi faccia faccia con quel mistero che è il dolore. Quanti potenziali Leopardi saranno vissuti in tutta la storia? Deformi, privi dell’affetto dei genitori, isolati… eppure solo Giacomo riuscì a trasfigurare quest’ agglomerato di dolore e sofferenza nei dolci versi del “Passero solitario”. La scrittura acquisì una funzione salvifica, capace di sciogliere la ghiacciata stalagmite che sarebbe stato il suo animo, se non avesse goduto del caldo conforto della penna: quella bacchetta magica a buon mercato, capace, scavando in profondità, di portare in superficie pepite di bellezza dal fango di dolore e malinconia che potrebbe risultare essere la vita. “Quella dolce malinconia che partorisce le belle cose, più dolce dell’allegria”

A volte è più forte della morte.

Il foglio gli si pone come scudo, una protezione immateriale, eppure più resistente del ferro temprato. La scrittura eterna il nome di un autore e ciò che con essa viene descritto, come un torcia che illumina irradiando bagliori di immortalità. Si dice che re Mida tramutasse in oro tutto ciò che toccasse. Ma questa è leggenda! Poeti e scrittori hanno un potere ben più grande: capaci di rendere eterno ciò di cui parlano (e questa è realtà!). Molti re presero parte alla guerra di Troia, ma solo alcuni si stanziarono definitivamente nell’immaginario collettivo, per generazioni e generazioni, sino alla fine dei tempi: solo quelli su cui indugiarono i ciechi occhi di Omero. Quante donne avranno rapito il cuore di un uomo, privandolo della pace e rendendolo inquieto? Innumerevoli. Ma solo gli occhi di Beatrice ebbero il fortunato privilegio di sciogliere il cuore di un Dante, il quale ha ricambiato prendendo in mano il nome di quella ragazza, altrimenti destinata all’anonimato, svincolandolo dal piano temporale, e adagiandolo in quella dimensione atemporale ed eterna propria della Letteratura (con la maiuscola).

E adesso può anche sciogliersi dal nostro volto quell’espressione di sufficienza, che si è soliti esibire di fronte ad una manifestazione di tracotanza, nell’ascoltare le parole di Orazio “Non omnis moriar!” (Non morirò del tutto).

A volte ti aiuta a morire in pace.

Boezio era un nobile romano, stimato funzionario a servizio dell’Imperatore Teodorico. La sua posizione sociale, più che rispettabile; la sua cultura e sapienza, invidiata e irraggiungibile ai più. Ma l’affermazione dei principi della sua fede cattolica lo rinchiuse tra le quattro mura di un carcere. Le fredde pareti sudavano gocce d’umido e fungevano da impermeabile, impenetrabile barriera al mondo esterno. L’esecuzione della condanna sarebbe stata imminente. Chi poteva recargli un qualche conforto, se non la scrittura? In una burrasca di dolore e sofferenza, la penna e il foglio si presentano come un relitto cui appigliarsi. Scrive, mischiando le lacrime all’inchiostro, e il risultato è uno dei libri più celebri della nostra letteratura occidentale, “La consolazione della filosofia”. Morire non fu così doloroso, per lui.

Si giunge al paradosso: un condannato a morte consolerà, col suo scritto, un incalcolabile numero di persone nei secoli a seguire.

A volte non puoi proprio farne a meno.

Francesco Petrarca è ospite in casa di un amico. Questo, alzatosi a tarda notte, sorprende il suo invitato in veglia, intento a scrivere a lume di candela, ostinatamente indifferente al sonno arretrato reclamato dalle sue profonde occhiaie. Non ci pensa due volte. Il giorno seguente, in cambio del favore dell’ospitalità, strappa la promessa di poter chiedere qualsiasi dono volesse. E la richiesta è apparentemente piccola: la chiave del baule di Petrarca. In esso, vengono riposti tutti gli utensili di scrittura utilizzati dal poeta, al quale viene intimato, per il suo bene, di prendersi una lunga pausa da questo tipo di occupazione, a fine di salvaguardare la propria salute. Ma il giorno seguente, Francesco è preso da un forte mal di testa; poi, dolori sempre più intensi. Alla seconda notte è già in balia dei brividi di febbre. Il padrone di casa osserva pensieroso e restituisce subito la chiave. Comprende, adesso, quanto corrispondessero alla realtà le parole dell’amico: “La carta, la penna l’inchiostro, le notturne veglie mi son più care del sonno e del riposo. Che più? Sempre io mi tormento e languisco quando non scrivo; così se sto in ozio mi stanco, se lavoro mi riposo. Questo mio cuore duro come pietra, quando tutto si volge alla carta, quando ha stancato la mani e gli occhi, allora non soffre più né il freddo né il caldo, allora si sente come avvolto in morbida coltre, e teme di esserne tratto fuori” 

Molti secoli separano Francesco Petrarca da J.R.R. Tolkien. Diverso il paese, la cultura, le abitudini. Eppure, entrambi accomunati da quella insanabile, inguaribile voglia di scrivere. Una malattia vecchia come l’uomo.

