Siamo al principio del VI secolo e Roma rimpiange tra le lacrime la
sua gloria passata, un ricordo ormai lontano, forse troppo, tanto da
sfumare nel sogno; un mito a cui prestar fede, in stridente contrasto
con le condizioni attuali. Le vie consolari, come vene rinsecchite,
private del sangue irrorato da quel cuore pulsante che era la Città
Eterna, sono divenute preda di disordinate orde barbariche. Teodorico,
re degli Ostrogoti, fa il suo trionfale ingresso a Roma, ricevendo
un’accoglienza di malcelata insofferenza: un re barbaro che si
impossessa di quel suolo sacro! Nella folla che s’accalca tra le vie è
presente un muto e anonimo spettatore, destinato a lasciare un solco
profondo in tutta la storia d’Europa; un giovane e brillante studente di
Norcia, Benedetto, che assiste quasi indifferente allo spettacolo che
gli si para d’innanzi. Un semplice uomo si insinua tra le fitte maglie
della Storia, scardinandone le dinamiche, elevandosi sopra imperatori e
generali.

Louis De Wohl, affermandosi indiscutibilmente un maestro del romanzo
storico, offre al lettore una minuziosa e sentita ricostruzione dell’
epoca che fa da sfondo alla vicenda narrata, approfittando di ogni vuoto
lasciato dalle fonti per rattopparlo a suo piacimento, sfruttandolo a
favore dei propri fini narrativi. E sono proprio i più famosi personaggi
di quel periodo che entrano in scena: Boezio, Cassiodoro, Teodorico,
Belisario, Totila, tutti giganti che si trascinano dietro eventi
grandiosi, scaraventandoli tra le pagine del libro. La scansione messa
in atto da De Wohl, inoltre, non si esaurisce nella realizzazione di un
marmoreo fregio storico, freddo e distaccato, ma va oltre, scende in
profondità, indugiando sull’interiorità, scandagliando i dubbi, le
perplessità, le gioie di questi attori, potenti o meno, reali o fittizi,
consegnando al lettore un meraviglioso spaccato umano.
Eppure, tutte le grandiose figure che spiccano tra le trame del
romanzo, sembrano scolorire se accostate al vero protagonista, il già
citato Benedetto, o meglio, S. Benedetto, fondatore di quell’ordine dei
benedettini che avrà una così grande risonanza e diffusione in tutta
l’Europa medievale e non solo, venuto alla luce in un momento cruciale
per l’umanità, proprio in concomitanza con la drastica cesura tra
periodo classico e medioevo: un passaggio che alcuni identificano
simbolicamente con la chiusura dell’Accademia Platonica del 529, da
tempo cittadella di saggezza, sapere e filosofia. Si racconta di un
antico responso delfico secondo cui l’Accademia sarebbe stata chiusa
solo in concomitanza con la costruzione altrove di un altro glorioso
centro di sapienza. Noi non possiamo sapere che cosa avesse in mente la
Pizia mentre vaticinava tali parole, narcotizzata da caldi vapori, ma
dubito avesse previsto che proprio in quell’anno 529 Benedetto avrebbe
fondato l’Abazia di Montecassino, un centro di propulsione e,
soprattutto, di conservazione della cultura, quella cultura classica
custodita e tramandata, come in un caldo grembo materno, negli
scriptoria di quello e di molti altri monasteri in futuro. Proprio una curiosa coincidenza…
Un libro prezioso, in cui l’autore amalgama con sapienza momenti di
riflessione interiore con euforiche descrizioni di battaglie. La
tensione narrativa non si allenta mai, in nessuna occasione, impedendo
al lettore di lasciare il volume per troppo tempo abbandonato sul
proprio comodino; delineando figure così reali, vive, da farne sentire
la mancanza non appena si volti l’ultima pagina.
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