Regola 11: il fuorigioco

Posizione di fuorigioco
Essere in posizione di fuorigioco non è di per sé un’infrazione. Un calciatore si trova in posizione di fuorigioco quando:
• è più vicino alla linea di porta avversaria rispetto sia al pallone, sia al penultimo avversario.

Un calciatore non si trova in posizione di fuorigioco quando:
• si trova nella propria metà del terreno di gioco;
oppure
• si trova in linea con il penultimo avversario;
oppure
• si trova in linea con i due ultimi avversari.

Infrazione
Un calciatore in posizione di fuorigioco deve essere punito solo se, a giudizio dell’arbitro, nel momento in cui un suo compagno gioca il pallone o è da questo toccato, egli prende parte attiva al gioco:
• intervenendo nel gioco;
oppure
• influenzando un avversario;
oppure
• traendo vantaggio da tale posizione.

Non infrazione
Non vi è infrazione di fuorigioco quando un calciatore riceve direttamente il pallone:
• su calcio di rinvio;
• su rimessa dalla linea laterale;
• su calcio d’angolo.

Infrazioni e sanzioni
Nel caso di un’infrazione di fuorigioco, l’arbitro accorda alla squadra avversaria un calcio di punizione indiretto, che deve essere eseguito dal punto in cui l’infrazione si è verificata (vedi Regola 13 – Punto di esecuzione del calcio di punizione).

Achille e la tartaruga

Celebre sin dall’antichità, il paradosso di Achille e la tartaruga si articola così: se il Piè Veloce gareggiasse con una tartaruga concedendole un vantaggio iniziale di dieci metri, sarebbe incapace di raggiungerla, per quanto corra dieci volte più velocemente. In effetti, quando Achille ha finito di percorrere i dieci metri che lo separavano dal punto in cui si trovava la tartaruga, essa è avanzata di un metro. Mentre Achille percorre quel metro, la tartaruga avanza di un decimetro; e mentre Achille percorre un decimetro, la tartaruga avanza di un centimetro. E così via all’infinito, con Achille che si avvicina sempre più alla tartaruga ma non riesce a raggiungerla.

Tale paradosso è attribuito a Zenone d’Elea, discepolo di Parmenide vissuto nel V sec. a. C. L’attribuzione a Zenone è però incerta: non ci è infatti pervenuto alcuno scritto dell’epigono parmenideo. Il paradosso di Achille e della tartaruga, insieme ad altri altrettanto celebri, è riportato da Aristotele nella Fisica e da Simplicio nel Commento alla Fisica di Aristotele (e da questi attribuito, appunto, a Zenone).

Al di là della questione della paternità del paradosso, è importante capirne lo scopo: sembra che con esso il filosofo miri a negare il movimento e a difendere, così, il monismo parmenideo. Infatti, muoversi vuol dire passare dall’essere al non essere, e ciò è inaccettabile se si sostiene che esista solo l’essere. Per altri, invece, l’obiettivo critico di Zenone è la possibilità di una descrizione matematica della realtà, come era sostenuta, ad esempio, dai Pitagorici. L’argomento è basato sull’infinita divisibilità dello spazio: se lo spazio è infinitamente divisibile, dati due punti si può sempre trovare un punto in mezzo fra i due. Lo spazio sembra, cioè, avere una natura densa: esso assomiglierebbe ad una retta, in cui si può sempre trovare un punto in mezzo a due punti dati. Questa proprietà può essere attribuita anche all’insieme dei numeri razionali, ma non a quello dei numeri interi: fra 0 e 1, ad esempio, non vi è alcun numero intero. L’insieme dei numeri interi è detto, pertanto, discreto.