La marcia per la vita: un fiume contro la 194


Un fiume di gente ieri è partito dal Colosseo imboccando via dei Fori imperiali per raggiungere Castel sant’Angelo e poi Piazza S. Pietro, in occasione della III Marcia nazionale per la vita. Le forze dell’ordine hanno stimato la presenza di 30mila persone. Tante le famiglie, i bambini e i giovani. “La grande mobilitazione pro-life - sottolineano i promotori - si rivela ancora occasione di grande festa per la vita e di lotta contro l’ingiusta legge 194”.

Diversi parlamentari, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il Cardinale Raymond Leo Burke erano presenti, ieri a Roma, tra i 40mila manifestanti che hanno preso parte alla Marcia per la Vita, sfilata di esponenti del movimento pro-life giunti da tutto il mondo. I partecipanti sono stati iri salutati dal Papa al 'Regina Caelì, un gesto che "rappresenta -sottolineano i promotori dell'evento- il più alto riconoscimento per l'iniziativa e la conferma della sensibilità del Pontefice ai principi non negoziabili, a cominciare dal diritto alla vita".

La Marcia per la Vita è iniziata al Colosseo con i saluti dei numerosi rappresentanti di movimenti pro-life giunti da tutto il mondo, "tra i quali Jeanne Monahan, presidente della March for Life di Washington, Lila Rose, considerata dall'organizzazione abortista Planned Parenthood come la nemica numero uno, Geoffrey Strickland, di Priest for Life, Xavier Dor, medico condannato 15 volte in Francia per aver lottato contro l'aborto, Blondine Serieyx, rappresentante della Manif pour tous francese, Antony Burkhard, rappresentante di Droit de naitre, altra associazione francese impegnata nella difesa della vita e Federica Iannace Swift, dell'irlandese Youth Defence".

"La nostra Marcia è quella di un popolo della vita che, difendendo la vita, vuole infondere nuova vita in una società che si decompone e muore", ha detto Virginia Coda Nunziante, portavoce dell'evento, nel suo discorso di apertura. "Ha parlato anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha denunciato -si legge in una nota- la "strage degli innocenti" che si consuma con l'aborto. Il primo cittadino ha seguito il corteo fino a Piazza Venezia. Ha percorso invece tutto il tragitto della Marcia, dal Colosseo a Castel Sant'Angelo il card. Raymond Leo Burke, il quale, nell'adorazione eucaristica tenutasi alla vigilia, ha definito la manifestazione
'espressione di fede cattolica e atto di servizio alla società in cui viviamo e al suo bene comunè".

La Marcia si è svolta "in un clima pacifico e festoso, in un tripudio di bandiere, di slogan e di cartelli grandi e
piccoli inneggianti alla vita e contro la legislazione abortista vigente in Italia e altri Paesi del mondo. Tantissimi i giovani e le famiglie con bambini, a testimoniare che non di battaglia di retroguardia si tratta, ma di lotta per un avvenire e una società più giusti".

Folto il numero dei religiosi presenti, tra i quali l'Istituto del Verbo Incarnato, i Francescani dell'Immacolata e gli Orionini, questi ultimi guidati dal loro superiore generale don Flavio Peloso. Hanno partecipato alla Marcia, "rigorosamente apartitica e senza slogan e simboli politici", diversi parlamentari, tra cui Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni, Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella, Carlo Giovanardi, Stefano De Lillo, Carlo Casini e Paola Binetti. La manifestazione si è conclusa in piazza san Pietro, dove il Papa, che già aveva salutato la Marcia per la Vita nel suo Regina Coeli, è sceso tra la folla incontrando i partecipanti.​
da Avvenire.it

