Alberto Angela: bravo ma non bravissimo

E bravo Alberto Angela!

Con l’ultima puntata di Ulisse, in occasione dell’anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, ha dimostrato ancora una volta che è possibile fare cultura in televisione anche nell’era in cui il trash domina su tutte le reti. 

Bravo Alberto Angela perché ha inquadrato la sua serata in un contesto più ampio, nel tentativo di dare un senso alla storia, di spiegare perché in ogni era della storia umana è necessario avere memoria degli eventi passati.

Bravo Alberto Angela perché qualcuno non aveva ben compreso il motivo della nomina a senatrice a vita di Liliana Segre, appena una settimana prima della Giornata della Memoria, a inizio anno. C’era chi non la conosceva e non si è minimamente sprecato di andare a cercare la sua storia, c’è chi ancora oggi la conosce solo per l’azzardata – e poco sensata – uscita di Enrico Mentana nel commentare una notizia di giugno. Ecco, chiunque abbia sentito le parole della senatrice a vita durante questa serata televisiva, non può che ringraziare il presidente Mattarella per la sua scelta illuminata.

Bravo Alberto Angela perché ha fatto una sintesi veritiera e dettagliata dei drammatici giorni romani, a partire da quel 16 ottobre 1943 di cui oggi cade il 75° anniversario.

Bravo Alberto Angela perché al termine delle due ore di programma, lo spettatore sente sulla propria coscienza il dovere della memoria, l’obbligo morale di ricordare e di tramandare, con un sentimento un po’ pesante ma non per questo da evitare.

Però verrebbe da dire "bravo ma non bravissimo".

E i però sono diversi, che non minano certo la credibilità di quanto raccontato da Angela e dai suoi autori, ma dimostrano una volta di più che la storia può essere raccontata in mille modi, assumendo prospettive diverse, non necessariamente tutte giuste, non necessariamente tutte sbagliate. Ma probabilmente il miglior modo per onorare la verità storica è unire queste prospettive, la cui complementarietà può solo arricchire la narrazione dello storico. E forse per poter dire ‘bravissimo’ ad Angela, sarebbe bastato raccontare la storia da qualche altra prospettiva, non perché quella scelta sia sbagliata, ma semplicemente perché non esaustiva.

Fin dalla sigla introduttiva, le immagini si soffermano spesso sulla grande scritta che accoglie i visitatori al Memoriale della Shoah alla Stazione Centrale di Milano: INDIFFERENZA, scolpito nella pietra del muro, stampatello maiuscolo a caratteri cubitali. Il concetto viene ripreso a voce più volte da Angela, e su questo aspetto sorge il primo però.

La scritta al Memoriale della Shoah di Milano.
Questa prima contestazione ad Alberto Angela è dettata dall’orgoglio di essere italiano e dalla volontà di fare giustizia sulla memoria di un popolo raccontato troppo spesso come vigliacco ed omertoso, indifferente davanti alla strage nazista nei confronti degli ebrei. è un'offesa alla generazione dei nostri nonni, che ha vissuto gli anni del più grande conflitto della storia umana, vivendo un dramma per noi inimmaginabile e comportandosi talvolta da eroi silenziosi.

Angela ricorda la storia della famiglia Costaguti, che a Roma salvò 16 famiglie ebree dal rastrellamento, sottolineando che ciò avvenne grazie alla tessera del Partito Nazionale Fascista del signor Costaguti. Si ricorda poi di quel carabiniere che cercò di avvisare gli ebrei dell’imminente rastrellamento, la cui moglie però non fu ritenuta fonte affidabile dagli ebrei romani.

Ma Angela dimentica altre storie, per esempio quella di Ferdinando Natoni, che si fece addirittura arrestare per aver salvato delle bambine ebree dal viaggio senza ritorno verso Auschwitz: era fascista convinto, tesserato di alto grado del PNF, non aveva in nessuna simpatia gli ebrei, ma non per questo rimase indifferente davanti al rastrellamento. Nel 1994 il rabbino capo di Roma Elio Toaff gli conferì la medaglia di Giusto tra le Nazioni. “Devo precisare che però – disse Natoni ringraziando il rabbino – al fascismo io ci credo ancora, sono e resto fascista e lo sarò per sempre”.

