La balena bianca è veramente bianca? Il falso mito del relativismo

C’è un modo in cui le cose sono indipendentemente da noi e dal nostro modo di conoscerle? Detto altrimenti, esiste una realtà indipendente dal nostro modo di esperirla, conoscerla e parlare di essa? Sebbene possa sembrare una domanda dalla risposta ovvia, persino banale, non lo è affatto: essa occupa una parte importante nel dibattito filosofico sul realismo.

Un realista afferma che c’è un modo in cui la realtà è, un modo, cioè, che è indipendente dal pensiero dell’uomo su di essa: ciò significa sostenere che il tavolo che ho di fronte resta un tavolo anche quando io ho gli occhi chiusi e non lo vedo, oppure anche quando non viene usato per poggiarvi qualche cosa. O, come altro esempio, che la balena bianca resterebbe una balena bianca anche se non vi fosse nessuno ad attestarlo.

Fin qui, sembrerà di non aver detto nulla di strano: l’idea di una realtà indipendente da noi fa parte del nostro senso comune ed è abbastanza radicata e intuitiva. Ad esempio, se io di notte vado a sbattere sul tavolo, che non vedo, mi faccio male e non penserò certo a negarne la realtà.

Sostenere una posizione realista significa dunque affermare che c’è una realtà intrinseca delle cose e che nel nostro agire (dalle nostre azioni quotidiane fino alla scienza) ci troviamo di fronte ad un “nocciolo duro” della realtà che è immutabile e di fronte al quale tocca a noi adattarsi. Significa sostenere, anche, che siamo in grado di conoscere e descrivere questa realtà.

In filosofia, il realismo può avere diverse sfaccettature, e può essere difeso da un punto di vista metafisico, etico, di filosofia della scienza e così via.

Eppure esiste anche una posizione antirealista, per la quale la realtà è tale solo perché viene da noi esperita e conosciuta. L’antirealismo può essere epistemico o ontologico.

Per un antirealista epistemico, probabilmente esiste una realtà delle cose indipendente da noi, realtà che ci è però inaccessibile: è impossibile e vano, dunque, tentare di studiarla e descriverla, o addirittura parlarne.

Per un antirealista ontologico, invece, non c’è alcuna realtà indipendente dalla mente umana: è conoscendo che l’uomo “costruisce” la realtà. La realtà esterna all’uomo non esiste: viene a “esistere” solo allorché l’uomo la conosce, ne parla e la utilizza. È laddove l’uomo lo misura, lo utilizza e lo chiama “tavolo” che un tavolo diventa tale. Si tratta di un’idea che – sebbene controintuiva – ha, in filosofia, degli illustri antenati: primo fra tutti, Kant e l’idealismo tedesco.

La difesa dell’antirealismo passa spesso per la difesa del relativismo: si tratta dell’idea che, non essendoci una verità delle cose, ciò che affermiamo sulla realtà dipende dai punti di vista, ma non ci sarà mai un punto di vista più vero dell’altro. Questo proprio perché, alla base delle nostre affermazioni, non c’è alcuna realtà che possa provare la maggiore fondatezza di una piuttosto che dell’altra. Io posso vedere la balena bianca e tu nera, ma nessuno di noi avrà ragione e nessuno torto: non esiste una bianchezza della balena.

Non dobbiamo pensare che il relativismo sia un’idea moderna: già Protagora, nel 400 a. C., diceva che«l’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono». Il che riassume abbastanza bene la tesi relativistica. In tempi moderni, questa tesi è stata difesa col termine di “pensiero debole”.

Il relativismo sembra essere molto alla moda, giustificato dalla (falsa) convinzione che esso sia più tollerante: è più tollerante, si dice, pensare che non vi sia una realtà e una verità su di essa uguale per tutti, perché ci permette di accettare anche idee molto diverse dalle nostre come ugualmente valide. Nessuno ha torto e nessuno ha ragione, e ciò ci pare molto democratico.

A ben guardare, non c’è niente di più intollerante del relativismo: perché se non c’è una realtà delle cose, la posizione adottata dalla maggioranza sarà considerata vera. Se non c’è un criterio di scelta per stabilire la verità, essa rischia di fondarsi sulla forza: i più forti, quelli in grado di proporre le loro idee con più convinzione, saranno capaci di imporsi, a discapito di chi non la pensa come loro. Per non esser costretto ad “adattarsi” ad una realtà che è indipendente da lui, il relativista accetta di “adattarsi” ad una verità che è divenuta l’opinione della maggioranza.

E, invece, non c’è niente di più tollerante della verità: sostenere che la verità è adequatio rei et intellectus – adeguamento dell’intelletto alle cose – significa anche affermare che tutti possono giungervi. L’intelletto umano è fatto per giungere alla verità delle cose. E poco importa se essa non sarà sostenuta dalla maggioranza: essa sarà pur sempre la verità.

Ma per fare ciò, bisogna accettare l’idea che ci sia una realtà indipendente dalla mente umana, una realtà con cui la mente possa confrontarsi. Bisogna concedere che ci sia un modo in cui le cose stanno indipendentemente da noi. Occorre ammettere, cioè, che esista una bianchezza della balena.

1 commento:

  1. Il relativista non sceglie l'opinione della maggioranza, ma eventualmente la critica perché la maggioranza, vedendo comune a tutti quella "realtà", la ritiene assoluta e non falsificabile, come vorrebbe appunto il relativista.
    Ti dirò di più il vero relativista non è il critico e il distruttore di ogni realtà. Egli è infatti chiamato a relativizzare il suo relativismo: ti spiego, sarebbe un paradosso che il relativista vedesse il suo relativismo come assoluto. Ne deriva che il relativista ha un suo saldo sistema di valori etici dai quali come uomo non può prescindere (è impossibile per esempio non avere un'idea di giustizia) e per i quali è disposto anche a morire giorno per giorno. Ma in cuor suo sente e sa di essere stretto dalle maglie dell'illusione. Sa anche che, se potesse mettere tra parentesi il mondo e guardarlo da Dio, scorgerne nello stesso istante tutte le variabili, scoprirebbe le sue radici deterministiche (in questo caso che la giustizia non esiste). Io per esempio ora sto scrivendo questo post per 4 fattori di cui nessuno è scelto razionalmente da me: intelletto, attitudini psichiche e morali intrinseche e inconsce, esperienze e bagaglio culturale, il mondo intorno a me hic et nunc. Metti in un'equazione (impossibile) tutto ciò e...scacco matto avrai risolto il gioco. Ciò nonostante come ho detto anche questa mia attuale posizione relativista è relativa: il relativista, con spirito di volontà e anelito di vita, deve allora continuare a prodigarsi per il prossimo, a scegliere, a cambiare il mondo, a sperare, a sognare, sprofondando nell'oblio il suo spirito di gravità, ovvero la consapevolezza del gioco.

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