"Rispetto ad un’Italia che cambia o finge di cambiare rapidamente, muta convinzioni, gusti, pregi e difetti, Andreotti è una certezza: prevedibile, magari anacronistica, bistrattata, ma proprio per questo, tutto sommato, rassicurante. Permette al paese di specchiarsi nel passato, di riconoscersi e di distanziarsi dal secolo scorso; di sentirsi migliore, di rivalutarlo o magari di odiarlo, ha poca importanza. È una sorta di memoria storica dell’Italia, a partire dal 1945.

Una silhouette curva che inevitabilmente per la sua corposità storica si intreccia con gran parte della storia del nostro Paese, "la storia di un’epoca" che, secondo una consolidata vulgata, è stata "segnata" da Andreotti nel bene e nel male. Un uomo dalle umili origini familiari che da parte degli estimatori, e non solo, del personaggio ne esaltano ancor maggiormente la figura (o se si vuole la leggenda) dell’uomo che ha scalato il potere dal basso, partendo “dal nulla”. E da qui fino, sostanzialmente, ai giorni nostri, la storia del "divo Giulio" che se da un lato si apre in un ambiente quasi favoloso, dove un bambino di otto anni riesce ad eludere la sorveglianza durante un’udienza papale e quindi ad avvicinarsi al Pontefice, dall’altro si chiude con la crudezza delle ricostruzioni processuali che hanno interessato larga parte dell’opinione pubblica alla fine del secolo proprio perché avevano come protagonista questo "simbolo" dell’Italia.
Andreotti conserva attorno a sé molteplici e contraddittori giudizi che derivano dalle considerazioni formulate delle diverse generazioni che hanno potuto apprezzarne o criticarne la figura. Ecco perché così come è semplice trovare persone anziane che ne rimpiangono la presenza attiva sulla scena politica è altrettanto possibile trovare giovani che lo considerano il retaggio di una politica "superata" quindi vecchia. Ma può accadere anche il contrario: anziani che vedono in Andreotti un passato che non passa e giovani che, avendone sentito decantare le lodi, lo apprezzano maggiormente rispetto ai politici di oggi.
Certamente si può affermare che dopo aver sperimentato le conseguenze non sempre brillanti, soprattutto in diversi contesti locali, dell’azione di persone che non ritengono che la formazione alla politica debba essere un elemento indispensabile per svolgere un’attività mirata alla ricerca del bene comune, la figura di Andreotti, che intraprende attività politica per fortunate coincidenze, incarna, come ricorda la lunga citazione iniziale tratta dal libro di Franco, "l’identità perduta non solo di una classe politica, ma di una porzione dell’Italia moderata". Proprio la definizione dei confini delle identità delle forze politiche che animano il dibattito politico italiano è un compito al quale la politica non può sottrarsi, pena il suo perdurante "fallimento". E, paradossalmente, se nell’epoca di Andreotti per molti versi le identità apparivano soffocanti, oggi, queste non riescono neppure ad emergere in modo chiaro sia per un preciso desiderio (che permane) sia per delle incapacità oramai ossificate.
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Giulio Andreotti con Giovanni Paolo II, uno dei 9 papi della sua vita. |
Giulio Andreotti è, come scrive Franco, una "memoria storica" vivente dell’Italia. È necessario, pertanto, considerarla come tale. Ma se può essere fonte per capire il passato e scrutare il futuro, non può assolutamente trasformarsi in un comodo alibi per la politica di oggi. Dove non si arriva, dove non si riesce, dove non si comprende, ci si nasconde dietro il paravento degli errori della politica del passato. Una politica che certo non tornerà, ed è impressionante doverlo ribadire ancora una volta, ma che ci ha segnati; e se non riusciremo, una volta per tutte, a farci i conti, a capire che forse, anzi sicuramente, qualcosa di buono in "quella" politica c’era, non riusciremo a rianimare quella di oggi, che appare, costantemente, nei suoi caratteri generali, sempre più ripiegata su se stessa.
tratto da Errata Corige del 12 gennaio
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