E in fondo la storia di Costaguti e Natoni stupisce fino a un certo punto, perché nei Giusti tra le Nazioni trovano posto tanti italiani, molti di spiccata fede fascista: Giorgio Perlasca riuscì nei suoi intenti proprio perché diplomatico fascista, così come Giovanni Palatucci, cattolico e fascista, che sottrasse oltre mille ebrei fiumani alla Gestapo.

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Pio XII tra la folla dopo il bombardamento di San Lorenzo
E oltre a loro, moltissimi sacerdoti, monsignori, vescovi, prelati, suore, religiosi e religiose: ed ecco il secondo però. Angela racconta dei 50 chili di oro richiesti dai nazisti agli ebrei per evitare il rastrellamento, da consegnar entro le 11 del mattino del 28 settembre 1943: il piccolo e grande schermo si sono sempre appassionati all'episodio, e Angela ripropone diverse immagini cinematografiche per raccontare quei momenti. Dimentica però un fatto: dei 50 chili di oro richiesti, inizialmente solo 35 furono raccolti dagli ebrei. Il rabbino capo Israel Zoller si rivolse allora al Vaticano, chiedendo ed ottenendo da Pio XII i rimanenti 15 chili. Tuttavia, il giorno successivo Zoeller stesso tornò in Vaticano per ringraziare e declinare l’aiuto, in quanto la generosità dei cattolici romani era stata sufficiente per raggiungere i 50 chili.

Esiste poi un altro aspetto della partecipazione di Pio XII al rastrellamento, di cui curiosamente non vi è alcuna traccia nel documentario di Angela. Si tratta degli studi della fondazione americana Pave the way, guidata dall’ebreo Gary Krupp, secondo il quale l’intervento del Papa fu fondamentale per porre fine al rastrellamento. Lo storico tedesco Michael Hesemann ha infatti recuperato i documenti che dimostrano i contatti tra la chiesa nazionale tedesca – Santa Maria dell’Anima, vicino Piazza Navona a Roma – e il generale delle SS Reiner Stahel. Il vescovo Alois Hudal, guida della chiesa nazionale tedesca, fu invitato da Pio XII – tramite suo nipote Carlo Pacelli – a chiedere di fermare quanto prima gli arresti. Il vescovo austriaco scrive infatti al gerarca nazista:

“Proprio ora, un'alta fonte vaticana [...] mi ha riferito che questa mattina è iniziato l'arresto degli ebrei di nazionalità italiana. Nell'interesse di un dialogo pacifico tra il Vaticano e il comando militare tedesco, le chiedo urgentemente di dare ordine di fermare immediatamente questi arresti a Roma e nella zona circostante. Richiedono una misura di questo tipo la reputazione della Germania nei Paesi stranieri, e anche il pericolo che il Papa protesti apertamente”. 

Gli arresti si limitarono al 16 ottobre, e dei 12 428 ebrei censiti a Roma nel 1943, più di 11 400 si salvarono grazie all'intervento diretto di Pio XII.

Ecco che cosa significa che esistono diversi modi di raccontare la storia: Angela dice il vero, è innegabile. Ma non tutto il vero. Ed è grave la mancanza di un tassello così importante come il contributo della Chiesa di Roma alla causa ebrea. Da una parte forse avrebbe perso qualche punto di share, perché – si sa – la leggenda di Papa Pacelli antisemita e collaborazionista è così apprezzata dal grande pubblico che sarebbe un peccato smentirli con la verità storica. Dall'altro perché sarebbe poi inutile inquadrare in continuazione la scritta INDIFFERENZA, quando in realtà i cattolici romani donarono il proprio oro per salvare gli ebrei e addirittura il Papa fece il possibile per evitare quelle vite...