Tuttavia, da questa proprietà di densità dello spazio sembra derivare la conseguenza paradossale che Achille non raggiungerà mai la tartaruga, in quanto fra i due vi sarà sempre uno spazio infinitamente divisibile. Poiché questo è controintuitivo (da qui la natura paradossale dell’argomento), Zenone deduce che lo spazio non è infinitamente divisibile e che il movimento è impossibile. Proprio per sottolineare la natura paradossale di tale argomento, l’autore ha preso ad esempio l’uomo più veloce della mitologia greca e l’animale considerato il più lento: appunto, Achille e la tartaruga.

La soluzione di questo paradosso sembra facile: è evidente, sulla base della nostra esperienza, che Achille raggiungerà la tartaruga; in effetti, si narra che già Diogene il Cinico lo avesse confutato dicendosolvitur ambulando (si risolve camminando). Eppure, per avere una risposta del perché il paradosso sia fallace, si è dovuto attendere il XVIII secolo con lo sviluppo dell’analisi matematica e del calcolo infinitesimale. Per più di venti secoli, dunque, il paradosso di Achille e la tartaruga non ha cessato di interrogare coloro che hanno cercato di risolverlo. Per un filosofo della scienza, esso è indubbiamente interessante in quanto pone quesiti su questioni cruciali della disciplina: questioni come, ad esempio, la natura dello spazio ed il rapporto tra lo spazio ed il tempo; la descrizione matematica della realtà ed il rapporto tra matematica e fisica; e, ancora, la natura dei numeri e quella dell’infinito matematico. Vediamo dunque di delineare alcune possibili soluzioni.

Già Aristotele, nell’esporre il paradosso, presenta una soluzione personale: tale soluzione è basata sulla distinzione tra infinito in atto e infinito in potenza. Per Aristotele, infatti, l’infinito esiste solo in potenza: si può quindi dire che lo spazio è potenzialmente divisibile all’infinito ma, di fatto, non lo è. La fallacia dell’argomento di Zenone starebbe quindi nel considerare attualmente “diviso” ciò che in realtà è solo potenzialmente “divisibile”. Il problema di questo argomento è che tutta la matematica si basa sull’infinito in atto: metterne in dubbio l’esistenza, dunque, mina le basi teoriche di tale scienza.

Uno dei modi di risolvere il paradosso si basa sulla geometria analitica. Esso consiste nel rappresentare i due moti, come rette, sugli assi cartesiani e nel trovare il punto in cui le due rette si intersecano: tale punto è quello in cui Achille raggiunge la tartaruga. Un’altra soluzione si basa, invece, sulla nozione di velocità relativa. Immaginiamo che Achille e la tartaruga si trovino su un tapis roulant che si muove alla stessa velocità della tartaruga ma in senso opposto; questo ci permette di considerare la velocità relativa della tartaruga pari a zero e, quella di Achille, data dalla differenza fra la sua velocità assoluta e quella della tartaruga (cioè quella del tapis roulant). Possiamo quindi affermare che Achille raggiunge la tartaruga poiché la sua velocità è superiore. Queste soluzioni sono entrambe corrette e confermano che Achille raggiunge la tartaruga; tuttavia, esse non ci mostrano in cosa l’argomento di Zenone risulti fallace.

In questo, invece, riesce la soluzione che ci deriva dall’analisi matematica; essa ha infatti dimostrato che una somma di infiniti elementi non dà necessariamente un numero infinito. Nel nostro caso, la somma 10 + 1 + 1/10 + 1/100 + …+ 1/10n delle distanze percorse da Achille tende ad un limite finito (cioè il punto in cui Achille raggiunge la tartaruga): si tratta di una serie convergente che tende ad un limite finito per n che tende ad infinito. Poiché la somma di una serie infinita è il limite della successione di somme, la somma di infiniti termini, in questo caso, dà un numero finito. Merito dell’analisi matematica è dunque quello di aver mostrato che non tutte le serie infinite hanno un risultato infinito: sebbene, cioè, si tratti di una somma di infiniti termini, il risultato è un numero finito.

