Stasera inizierà Sanremo e speriamo finisca presto. Oppure che lo facciano pure durare, se credono: tanto, come penso molti, non lo guarderò. Per più ragioni. Anzitutto perché mi piace la canzone italiana; a chi mediamente segue ed organizza il Festival invece no, altrimenti non si spiegherebbe il trattamento riservato ai più bei brani degli ultimi trent’anni, da Almeno tu nell’universo di Mia Martini (1947-1995) – “premiata” con un desolante nono posto nel 1989 – aVita spericolata di Vasco Rossi, classificatasi penultima nel 1983.
Una seconda ottima ragione per non guardare Sanremo – non scrivo boicottare perché il boicottaggio richiede pur sempre un atto volontario, quasi uno sforzo, mentre la kermesse non merita che una sovrana indifferenza – è il fatto che, oltre a non premiare le canzoni migliori, sul palco ospitano i peggiori. Come quel tale, Rufus Wainwright, “artista” noto per l’esecuzione di testi come “Gay Messiah”, in cui si parla del «Messia che risusciterà da un film porno degli anni ‘70» e del «Battista» che «non viene battezzato nello sperma»: un soggetto simile merita pochi ascolti e tantissime preghiere.