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Vista del Ghetto di Roma.
Casualmente l’indifferenza è accennata più volte, talvolta sottolineata da Angela, ma raramente supportata da fatti: forse anche in questo caso i fatti avrebbero reso meno attraente il prodotto televisivo, ma di certo avrebbero più completa la narrazione storica. Che cosa ha fatto la resistenza partigiana per evitare tutto ciò? Che cosa ha fatto il Comitato di Liberazione Nazionale? Che cosa hanno fatto gli alleati? Forse Angela si sarebbe potuto interrogare un po’ di più su queste domande:  il telespettatore medio si sarebbe annoiato nel sentire le risposte, ma chiunque ha a cuore la verità storica ne sente tremendamente la mancanza.

C’è un ulteriore però, che può sembrare una superficialità lessicale, ma che si ripete così tante volte da far venire il dubbio. Nel descrivere i responsabili del rastrellamento del Ghetto, Angela cita il regime nazifascista: è difficile parlare di regime fascista dopo l’8 settembre, e l’unica possibilità sarebbe riferirsi alla Repubblica Sociale Italiana, annunciata meno di un mese prima, stato fantoccio del Terzo Reich che sicuramente non poteva pensare di allargarsi fino a Roma per contribuire al rastrellamento degli ebrei romani. E allora perché si parla di regime nazifascista? Non sarebbe più giusto parlare di regime nazista? Si potrebbe inoltre a lungo discutere anche se la Repubblica Sociale Italiana fosse espressione del Fascismo che aveva governato in Italia nel Ventennio oppure del Nazismo che lo aveva istituito come stato satellite, facendosi garante della sua sopravvivenza. Come anche si potrebbe dibattere sulle differenze ideologiche tra Nazismo e Fascismo, citando De Felice e Arendt, ma questa è un’altra storia...

Ancora un però sorge circa la mancata partecipazione delle forze armate italiane al rastrellamento, su cui ormai ci sono pochi dubbi. Kappler, il comandante nazista che gestì le operazioni, scrive nel suo rapporto:

In vista dell’assoluta sfiducia della polizia italiana qualora impiegata in azioni del genere, non si è ritenuto opportuno invitarla a partecipare”.

Viene quindi da chiedersi quanto i nazisti considerassero gli italiani collaborazionisti, e se fossero anche loro convinti dell’indifferenza della polizia e dei carabinieri italiani davanti al massacro di altri cittadini italiani.

L’Italia che Angela dipinge come indifferente al dramma degli ebrei era in realtà il paese europeo che era riuscito a garantire la maggiore inclusione degli ebrei nel proprio tessuto sociale: l’Italia aveva avuto primi ministri ebrei (Sidney Sonnino e Luigi Luzzato), era stata rappresentata al tavolo della pace della Grande Guerra da un ebreo (Salvatore Barzillai), il militare più decorato nel conflitto del ’15-’18 era ebreo (Emanuele Pugliese), Roma aveva avuto un sindaco ebreo (Ernesto Nathan),....

E lo stesso fascismo, pescando omogeneamente in tutti i livelli della società italiana, aveva una notevole componente ebrea: vi erano 5 ebrei a fondare il PNF a San Sepolcro, 3 ebrei furono iscritti nella lista dei martiri fascisti caduti tra il ’19 e il ’22, 230 ebrei marciarono su Roma, a Fiume con D’Annunzio erano presenti moltissimi ebrei, il vice capo della Polizia durante il Ventennio era ebreo (Dante Almansi), così come Maurizio Lava, vicegovernatore della Libia, governatore della Somalia e poi capo della milizia fascista. 

Proprio Dante Almansi fu autorizzato da Mussolini stesso a costituire un’organizzazione per l’assistenza degli ebrei rifugiati in Italia perché perseguitati negli altri paesi. Questa organizzazione sopravviverà allo stesso Mussolini, continuando a salvare le vite di migliaia di ebrei fino alla fine del conflitto: fra il 1943 ed il 1945 consentì inoltre a oltre cinquemila rifugiati ebrei di raggiungere paesi neutrali.

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Israel, rivista ebraica italiana, dedicò un numero commemorativo
al decennale della Marcia su Roma.