Nonostante sia stato risolto grazie alla matematica, il paradosso continua a porre alcuni problemi. Innanzitutto, la questione della natura dello spazio: se lo spazio è veramente denso, come mai nella nostra esperienza quotidiana ci sembra discreto? E, ancora, il problema del rapporto tra lo spazio e il tempo: se lo spazio è denso, qual è la natura del tempo? Un’altra questione sollevata recentemente a proposito del paradosso di Achille è quella del “supercompito”: come può Achille compiere una serie di atti infiniti, ovvero quell’insieme di atti che gli permettono di raggiungere la tartaruga? E, se veramente si trattasse di una serie di azioni infinite, sarebbe possibile compierle in un tempo finito?

Non possiamo discutere in questa sede tutti i problemi ancora aperti legati a questo paradosso; possiamo però prendere spunto dal paradosso di Achille e della tartaruga per domandarci in che misura la scienza sia in grado di risolvere problemi filosofici. Sembra in effetti che, nel caso del paradosso di Achille, la scienza abbia avuto un potere risolutivo maggiore rispetto alla filosofia. Possiamo dunque dire che la scienza rappresenta uno strumento potente da applicare ai problemi filosofici ma solo nella misura in cui essa si basa sull’evidenza e cerca di formulare delle verità universalmente valide. Senza dimenticare che, per ogni soluzione, la filosofia non cesserà di sollevare un nuovo interrogativo.

Nota bibliografica:
per una rassegna dei paradossi di Zenone e delle loro soluzioni si consiglia Fano, V., I paradossi di Zenone, Carocci, Roma, 2012.

Quei partiti che non (con)vincono

Il nuovo parlamento è molto variegato, ma molti grandi nomi sono stati esclusi, a causa delle elezioni, alba della terza repubblica, dello scorso febbraio.
Andiamo a fare una rassegna degli esclusi, di quelli che in un modo o in un altro sono entrati, di quelli che hanno vinto ma non convinto.

Primo fra tutti Fini. L'ex presidente della Camera ha riscontrato, col suo Fli, un risultato inferiore allo 0,5%, dimostrazione della buona memoria degli italiani:chi bara, perde.
Poi i 'mitici' radicali: appena lo 0,2%, eppure con un ministro, Bonino, pronto a farci vergognare anche in Europa. "Pannellone", deluso, tornerà con una nuova forza politica, sempre...radicale, ma mai vincente...
Rimanendo a sinistra, dura sconfitta per i magistrati politicizati e rossi: Di PIetro, Ingroia, De Magistrais: non oltre il 2,8%, un risultato imbarazzante, se si pensa alla campagna che aveva fatto il partito, aiutato anche da Rai 3 e la cara Annunziata.
Di Pietro(0,9%), poi, in una vita in cui ha seminato protesta, ha raccolto tempesta. 
C'è chi è entrato, con pochi, ma è entrato. Parliamo dell'Udc(2%), il "nuovo" che avanza, infatti rimane nel piatto. Casini, a sua detta, ha perso voti per darli a Monti, ma se non c'era Monti(anche sul suo risultato si potrebbe discutere)Pierferdinando(il cattolico a difesa di vita e famiglia...divorziato-risposato)non sarebbe entrato.
E poi c'è chi ha vinto(22%,+coalizioni 29%), di qualche voto, ma ancora non ha convinto: non è riuscito a sedare le varie anime interne, a formare un governo, a scegliere il presidente, ecc. Parliamo del PD, che sta sopravvivendo solo aggiungendo una "L", ormai...
Anche a destra ci sono incertezze. la grande sconfitta, la Lega: un partito che rimane ancorato su posizione estreme e difficilmente condivisibili, perde i pezzi e i "capi": dove andrà a finire? (6% a febbraio). Ma qui, a dx, non si può non sottolineare invece l'exploit di Fratelli d'Italia(4,1%), un partito che ha subito colpito gli italiani, per il grande senso civico, e per la lotta a difesa di vita e Famiglia, in maniera coerente. Ora all'opposizione, per dare un segnale.
A mesi dalle elezioni capiamo il boom M5S(22%): non era boom, ma raptus degli italiani, che volevano dare un segnale: adesso, accortisi dell'errore, non lo votano, si pensi alle comunali.