Regola 6: gli Assistenti dell'Arbitro


Doveri
Possono essere designati due assistenti, i cui compiti, soggetti alla decisione dell’arbitro, sono di segnalare:
• quando il pallone è uscito interamente dal terreno di gioco;
• a quale squadra spetta la rimessa dalla linea laterale, il calcio d’angolo o il calcio di rinvio;
• quando un calciatore può essere punito perché si trova in posizione di fuorigioco;
• quando viene richiesta una sostituzione;
• quando una scorrettezza o altri incidenti avvengono al di fuori del campo visivo dell’arbitro;
• quando delle infrazioni vengono commesse se gli assistenti dell’arbitro hanno una migliore visuale rispetto all’arbitro (comprese, in alcune circostanze, le infrazioni commesse nell’area di rigore);
• se, nell’esecuzione del calcio di rigore, il portiere si muove dalla linea di porta prima che il pallone sia stato calciato e se il pallone ha superato la linea di porta.

Collaborazione
Gli assistenti coadiuvano l’arbitro anche nel controllo della gara in conformità con le Regole del Gioco. In particolare, essi possono entrare sul terreno di gioco per verificare la distanza di m. 9,15.
In caso di ingerenza o di comportamento improprio, l’arbitro dispenserà l’assistente dai suoi doveri e farà un rapporto all’autorità competente.

Bonino e Kyenge: due ministri senza un perchè

La foto di rito dei ministri donna con Letta e Napolitano: la Kyenge in blu sulla sinistra, la Bonino a destra in rosso.
Il Governo Letta è appena nato, si appresta ad affrontare - su consiglio della Merkel - 24 di "clausura" per fare "spogliatoio" in un'abazia toscana, ma, prima ancora di sentir parlare ogni singolo ministro e sottoministro per poter comprendere appieno le potenzialità e le intenzioni del governo, la formazione governativa già consente - ahinoi - di porci interrogativi sui quali è difficile fare chiarezza non solo su Letta e i suoi ministri, ma su tutto lo scenario politico che con questo governo si è voluto creare. A ben vedere questi interrogativi sono davvero molti, a partire dall'utilità di un ministero per le riforme istituzionali se poi si vuole istituire la tanto acclamata Convenzione (o sul ruolo di quest'ultima in presenza del suddetto ministero), o sulle capacità governative finora mai sfoggiate dall'olimpionica Josefa Idem, per non parlare poi della Presidenza della Camera dei Deputati assegnata imprudentemente all'opposizione. Ma su tutti sono due i nomi che suscitano stupore ed indignazione più di qualsiasi altro: si tratta di Emma Bonino e Cécile Kyenge, o meglio Kashetu Kyenge, come risulta all'anagrafe. Se sul nome del neo ministro all'integrazione sono piene le colonne dei giornali in questi giorni, mentre della radicale inquilina della Farnesina pesa un gravissimo silenzio, rotto solamente da ancor più vergognosi rari commenti encomiastici.
Kashetu Kyenge che manifesta per l'abrogazione del reato di clandestinità.
Giusto per doveredi cronaca vogliamo ricordare che la Bonino si trova alla Farnesina con gli stessi voti - in proporzione - che ha preso Mario Monti per la Presidenza della Repubblica: 2 su 1000. A noi profani della politica sfugge la logica di una tale decisione, ma non ci è invece sfuggito l'articolo del Corriere del 28 aprile scorso che cantava le lodi della Bonino, che "risulta nel giovanile nel governo di Enrico Letta uno dei nomi di fatto più intrisi di novità". Come faccia una 65enne in Parlamento da oltre 35 anni rimane anch'esso un mistero... Ciò di cui la stessa radicale non vuole invece fare mistero è il suo passato, fatto di 10 141 aborti nei dieci mesi compresi fra febbraio e dicembre 1975, effettuati con una pompa di bicicletta, come ha affermato lei stessa, ritenendolo "un buon motivo - per farsi quattro risate". Ma l'immagine della Bonino corrisponde, per le fonti di informazione come il Corriere, alla figura che si è voluta costruire con tante battaglie più o meno umanitarie che la vogliono far diventare una paladina della giustizia, quella stessa giustizia che lei stessa ha spesso violato e ancor più spesso ostentato di aver violato. E allora, se la Bonino è la nuova politica, poveri noi...
Sulla Kyenge il discorso è invece diverso: tralasciando il passato, ci limitiamo ad analizzare il presente e ci chiediamo: che cosa ci fa un medico oculista al ministero dell'integrazione? Ah, giusto, è nera - come ama definirsi lei -: quale ministero migliore dell'integrazione... Ma allora, caro Letta, se sono figlio di maestro da grande posso fare il ministro dell'istruzione?
Grasso ha risposto alla Kyenge: "Con lo ius soli invasione di partorienti".
Battute a parte il problema per la Kyenge non è - come detto - il passato, ma il futuro: come può essere tacciata di razzismo una dura critica alle sue idee di ius soli e di cittadinanza? Giornali e televisioni stanno sottolineando in continuazione la questione di un ministro di colore contestato da razzisti, neofascisti ed estremisti, ma la situazione è ben diversa. Le critiche sono piovute addirittura dal collega e compagno di partito Piero Grasso che, dall'alto della sua Presidenza del Senato, ha fatto notare che lo ius soli come lo intende la Kyenge, porterebbe chissà quante donne in Italia per partorire, registrare il figlio come italiano e regolarizzare così la propria situazione, facendo del parto un "condono" della propria irregolarità. E si provi a dire che Grasso è un leghista, o razzista, o fascista...
E se poi l'operazione-Kyenge vuole mantenere l'Italia al passo dei tempo, sia ben chiaro che questa argomentazione altro non è che uno specchietto per le allodole: il 79% degli irlandesi nel 2005 si sono espressi contrari alla cittadinanza per ius soli, il Regno Unito la ha abolita nel lonatno 1983, 160 dei 192 paesi del mondo non la contemplano fra le proprie leggi. Si tratta di un mondo xenofobo e retrogrado al quale l'Italia della Kyenge vuole finalmente porre fine donando con incredibile generosità qualcosa che non le appartiene nemmeno del tutto? Può essere, ma noi non  ci crediamo...