È quindi difficile dipingere gli italiani del 1943 come un popolo omertoso o addirittura antisemita, perché gli ebrei erano riconosciuti italiani e si sentivano essi stessi parte della nazione fascista. È sicuramente più facile ripetere la parola indifferenza, per far passare velatamente un messaggio che difficilmente si potrebbe suffragare con la realtà dei fatti.

Ancora un però viene dalla descrizione dei campi di smistamento, concentramento e sterminio presenti in Italia. Angela cita il campo di Fossoli e la Risiera di San Sabba: i drammi vissuti in quei campi non possono essere dimenticati, e la memoria passa anche – e soprattutto – da racconti come questi. Però è bene anche ricordare che il campo di Fossoli è stato un campo per i militari britannici, sudafricani, neozelandesi catturati nelle operazioni di guerra in Africa settentrionale, almeno fino all'8 settembre 1943, quando passò sotto il controllo della Repubblica Sociale Italiana, e quindi del Terzo Reich. Così dome la Risiera di San Sabba, che fu utilizzata per la prima volta come prigione per internare provvisoriamente i militari italiani dopo l'Armistizio: nei mesi e gli anni a seguire, ai prigionieri politici seguirono anche ebrei, slavi, partigiani, sloveni e croati.

Ma fino all'8 settembre 1943 questo tipo di campi non erano mai esistiti: esistevano altri campi, come ad esempio il campo di internamento di Ferramonti, in provincia di Cosenza, controllati direttamente da Carabinieri e Camicie Nere. Il dottor Salim Diamand fu internato nel campo di Ferramonti, e descrive la sua esperienza nel libro Internment in Italy: “Non ho mai trovato segni di razzismo in Italia. Nel campo controllato da Carabinieri e Camicie Nere gli ebrei stavano come a casa loro”. Racconta inoltre che gli internati ricevevano dal Governo fascista 8 lire al giorno, da spendere come preferivano.

È chiaro dunque che il drastico e drammatico cambio di atteggiamento nei confronti degli ebrei è coinciso con l'8 settembre 1943, la data che in Italia ricordiamo con il nome altisonante e dignitoso di Armistizio, ma che gli americani - citando Eisenhower - chiamano crooked deal, lo sporco affare: a proteggere gli ebrei dai nazisti non vi erano più le camicie nere fasciste, ma gli alleati o - come a Roma - solo la Chiesa e i civili.

Si tratta di un altro tassello del non-detto che rende il documentario di Angela bello ma incompleto, se non quasi fazioso. Faziosa come d'altronde è stata la gran parte della storiografia contemporanea, confermando la triste constatazione che la storia viene scritta dai vincitori.

E di conseguenza, ignora che ‘la precisione chirurgica’ con cui i nazisti andarono a bussare alle porte degli ebrei romani era la stessa con cui nel 1940 andarono a rastrellare gli ebrei francesi, grazie alla lista di 150 000 nomi passata loro direttamente dal Dipartimento della Senna (allora governo alleato…). Così come ignora l’indifferenza del console inglese, che addirittura minacciò di silurare le imbarcazioni cariche di ebrei fuggiaschi che provavano ad avvicinarsi alla Palestina, o la US Navy schierata per evitare che le coste statunitensi diventassero porto d’approdo per gli ebrei europei in fuga dalla persecuzione nazista.

E allora viene da ripensare alle belle parole con cui Angela ha aperto la sua serata trionfale.


“Il modo migliore per impedire che i volti bui della storia ritornino è riconoscere la storia”.

Insomma, scrivere e raccontare i ricordi della propria memoria collettiva. E viene alla mente anche un drammaturgo austriaco che diceva che “è facile scrivere i propri ricordi quando si ha cattiva memoria”.

Ecco, considerando le dimenticanze di Angela che abbiamo appena finito di raccontare, verrebbe da dire che forse il figlio di Piero non ha un’ottima memoria: nel qual caso sarebbe giustificato, perché - come detto - fare memoria è difficile quando si ha una cattiva memoria. Molto difficile, quasi quanto andare in prima serata su Rai1 e dire che il fascismo non era razzista, che Pio XII non era antisemita e che l’Italia del 1943 tutto era tranne che indifferente al dramma degli ebrei.

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