Si potrebbe dire, che serve scriverne se son "morti"?
Il problema di fondo è che in Italia continuiamo a spendere per partiti finiti, a dar vitalizi a politici preistorici, anche se nessuno li vota più.

E allora, tanto vale perdere, non lavorare, e guadagnare, no?

Informazione e Tribunali: i superpoteri dei magistrati

In Italia il 42% dei processi di primo grado si concludono con sentenze di piena assoluzione. Negli Stati Uniti nessun procuratore distrettuale con una così alta percentuale d’insuccessi verrebbe mai rieletto. In Italia, invece, ogni magistrato continua nella sua progressione automatica di carriera e nessuno dovrà mai permettersi di giudicarlo”. Ad affermarlo è Luciano Violante, ex magistrato e deputato del Partito Democratico, ex deputato del PCI e – più recentemente – chiamato da Napolitano fra i 10 “saggi”. Si tratta di una dichiarazione che deve far riflettere su quanto sia profondamente radicata, motivata e condivisa la ferma posizione del Popolo della Libertà quanto a giudici e magistrati: la giustizia italiana necessita una riforma radicale con la stessa urgenza con cui si devono affrontare i grandi temi dell’economia, perché altro rischia di essere non solo uno strumento in mano ad una determinata parte politica del nostro paese, ma anche una macchina mangiasoldi al pari del mostro di Equitalia, con l’unica differenza che i contribuenti non sanno – e spesso non riescono nemmeno a immaginare - in quale misura gli organi di giustizia sperperano il proprio denaro.
Ecco allora che si palesa il primo grande problema della nostra povera giustizia malata: l’onnipotenza dei magistrati. Ed anche in questo caso ci viene in supporto la statistica: dal 1999 al 2010 il Consiglio Superiore della Magistratura ha avviato 1 703 “indagini interne”, di cui solo 12 si sono chiuse con la rimozione del magistrato in questione. Ovvio allora immaginare quale deterrente possa rappresentare per un magistrato il timore del giudizio del CSM, e con quale noncuranza e leggerezza possa esprimere sentenze, sicuro fra l’altro che un ulteriore ricorso lo solleverebbe anche dal solo peso “morale” della sentenza, aggravando la coscienza di un altro collega. Se c’è ancora qualcuno che si interroga se sia lecito o meno parlare di delirio di onnipotenza da parte dei magistrati – non per tutti, per carità, ma per una parte sicuramente -, ancora una volta l’attualità ci viene incontro: nel lontano 1995 Antonio Di Pietro chiese ai colleghi milanesi di essere il pm d’udienza nel processo per le tangenti alla Guardia di finanza a carico del Premier in carica, dichiarando di “voler sfasciare Berlusconi”, confermando poi la sua posizione rispetto al Cavaliere scendendo in politica 18 mesi più tardi. E ancora più recentemente abbiamo avuto l’ennesima prova di quanto sia considerato autorevole il CSM dagli stessi magistrati: Antonio Ingroia – guarda caso anche lui attivo in inchieste su PdL e Berlusconi – non solo si è candidato alle elezioni politiche dello scorso 24 febbraio senza dimettersi dalla Magistratura, ma ha addirittura inscenato una tragedia greca al momento dell’invito da parte del CSM di andare ad Aosta, unica regione d’Italia dove non si è presentato con la sua Rivoluzione Civile. E nel frattempo, fra ferie ed aspettative, sperando di poter evitare il trasferimento, guadagna 5 000 € al mese, pagati da quegli stessi cittadini che, solo tre mesi fa, lo hanno clamorosamente bocciato con il voto inappellabile.