Il caso Biancofiore e la potenza delle lobby gay

Pochi giorni dopo il giuramento dei ministri del nuovo governo guidato da Enrico Letta, sono stati nominati anche i delegati e i sottosegretari. La bufera che si è sollevata per la nomina di Michaela Biancofiore è senza precedenti, ed ha dimostrato la potenza delle lobby gay, che, come riportato da "Il Giornale" sono molto più forti di quelle dei cattolici, qualora ve ne siano, è beninteso. A scatenare l'ira delle associazioni gay sono state delle dichiarazioni della Biancofiore, che ha affermato che "Le associazioni gay sono una casta che si autodiscrimina e che fa una discriminazione preventiva contro di me", E poi: «Gay discriminati? Se è per questo sono più discriminate le donne. Perché invece di fare queste sterili polemiche le associazioni gay non fanno comunicati sugli omicidi delle donne?». E ancora: «Impareranno a conoscermi e capiranno che sono assai diversa da come mi dipingono. E comunque sappiano tutti che non mi lascerò intimidire. Spiace davvero che questi attacchi siano arrivati dai campioni della tolleranza». le dichiarazioni erano proteste di questi gruppi dopo la sua nomina, e rivangavano altre dichiarazioni della deputata PDL, in cui asseriva che "Chi va con i trans ha seri problemi e purtroppo qualcuno nasce con una natura diversa, tra l’altro una natura che non ti fa avere una vita facile".Analizzando le dichiarazioni è chiaro che si tratta di frasi-volendo-anche pesanti, o comunque non politicamente corrette, ma la sinistra ci ha abituato a frasi irriverenti, anche in occasione della morte di Andreotti, proprio pochi giorni fa, e mai censurate proprio dai cosiddetti "tolleranti per eccellenza". Il problema non sono le proteste per le frasi, che sono-in un paese democratico è concesso, e per fortuna! -libere scelte di gruppi organizzati, ma il passo indietro di Letta, che porta ad una riflessione. Nonostante le proteste dei gruppi cattolici la Bonino(con lo 0.2% alle elezioni di febbraio) siede su una delle poltrone più importanti del consiglio dei ministri, mentre la donna scelta come sottosegretario alle pari opportunità(tra l'altro la Biancofiore si è sempre battuta contro il femminicidio) dopo poche ore non ha più la sediuola. e proprio con questo cattolicesimo adulto, stile Letta,o Renzi, che le lobby gay, potenti e radicate nei palazzi del potere, vincono e continuerranno a scegliere e a piazzare bene i loro rappresentanti o paladini. Poi però le stesse associazioni accusano di lobbysmo la Chiesa Cattolica.

