È il 25 giugno 1992, sono trascorsi 33 giorni dalla strage di Capaci e ne mancano 24 a quella di via D'Amelio: Paolo Borsellino tiene il suo ultimo discorso pubblico, nella Biblioteca Comunale di Palermo, in memoria di Falcone. Il discorso dura mezz'ora, la tensione nella sala è tanta, l'aspettativa per le parole del giudice - quasi il suo testamento pubblico - è altissima: dopo essersi scusato per il ritardo e aver chiarito di non essere intenzionato a parlare di ciò di cui deve tener conto in primis alla magistratura, Borsellino inizia il suo discorso, un discorso che denuncerà l'abbandono che portò alla morte tanto Falcone quanto Borsellino stesso.
Il giudice si presenta non solo come magistrato, ma anche come testimone, e come tale inizia a raccontare dell'amico e collega Falcone, conscio che con la sua morte sia finita una parte della sua vita e della vita di tutti gli italiani. Lo spunto da cui ha inizio la riflessione del giudice è una recente affermazione di Antonio Caponetto, che aveva detto: "Falcone cominciò a morire nel gennaio 1988".
Era difatti nel gennaio 1988 che Falcone vide negarsi quell'ufficio istruzione al tribunale di Palermo appena lasciato vacante dallo stesso Caponetto oramai 72enne. "Il giorno del mio compleanno - ricorda Borsellino - il Consiglio Superiore della Magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli". Un applauso dirompente interruppe Borsellino.
E tuttavia Falcone ha continuato a lavorare instancabilmente, "dimostrando l'altissimo senso delle istituzioni e la sua volontà di continuare comunque a fare il lavoro che aveva inventato".