Il Rispetto della Storia: la Shoah Cancellata

Un drammaturgo austriaco di fine '800 diceva che 'è facile scrivere i propri ricordi quando si ha una cattiva memoria'. Oggi il mondo si ferma per coltivare il ricordo dell'Olocausto, perché - per avere una buona memoria - dobbiamo prima di tutto esercitarla. Ed è obbligo morale di ognuno di noi ricordare quello che è successo, chiamando le cose con il proprio nome, senza falsi alibi né distorsioni ideologiche. In una parola, Memoria è prima di tutto Rispetto.

Rispetto per chi ha pagato con la vita la follia collettiva di un'ideologia perversa e anti-umana. Rispetto per un popolo che dopo 70 anni ancora mostra le ferite di uno dei più grandi genocidi della storia. Rispetto di chi continua a riaprire quella ferita pur di coltivare la memoria, prima che il tempo porti via anche gli ultimi testimoni. In una parola, rispetto della Storia.

E rispettare la Storia significa raccontare tutto in maniera obiettiva la verità storica negata dalle menzogne e oscurata dal silenzio. E come Italiani, dobbiamo avere rispetto di nostri connazionali che in quegli anni hanno vissuto - da diverse prospettive - il dramma dell'Olocausto: prima di tutto delle vittime. E per fortuna sono numerosissime le occasioni per dare il giusto spazio a chi ne è testimone: la recente nomina a senatrice a vita da parte del Presidente Mattarella di Liliana Segre è solo l'ultima piacevole conferma. Tuttavia sembra opportuno allargare la lente d'ingrandimento dell'interesse pubblico su un altro aspetto che dovrebbe stare a cuore soprattutto a noi italiani. Quale è stato l'atteggiamento dello Stato Italiano nei confronti degli ebrei in quegli anni? E quale quello della società intera?

La risposta più rapida porta alla memoria le tristi leggi razziali approvate proprio 80 anni fa: e tuttavia molto spesso la risposta più immediata non è la più completa. Con questo breve articolo ci proponiamo di ripercorrere il rapporto tra ebrei e Stato Italiano nel corso del Ventennio, per comprendere al meglio dei provvedimenti legislativi che rimarranno in ogni caso macchia eterna nella nostra storia.

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Affrontando l'argomento del rapporto fra fascismo ed ebraismo ci si trova subito di fronte un innegabile dato si fatto: fra il 18 settembre 1938 e la prima metà degli anni '40 il Governo Mussolini approvò una serie si provvedimenti chiaramente discriminatori nei confronti degli ebrei italiani, passate alla storia come leggi razziali, che supponevano una base ideologica rappresentata dalla dichiarazione dell'esistenza delle razze. E tuttavia queste non possono cancellare oltre 15 anni di governo, né possono giustificare la riduttiva rappresentazione che la storia rende di questo argomento.

Proponiamo anche noi dei dati di fatto parimenti incontestabili, che attestino la parziale falsificazione della storia, la manipolazione e l'alterazione dei fatti storici, la quasi totale falsità della vulgata resistenziale che ha spesso troneggiato nella cultura repubblicana.

Primo fatto. Esiste una moneta coniata dalla comunità ebraica italiana su cui è possibile leggere "La comunità ebraica riconoscente al re Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini".

Secondo fatto. Il giornale sionista "Israel", in occasione del decennale della Marcia su Roma, pubblicava il 27 ottobre 1932: "Dopo 10 anni di regine fascista, il ritmo spirituale della vita ebraica in Italia è più intenso, assai più intenso di prima. In un clima storico come quello del fascismo riesce più facile ai dimentichi di ritrovare il cammino della propria conoscenza, ai memori di rafforzarlo, presidiandolo di studi e di opere".
Frontespizio del giornale sionista "Israel".
Terzo fatto. Le cosiddette Leggi Falco (1930) e quelle degli anni immediatamente successivi riorganizzarono totalmente le comunità ebraiche nel Belpaese: regolarono istituzioni ebraiche - scuole comprese - nel territorio nazionale; risalgono a questi anni leggi che sono ancora oggi - a oltre 80 anni dalla promulgazione - sono in vigore.