Ecco allora che di dubbi ne sorgono ancora altri, e magari ci si interroga se la riforma della giustizia sia un’ossessione di un partito di “impresentabili”, se Berlusconi, “impresentabile” per eccellenza, non sia davvero l’ennesima vittima di un sistema marcio che lo perseguita con un processo ogni 7 mesi, se il processo Ruby non sia solo l’ultima battaglia di una guerra che qualcuno da 20 anni perde nelle urne e cerca di vincere nei tribunali. E magari se a domandarselo fossimo in tanti forse potremmo fare un’ulteriore considerazione: perché se Berlusconi parla di riforme costituzionali si grida allo scandalo mentre se Vito Crimi propone di abbreviare i tempi di revisione costituzionale lo si osanna? Perché se Berlusconi propone il semipresidenzialismo lo si tratteggia come un folle egocentrico mentre se ne parlano Renzi ed Epifani diventa improvvisamente un’occasione per ridare credibilità alla politica? Forse allora ci si renderebbe finalmente conto di quale assurdo ed antidemocratico potere possa arrivare a detenere questo mostruoso tribunale popolare che è l’odierna informazione di massa, la vera base dei superpoteri dei magistrati. Ma questa è un’altra storia.

Regole 9 e 10: Pallone in gioco e Segnatura di una rete

Pallone non in gioco

Il pallone non è in gioco quando:
• ha interamente superato la linea di porta o la linea laterale, sia a terra, sia in aria;
• il gioco è stato interrotto dall’arbitro.

Pallone in gioco
Il pallone è in gioco in tutti gli altri casi, compreso quando:
• rimbalza sul terreno di gioco dopo aver toccato un palo della porta, la traversa
o una bandierina d’angolo;
• rimbalza sul terreno di gioco dopo aver toccato l’arbitro o un assistente, quando
essi si trovino sul terreno di gioco.

Segnatura di una rete
Una rete è segnata quando il pallone ha interamente superato la linea di porta tra i pali e sotto la traversa, a condizione che nessuna infrazione alle Regole del Gioco sia stata precedentemente commessa dalla squadra che ha segnato la rete.

Squadra vincente
La squadra che ha segnato il maggior numero di reti durante la gara risulterà la vincente. Quando le due squadre hanno segnato lo stesso numero di reti, o non ne hanno segnata alcuna, la gara risulterà pari.

Regolamento della competizione
Quando il regolamento della competizione prevede che una squadra sia dichiarata vincente al termine di una gara o di una eliminatoria di andata e ritorno conclusasi in parità di punteggio, le sole procedure ammesse per determinare la vincente sono quelle approvate dall’IFAB e cioè:
• Regola delle reti segnate in trasferta;
• Tempi supplementari;
• Tiri di rigore.