Il giro parla italiano


Più che il Giro d’Italia è il Giro degli italiani. Almeno per ora, perché da sabato con la crono, da Gabicce Mare a Saltara e subito dopo con le salite, non saranno tanti gli azzurri a mostrare spavaldi i loro quadricipiti. Intanto, conviene godersi questa inaspettata abbondanza, incrementata dal veneto Enrico Battaglin, sul traguardo di Serra San Bruno, un corridore veneto concittadino ma non parente di Giovanni, il vincitore del Giro del 1981.

I nostri corridori hanno vinto due tappe su tre (l’altra era una cronosquadre) e sono in testa a tutte le classifiche: maglia rosa e rossa (punti) a Luca Paolini, Giovanni Visconti è in maglia azzurra (montagna) e Fabio Aru indossa la casacca bianca di miglior giovane. Certo, ci sarà anche il pignolo che farà notare che nessuno dei tre corre per una squadra italiana, ma di questi tempi bisogna sapersi accontentare. C’è la crisi, non solo economica, e appena un paio di settimane fa avevamo tutti gli indici puntati per la disastrosa trasferta tricolore alle classiche del nord, finita con un misero quinto posto – di Scarponi alla Liegi – come miglior risultato.

L’Italia batte un colpo di pedale con il suo passato e il suo futuro. Il 36enne Paolini è in maglia rosa, mentre Danilo Di Luca, che di anni ne ha 37, è stato ripreso a soli 300 metri dal traguardo dopo un’azione prepotente e coraggiosa. E anche incredibile se si pensa che è stata realizzata alla sesta gara e a soli 11 giorni dal debutto stagionale. Un Giro d’Italia si prepara con decine di gare nelle gambe, per abituare i muscoli alla fatica disumana di tre settimane di corsa, anche se non si punta alla classifica generale ma solo ad arrivare al traguardo.

Accanto ai “vecchi” si affacciano i giovanissimi, quei ragazzi dal volto fresco, non ancora consumato dalla fatica di ore quotidiane in bici. Quei giovani che avevano mostrato gambe e carattere nelle categorie giovanili e che stanno faticosamente costruendo la loro dimensione da professionisti. Come il 23enne Enrico Battaglin, capace di vincere alla quinta gara da “prof”, quando era ancora uno stagista due anni fa, e capace di ritrovare la grinta dopo un anno – il 2012 - passato a masticare la polvere degli avversari. Ci vuole carattere per non lasciarsi schiacciare dalle paure, lo stesso carattere che ha Fabio Felline, superato da Battaglin a Serra San Bruno. Ha 23 anni anche il corridore piemontese e l’aurea del predestinato, tanto che è approdato al professionismo dopo un solo anno fra i dilettanti, ma ha faticato più del previsto per acclimatarsi fra i grandi. E non è facile resistere alla tentazione di scendere di bici quando si fatica troppo per raggiungere l’obiettivo. Quando si è abituati a vincere con facilità e ci si ritrova improvvisamente a sputare i polmoni per tenere il passo degli avversari. E giovanissimi sono anche Salvatore Puccio, che si è goduto il suo giorno di gloria in maglia rosa, e Fabio Aru, che da un paio di tappe indossa la maglia bianca.

A parte i motivi di ottimismo per i tifosi italiani, la quarta frazione ha regalato meno emozioni di quelle che ci si poteva aspettare, almeno dal punto di vista agonistico. I chilometri della tappa (246) erano quelli di una grande classica - visto che da qualche anno tutte le altre corse non possono sforare il tetto dei 200 - e dopo il finale incandescente di ieri era logico aspettarsi qualche attacco da parte di chi non si è già rassegnato alla vittoria annunciata di Wiggins o di Nibali. Invece, le uniche emozioni – a parte l’azione di Di Luca e la volata di Battaglin - le hanno regalate la foratura di Vincenzo Nibali a 35 chilometri dal traguardo, quando il gruppo viaggiava allungatissimo a forte velocità, e la caduta nel finale, tempestato dalla pioggia, che ha spezzato il gruppo e ha lasciato indietro Bradley Wiggins. L’inglese ha perso 17” e aperto il fronte delle polemiche. Una manciata di secondi sono una inezia in una gara lunga e dura come il Giro d’Italia, ma la diatriba aperta sulla questione può essere l’indice di un nervosismo imprevisto da parte del Baronetto e del suo staff.

Domani, per la quinta tappa, si va da Cosenza a Matera. In prima linea ci saranno i velocisti, Cavendish è il favorito, ma dovrà guardarsi dagli sprinter azzurri. Il Giro per ora parla l’italiano.
da Avvenire.it