E di fatti come questi la storia ne è piena. Ci sia ora consentito presentare dopo la schietta oggettività dei fatti anche una soggettiva dichiarazione di parte, come quella dello storico israeliani Leon Poliakov: "Ovunque penetrassero le truppe italiane, si legava uno schermo protettore di fronte agli ebrei. [...] Appena giunte sul luogo di loro giurisdizione, le autorità italiane annullano le disposizioni decretare contro gli ebrei".

Ci si trova dunque fra due poli opposti, fra chi ritiene Mussolini 'parte della macchina della soluzione finale' e chi invece scagiona completamente lo statista di Predappio. Anche in questo caso probabilmente entrambe le posizioni sono frutto di una risposta immediata, e quindi non necessariamente corrette: la verità sta nel mezzo, e per comprendere davvero questa posizione, è opportuno ripercorrere brevemente la storia del Ventennio.

All'avvento del fascismo le comunità ebraiche erano completamente integrate nella società italiana: fra i generali dell'esercito durante la Grande Guerra ben 50 erano ebrei, compreso Emanuele Pugliese, il più decorato d'Italia; dei 350 senatori di nomina regia ben 19 sono ebrei; nel 1906 il barone ebreo Sydney Sonnino diventa Presidente del Consiglio, nel 1910 viene sostituito da un altro ebreo, Luigi Luzzatto. Roma per sei anni (1906-1913) ha avuto un sindaco ebreo, e l'Italia nelle trattative di pace di Versailles fu rappresentata da Salvatore Barzilai, ebreo anch'egli. È difficile dunque pensare che con l'avvento del Fascismo le comunità ebraiche, così ben radicate ed integrate, siano state improvvisamente oggetto di un così profondo odio e convinta discriminazione razziale.

Sidney Sonnino, ebreo: Primo Ministro 1909-1910
Ed in effetti la stessa riunione in cui nacque il fascismo, la famosa riunione di San Sepolcro a Milano il 23 marzo 1919, dei 119 partecipanti 5 erano ebrei; tre ebrei furono anche iscritti nei nomi dei 'martiri fascisti', i militanti morti nei tre anni successivi negli scontri con i socialisti: Duilio Sinigaglia, Gino Bolaffi e Bruno Mondolfo. 230 ebrei marciano su Roma e nel 1922 ben 746 ebrei sono iscritti al partito fascista o a quello nazionalista, fusi poi nel 1923. Gli ebrei sono parte viva della società fascista, propulsore ben integrato dell'economia del Ventennio, che rivendicano giustamente la propria partecipazione politica: a Fiume con D'Annunzio ci sono diversi ebrei, il vice capo della polizia durante buona parte del Ventennio è tale Dante Almansi, ebreo come Maurizio Lava, vicegovernatore della Libia, governatore della Somalia, capo della milizia fascista. Ci scusino i nostri lettori se ci siamo dilungati tanto nello sterile elenco di persone ai più sconosciuti, ma riteniamo interessante conoscere quale fosse effettivamente la realtà in Italia durante il Ventennio, su quale humus culturale, politico e sociale nasce - secondo la vulgata resistenziale - l'innato odio fascista per gli ebrei.

La moneta con cui abbiamo aperto la nostra dissertazione ha un perché storico ben preciso: nel febbraio 1934 Chajm Weizmann, uno dei maggiori esponenti del sionismo internazionale, incontra il Duce, che volle fortemente l'incontro - cime scrive la storica ebrea Rosa Paini -, per poter concedere di lì a poche settimane ben 3000 visti per autorizzare tecnici e scienziati ebrei di stabilirsi in Italia.