3 giugno 1963: muore Giovanni XXIII, il Papa Buono



Il pontificato di Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli, non è ricordato per la sua durata, sale sul soglio pontificio a 77 anni per rimanerci 5 anni, ma per aver convocato, dopo oltre 80 anni, un Concilio: era il 25 gennaio 1959, quando, Papa da soli tre mesi, annunciò "Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo Diocesano per l'Urbe, e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale".
Si tratta sicuramente del gesto che più di ogni altro rimane nell'opinione comune come il ricordo più evidente del breve ma intenso pontificato del Papa Buono. E tuttavia - senza voler fare classifiche - esiste un altro discorso altrettanto importante, che esula dal campo religioso ma si staglia nella storia dell'ultimo secolo come spartiacque fra la pace e la guerra: di tratta del radiomessaggio del 25 ottobre 1962.
La Guerra Fredda fra Unione Sovietica e Stati Uniti sembrava essere arrivata ad un punto di non ritorno: mai i rapporti fra le due superpotenze furono così tesi come nel 1962. Il motivo dell'inasprimento delle relazioni era sicuramente l'isola di Cuba, che storicamente dà il nome a questa fase della Guerra Fredda, la Crisi di Cuba. Nel 1958 l'isola aveva assistito alla presa di potere di Fidel Castro ai danni di Fulgencio Batista, instaurando di fatto un regime comunista: gli USA, consci del pericolo di una tale vicinanza ad un alleato sovietico, appoggia il ritorno degli uomini di Batista tramite i propri servizi segreti, ma la presa di potere non ha successo. Nel settembre 1959 Krusciov incontra Eisenhower a Washington, a novembre dell'anno successivo Kennedy si reca a Vienna per incontrare Krusciov, ma la situazione rimane delicata. Gli Stati Uniti esigono di ispezionare tutte le navi dirette a Cuba per evitare che giungano nell'isola caraibica missili e armamenti nucleari; l'Unione Sovietica rifiuta. Durante l'incontro a Vienna si discute senza successo la proibizione degli esperimenti nucleari: subito dopo l'incontro l'URSS ricomincia i suoi esperimenti in atmosfera e gli Stati Uniti rispondono dando nuova linfa alle attività nei lavoratori del Pacifico.
Nel 1960 un U-2 statunitense, un aereo spia in volo sugli Urali, viene abbattuto, dando inizio ad una lunga serie di abbattimenti reciproci che si concluderà solo dell'ottobre 1962: l'ultimo aereo cadde nell'ottobre di quell'anno, a pochi giorni dal videomessaggio di Papa Roncalli.
"Il braccio di ferro" tra le due K
Il discorso del Papa venne trasmesso in diretta a mezzogiorno di quel giovedì 25 ottobre 1962, per essere poi tradotto in svariate lingue, comprese - ovviamente - inglese e russo: il tema della pace è sempre stato un tema caro a Giovanni XXIII, che, constatando la delicata situazione internazionale, sì appellò spesso ai governanti del mondo intero perché avessero a cuore la pace mondiale.
Giovanni XXIII si appella dunque ancora una volta alla coscienza dei capi di stato, ponendosi di fronte a “due K” - così la stampa definì Kennedy e Krusciov - come unica via d’uscita per il pericoloso vicolo cieco in cui stavano conducendo il mondo intero: il 28 ottobre l’URSS richiamò le proprie navi in viaggio verso i Caraibi e ordinò la dismissione dei missili atomici nell’isola; il 20 novembre Kennedy dichiarò conclusa la quarantena su Cuba, garantendo di fatto che Cuba non sarebbe stata invasa.
Pochi mesi dopo, nell’aprile 1963, ad appena due mesi dalla morte, Giovanni XXIII pubblicò la sua ultima enciclica,Pacem in terris. Frutto del dramma della guerra sfiorata - che, secondo dati attendibili, se fosse scoppiata ed avesse fatto uso di armi nucleari, avrebbe portato ad un numero di morti sicuramente superiore delle precedenti - rappresenta quasi il testamento di un Papa che, con le sue preghiere, è arrivato dove nessuno poteva solo immaginare di arrivare.

TESTO INTEGRALE DEL RADIOMESSAGGIO

“Signore, ascolta la supplica del tuo servo, la supplica dei tuoi servi, che temono il tuo nome” (Ne 1,11). Questa antica preghiera biblica sale oggi alle nostre labbra tremanti dal profondo del nostro cuore ammutolito e afflitto. Mentre si apre il Concilio Vaticano II, nella gioia e nella speranza di tutti gli uomini di buona volontà, ecco che nubi minacciose oscurano nuovamente l’orizzonte internazionale e seminano la paura in milioni di famiglie.
La Chiesa - e Noi lo affermavamo accogliendo le ottantasei Missioni straordinarie presenti all’apertura del Concilio - la Chiesa non ha nel cuore che la pace e la fraternità tra gli uomini, e lavora, affinché questi obbiettivi si realizzino. Noi ricordiamo a questo proposito i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!”.
Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi supplichiamo tutti i Governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno cosí al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze.
Che continuino a trattare, perché questa attitudine leale e aperta è una grande testimonianza per la coscienza di ognuno e davanti alla storia. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra.
Che tutti i Nostri figli, che tutti coloro che sono segnati dal sigillo del battesimo e nutriti dalla speranza cristiana, infine che tutti coloro che sono uniti a Noi per la fede in Dio, uniscano le loro preghiere alla Nostra per ottenere dal cielo il dono della pace: di una pace che non sarà vera e duratura se non si baserà sulla giustizia e l’uguaglianza. Che a tutti gli artigiani di questa pace, a tutti coloro che con cuore sincero lavorano per il vero bene degli uomini, vada la grande benedizione che Noi accordiamo loro con amore al nome di Colui che ha voluto essere chiamato “Principe della Pace” (Is 9,6).