Nei celebri Colloqui con Mussolini dello scrittore e giornalista ebreo Emil Ludwig, il Duce afferma: 'il razzismo è una stupidaggine, l’antisemitismo in Italia non esiste'. Era il 1932 e nei 5 anni precedenti 4920 ebrei si erano iscritti al Partito Fascista. Dopo le leggi razziali - nonostante le favole narrate nell’immediato dopoguerra e canonizzate negli ultimi decenni - la situazione non cambiò poi molto: nel 1939 il Governo Mussolini autorizza Dante Almansi, presidente della comunità ebraica italiana a costituire un’organizzazione per l’assistenza degli ebrei rifugiati in Italia perchè perseguitati nei propri paesi. Questa organizzazione sopravviverà allo stesso Mussolini, continuando a salvare le vite di migliaia di ebrei fino alla fine del conflitto: fra il 1943 ed il 1945 consentì inoltre a oltre cinquemila rifugiati ebrei di raggiungere paesi neutrali.

Campo di internamento di Ferramonti.
In Italia non sono mai esistiti campi di concentramenti per ebrei, ma solo campi di internamento per i cittadini dei paesi con sui il nostro Paese era in guerra: e - almeno fino all’Armistizio - in questi campi non vi era la minima traccia di razzismo. Il dottor Salim Diamand fu internato nel campo di Ferramonti, e descrive la sua esperienza nel libro Internment in Italy; in queste pagine si può leggere: 'Non ho mai trovato segni di razzismo in Italia. Nel campo controllato da Carabinieri e Camicie Nere gli ebrei stavano come a casa loro'. Fra le altre cose gli internati ricevevano dal Governo fascista 8 lire al giorno da spendere come preferivano.

La vera svolta nella condizione degli ebrei avvenne infatti il giorno di quello che gli inglesi chiamano crucked deal, lo sporco affare, l’Armistizio: il Governo Badoglio tutto fece tranne che abrogare le terribili leggi razziali. E proprio a questi giorni risale il terribile rastrellamento del Ghetto di Roma: era il 16 ottobre 1943 e le truppe naziste poterono finalmente compiere tutto ciò che fino ad allora la presenza di Mussolini aveva impedito. E ad ostacolare l’azione delle SS non vi fu nessun partigiano, ma solo i fascisti rimasti nella Città Eterna: una figura che la storiografia ha debitamente cancellato risponde al nome di Ferdinando Natoni che, in virtù della propria qualifica di fascista, poté esigere la liberazione degli ebrei rastrellati da una delle squadre di SS presenti in città. E come lui fecero molti altri fascisti, a Roma come in Italia e all’estero.

Ignorare quanto fatto dalle generazioni dei nostri nonni e bisnonni in quegli anni significa mancare di rispetto a degli Italiani di cui dovremmo essere orgogliosi: il razzismo e l’antisemitismo fascista, infatti, è ancora tutto da dimostrare; a differenza di molti episodi con protagonisti gli Alleati - anch’essi opportunamente rimossi dalla storiografia - che hanno portato il giornalista Daniele Vicini a scrivere su L’Indipendente il 20 luglio 1993: 'strana dittatura quella fascista, strana democrazia quella americana'. Nel 1940 il solo Dipartimento della Senna consegnò ai tedeschi uno schedario di circa 150 000 ebrei, prima di consegnare ai tedeschi 5 802 donne e 4 051 bambini ebrei. E d’altronde la Gran Bretagna non fu da meno quando il suo Console avvertì un’imbarcazione carica di ebrei fuggiaschi che se si fosse avvicinata alle coste della Palestina sarebbero stati respinti e silurati in quanto immigrati illegali. E gli Stati Uniti infine farebbero una magra figura se posti davanti al fatto compiuto che fecero intervenire la Usa Navy per evitare che le coste americane diventassero porto d’approdo per migliaia di ebrei.

La guerra è semplicemente disumana, ed episodi come questi sono purtroppo tristemente comuni, sempre e comunque da tutte le parti in causa: ma ignorare tali episodi significa non avere rispetto della Memoria. Con episodi del genere si potrebbe raccontare una Shoah dimenticata, o meglio rimossa: una serie di fatti che riscriverebbero la storia o - più propriamente - la scriverebbero per la prima volta, perché questa storia non l’ha mai scritta nessuno. Forse per dimenticanza, perché 'è facile scrivere i propri ricordi per chi ha cattiva memoria'. Oppure perché qualcuno preferisce altre versioni parziali dei fatti, dimenticando che la Memoria è prima di tutto Storia.

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