Il parto della Repubblica e i brogli del 2 giugno

La nascita della Repubblica Italiana, il sogno politico di Mazzini, il peggior incubo dei Savoia, un evento storico le cui controverse vicende gettano ancora ombre sull’inconfessabile probabilità di un broglio elettorale in occasione del referendum istituzionale che decretò la fine della monarchia. Una data quella del 2 giugno, scelta all’epoca poiché anniversario della nascita di Giuseppe Garibaldi, che, nonostante tutto, festeggiamo, riconoscendo in essa la ri-nascita della patria. L’uscita dalla dolorosa esperienza della guerra civile, al contrario di quanto accadde per l’antica Roma, significò per l’Italia il passaggio dalla dittatura alla democrazia nonchè una totale rottura ideologica con un triste passato da dimenticare e riscattare. Tra gli elementi troppo compromessi con il Fascismo da poter passare indenni le epurazioni indette persino contro maestre e segretarie: coloro che di Mussolini avevano permesso l’ascesa: i Savoia. Per questo motivo, Vittorio Emanuele III il 9 maggio abdicò, come Carlo Alberto a Novara nel 1849, a favore del figlio, Umberto II, un nome legato a presagi tutt’altro che  propizi. Il secolo XX, infatti, era stato battezzato funesto per l’Italia, proprio col sangue di re Umberto I, assassinato a Monza nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci. Con l’abdicazione la corona sperò di riaccreditarsi agli occhi degli Italiani, attraverso un’immagine più fresca di quella di un re colluso con il Fascismo e fuggito nell’ora della prova per la patria; le forze della Resistenza, invece, considerarono finita la tregua istituzionale aperta da Togliatti a Salerno e indirono il referendum del 2 e 3 giugno, contestualmente all’elezione dei membri dell’Assemblea Costituente. Fu la prima volta alle urne per le donne italiane e si pensò che anche questo avrebbe contribuito ad una vittoria annunciata della Repubblica, dato l’orientamento in tal senso delle maggiori forze politiche: non solo le Sinistre per una lunga tradizione ideologia ma anche la moderata Democrazia Cristiana, come nelle intenzioni di De Gasperi e come emerso da un piccolo referendum interno.
La scheda di voto del Referendum Istituzionale
 A tal proposito lo statista democristiano scommise con Pietro Nenni, leader del Partito Socialista, che il suo Trentino avrebbe portato alla Repubblica più voti dell’Emilia Romagna, regione natale di quest’ultimo: le urne gli dettero ragione, come dettero ragione alla causa repubblicana. Eppure lo scarso margine con la Monarchia, nemmeno 2 milioni di voti, fu minore rispetto alle aspettative, certo più incoraggianti se si considera quel rinnovamento generale preconizzato dalla volontà di rompere con il passato. L’arrivo a Roma, nella notte, dei risultati dello spoglio dei voti nelle circoscrizioni meridionali, fece scrivere a De Gasperi, all’alba del 4 giugno, che sic stantibus rebus era plausibile una vittoria monarchica. Il giorno successivo, tuttavia, il Ministro Giuseppe Romita, annunciò i risultati definitivi: Repubblica 12.182.155 voti, Monarchia 10.362.709. Inizialmente anche i Savoia accettarono con rassegnata accoglienza l’esito elettorale, mentre due giorni dopo alcuni giuristi di Padova presentarono ricorso per i brogli intercorsi nella fase di scrutinio. Si pensò che gli scrutatori inviati nelle varie circoscrizioni dal Ministro di Grazia e Giustizia, Togliatti (convinto repubblicano) avessero, di volta in volta, operato dei piccoli brogli, variando i risultati a favore della Repubblica in modo tale, tuttavia, da non influenzare l’andamento generale della particolare circoscrizione: sommando tutti questi contributi potè essere raggiunta la cifra dei 2/2.5 milioni di voti decisivi. Una simile ricostruzione sarebbe permessa dalla mancanza di supervisori alle operazioni di spoglio che la legge imponeva, in nome di un’assoluta segretezza. Ad alimentarla furono la fretta con cui si bruciarono le schede, la scomparsa di un milione e mezzo di schede bianche (da conteggiare a favore della monarchia così come i voti nulli) e il modo del tutto singolare, benché procedurale, con cui il Presidente della Cassazione, Giuseppe Pagano, il 10 giugno annunciò il risultato: leggendo il totale dei voti a favore dell’una e dell’altra parte ma non proclamando il vincitore. Il segretario di Togliatti, Caprara, racconterà che una simile modalità di annuncio alla nazione era stato ordinato dallo stesso Togliatti, il 5 giugno. 
Umberto II, "il re di maggio"
Ciò potrebbe accreditare la tesi dei brogli, mostrando la coscienza poco pulita del leader del PCI e dunque la necessità di non mostrare troppo il misfatto. Tuttavia Togliatti agì così poiché era pienamente consapevole dell’incertezza del risultato e dunque della necessità di ulteriori verifiche e ricorsi. Andava altresì tenuto conto della delicatezza del momento storico: quasi la metà degli Italiani era fedele ai Savoia e quindi era bene non sbandierare troppo una vittoria repubblicana, consumatasi tra mille sospetti, per evitare l’insorgere di insurrezioni popolari come quelle che effettivamente avvennero nel Meridione e che solo nella monarchica Napoli causarono 4 morti. Inoltre la tesi di tanti piccoli brogli trova un sostanziale ostacolo nel fatto che dei complici e testimoni dell’impercettibile ma costante spostamento dei voti a favore della repubblica nelle varie circoscrizioni, nessuno negli anni successivi confessò il fatto o fece emergere nulla: cosa improbabile dato l’enorme numero di coloro che avrebbero, ipoteticamente, partecipato al broglio e la facile fama che si sarebbero guadagnata con una testimonianza, capace di riscrivere le pagine della Storia Italiana. E ancora, la tesi dei brogli troverebbe un’inimpugnabile confutazione nella contestuale schiacciante vittoria dei partiti repubblicani alle elezioni per l’Assemblea Costituente (2/3 dei voti vennero raccolti da DC, PSUP e PCI). Ciononostante non mancarono certo scelte azzardate e polemiche come la frettolosa cacciata del re quando ancora il risultato del referendum era provvisorio e la Cassazione doveva pronunciarsi sulla denuncia dei brogli. Umberto II, che pure partì in aereo nonostante una tempesta, si disse cacciato da un governo che avrebbe in spregio alle leggi ed al potere sovrano e indipendente della magistratura, compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo con atto arbitrario e unilaterale poteri che non gli spettavano. De Gasperi rispose: Un periodo che non fu senza dignità si chiude con una pagina indegna.Un’affermazione che mostra l’asprezza del dibattito politico e la sincera paura da parte della Costituente che il re avrebbe potuto dar vita ad un altro Governo, rigettando il Paese nella Guerra Civile, come quella che si sfiorerà nuovamente, due anni dopo, con l’attentato a Togliatti. Fatti che mostrano il carattere affatto roseo dell’uscita dalla guerra e dal Fascismo e il dramma della costruzione di una nuova Italia che, più di ogni altra nascita, passò per le dolorose doglie del parto.